Traiamo ora le somme da questa presentazione e diciamo innanzitutto che il principio della giustezza del nome vi viene espresso in una molteplicità di figure, che, se da un lato si integrano e ampliano lo spettro della tesi convenzionalistica, dall’altro lato sono in tensione tra loro e, in certi casi, radicalmente in contraddizione.
Le figure che definiscono l’ambito concettuale della correttezza del nome sono dunque:
Per porre in chiaro l’articolazione formale della proposta di Ermogene, rivolgiamo la nostra attenzione ad un unico fulcro, che è poi quello che ci suggerisce proprio Socrate nelle sue definizioni, ossia il soggetto della denominazione. Vale a dire: al di là delle differenze, pur notevoli e importanti, tra συνθήκη ed ἒθος, per dirne solo una, non vi è forse un’articolazione complessiva della proposta convenzionalistica in base alla natura e ancor più al numero dei soggetti coinvolti nella denominazione?
È precisamente così, poiché la differenza più radicale ed importante, per quel che comporta anche al di là di se stessa, una differenza tale da spaccare letteralmente in due il discorso di Ermogene, è proprio quella tra la pluralità dei soggetti, che a rigori e formalmente è una dualità: la dualità dialettica del dialogo, e la singolarità del soggetto.
La differenza è raffigurata nel modo più chiaro come opposizione, che è radicale a dispetto del fatto che i due termini paiano avere un’affinità, tra θέσις e σὐνθεσις, parole che citiamo in greco – nonostante il termine σὐνθεσις non sia tra quelli che abbiamo sinora incontrato nel testo, mentre θέσις è presente sinora solo in una forma verbale coniugata – perché non vogliono dire innanzitutto «tesi» e «sintesi» nel senso in cui noi per lo più oggi intendiamo questi termini, bensì «posizione» e «composizione», che è il loro significato proprio ed evidente in greco.
Posizione e composizione, θέσις e σὐνθεσις, hanno una relazione diretta con il numero dei soggetti della denominazione, anche se non nel senso diretto ed esclusivo che l’una sia riferita per sé ad una pluralità di soggetti, mentre l’altra alla singolarità.
Ogni posizione come imposizione proviene da una fonte unitaria, sia essa singolare o unificata: nel contesto del nostro discorso, insomma, θέσις può dirsi anche l’imposizione del nome a seguito di una convenzione tra più soggetti, laddove però sia l’imposizione in quanto tale principio della correttezza e non la composizione che pure può averla preceduta.
G. Grosz, Grosstadt (1917), MoMa, New York. Fonte: Moma
Riprendiamo l’articolazione delle tesi di Ermogene – a questo punto il plurale è d’obbligo – in funzione del numero dei soggetti della denominazione, scandendole nell’alternativa θέσις e σὐνθεσις, senza timore di incorrere in fraintendimenti grossolani o in semplificazioni eccessive. E ci troviamo quindi di fronte all’alternativa netta tra due posizioni di fondo, all’interno delle quali possiamo far rientrare tutte le possibilità ammesse dal testo (che sono ben più di due):
Nella prima è costitutivamente implicata una molteplicità di soggetti, ma non nel semplice senso – che abbiamo visto essere logicamente pure possibile, se si rimane all’analisi del concetto di θέσις – che una convenzione o norma si sia dovuta costituire o sia già da sempre costituita come condizione dell’imposizione del nome.
Entro questo contesto, però, la tesi convenzionalistica si differenzia comunque in maniera radicale da quella meramente positiva, il che avviene ancora in relazione alla determinazione del principio della correttezza: qui il nome è giusto non perché è stato imposto, non perché uno chiunque chiami con esso qualcosa, né perché uno chiunque dica che è quello giusto (così le due definizioni socratiche, che evidentemente vogliono far emergere ed evidenziare l’elemento positivo su quello convenzionale), ma solo finché rimane assicurato il principio della sua normalità, ossia il συν- della σὐνθεσις, il con- della comunità dei parlanti.
Nella seconda, coerentemente, è ancora il principio della correttezza a essere la chiave di volta della sua determinazione: la tesi positiva non richiede strettamente l’unità numerica di colui che denomina, ma certo la sua unità generica e propriamente nella forma della piena indifferenza: chicchessia, sia esso un singolo, sia una comunità, chiunque può essere il soggetto della denominazione, proprio perché ciò che conta non è la modalità con la quale si costituisce la comunità dei parlanti, il suo carattere sintetico innanzitutto per il fatto che in molti parlano le stesse parole, ma l’unità dell’atto impositivo del nome, che è la sua unità attuale e certo non la sua unicità oggettiva.
Ricapitolando, Ermogene presenta almeno due tesi:
1) In 384c10-d1, una tesi convenzionalistica in senso stretto, ove il principio dell’universalità dei nomi e anche della fruibilità comune è il νόμος, la consuetudine, quindi l’ἒθος, il costume, che rende i nomi e il commercio con i nomi principio della comunicazione degli uomini. Questo νόμος è detto e pensato appunto come συνθήκη, convenzione come composizione di differenze e posizione comune di un accordo, di una ὁμολογία. All’interno di questa tesi, poi, possiamo distinguere l’aspetto della pura convenzionalità – espressa dalla coppia συνθήκη καί ὁμολογία – dall’aspetto della normalità – espressa dalla coppia νόμος ed ἒθος: nel primo caso si intende che l’accordo è attuale e sempre riattualizzabile; nel secondo caso, invece, la composizione è già sempre avvenuta e ci si consegna come eredità della tradizione, rispetto alla quale è nostro compito convenire.
2) In 384d2-d5, una tesi assolutamente “positiva”, ove la posizione (θέσις) del nome è del tutto soggettiva, singolare e arbitraria, compiuta dal τίς, dallo ἕκαστος, il singolo privato qualunque, innanzitutto il proprietario (se non altro dei nomi stessi).
Nel contesto della prima tesi, poi, il nome prodotto dalla convenzione, il nome come oggetto dell’accordo e medio della comunicazione, come correlato del νόμος e quindi dello spazio pubblico, di una pluralità dei soggetti pubblici (l’ἒθος nel senso greco è pubblico, non privato), la pluralità di coloro che così sono usi e chiamano (τῶν ἑθισάντων τε καί καλοὐντων), è eminentemente il «nome comune» di cosa.
Nel secondo caso, invece, il correlato del soggetto che pone e cambia i nomi a suo piacimento è ovviamente il «nome proprio», quello che liberamente si da ai propri figli e si cambia ai propri schiavi, quello che, come nel caso di Ermogene, può non essere adeguato a chi lo porta…
Ebbene, come si vede in maniera particolarmente chiara in queste ultime considerazioni, nel passaggio dalla convenzione alla mera imposizione dei nomi si passa anche dalla pluralità dei soggetti pubblici alla singolarità e potremmo dire solitudine del soggetto privato. E sarà proprio armeggiando intorno a questa differenza tra pubblico e privato, che Socrate procederà con la sua opera ironica e decostruttiva.
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