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Nicola Russo » 25.M. Schlick, Il Fondamento della Conoscenza


Struttura della conoscenza empirica

Proviamo a delineare l’articolazione che Schlick propone per la conoscenza empirica alla metà degli anni Trenta, rappresentandone con chiarezza l’ordine (perché sarà questo a porre seri problemi):
1. Definizioni: analitiche a priori (tautologie)
0. Chiarificazioni deittiche [W. Dennes a M. Schlick, 15 marzo 1935: è preferibile utilizzare definizione deittica invece che definizione ostesiva; meglio ancora chiarificazione deittica]: analitiche a posteriori (necessarie a posteriori, cfr. S. Kripke, Naming and Necessity, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1980: in cui si trovano le nozioni di initial baptism, imposition of name.)
1. Proposizioni osservative: sintetiche, senza il ricorso ad ipotesi
2.; 3. Proposizioni protocollari e Leggi di natura, in quanto proposizioni: sintetiche e ipotetiche
(i nomi stanno tra -1 e 0: in un ambito della conoscenza scientifica che non implica alcuna durata, in quanto -1 è atemporale e 0 intemporale, assolutamente presente. Il problema della temporalità si pone invece per la conferma ovvero per la logica scoperta scientifica, dacché è inclusa nel processo della conoscenza, ma, essendo una definizione ostensiva, non può essere temporalizzata: in questo modo, si esprime in termini temporali l’aporia dell’origine non iniziante della conoscenza scientifica).

Diagramma della conoscenza scientifica


Il fondamento della conoscenza

Nel primo saggio che prenderemo in esame, Il fondamento della conoscenza (1934), l’autore muove da una definizione per così dire galileiana di esperienza come esperienza sensata; questa sarebbe composta da proposizioni osservative (Beobachtungssätze), ovvero da proposizioni che esprimono i fatti nella loro semplicità (ed. it., p.134). L’indicazione del carattere di semplicità provoca la nostra indagine a voltarsi indietro, ripensando a quanto nel Politico aveva sostenuto Platone riguardo alla misura delle norme giuridiche. Aver infatti individuato proprio nella semplicità l’elemento che denota l‘origine più remota del nostro sapere (ivi, p. 147), segna una differenza dell’itinerario schlickiano che non tarderà a mostrarsi nella sua pienezza, ma allo stesso tempo una comunità terminologica con la filosofia classica. Le proposizioni osservative di cui sopra saranno definite anche come constatazioni (ivi, p. 148, 151), Konstatierungen, che si esprimono nei termini di: «qui e ora, le cose stanno così e così».

O. Schlemmer, Danza delle aste (1916-22). Fonte: Wikipedia

O. Schlemmer, Danza delle aste (1916-22). Fonte: Wikipedia


Constatazioni

Tali constatazioni, assunte come proposizioni elementari, si differenzierebbero dai protocolli (ivi, p. 137), in virtù del carattere anipotetico delle prime, e di quello ipotetico dei secondi. Considerando la dominanza teorica delle proposizioni o asserzioni protocollari (protocol statements) nella definizione neopositivistica del linguaggio scientifico, abbiamo già mostrato come Schlick segnalava un grave equivoco: quello di aver trasformato l’iniziale intento empirista in uno razionalista. Nell’interpretazione carnapiana della sintassi protocollare, infatti, l’esperienza, in quanto tale, incorpora già un protocollo primitivo; «quando Carnap spiega nella sua Logische Syntax der Sprache (Wien, 1934; ed. it., Milano, 1961) – scrive Schlick in una nota al saggio del 1935, Sono convenzioni le leggi di natura?, ed. it., p. 166 – che si potrebbe costruire un linguaggio con leggi di trasformazione extralogiche, assumendo quali principi, per esempio, delle “leggi di natura” (considerate, pertanto, come regole grammaticali), il suo modo di esprimersi mi sembra pericolosamente equivoco, nello stesso modo in cui lo è la tesi del convenzionalismo».

Psico-biologia della conoscenza

Si intenda ora però come la critica alla dottrina carnapiana dei protocolli – e della loro sintassi logica – conduca Schlick, nella ricerca del fondamento ultimo della conoscenza della realtà (e della realtà come insieme di fatti, che sarebbero esprimibili da proposizioni primitive e fattuali), ad uno slittamento evidente dalla logica dell’esperienza scientifica alla psicologia della conoscenza, o meglio ancora ad una psico-biologia della conoscenza. Se in gioco è quindi l’individuazione «del fondamento ultimo della realtà non può essere affatto sufficiente trattare gli enunciati come “costruzioni ideali” (secondo quanto si diceva una volta con espressione platonica), ma bisogna piuttosto considerare le circostanze reali, gli eventi che si verificano nello spazio e nel tempo, che costruiscono i giudizi, ovvero gli atti psichici del “pensare”, o gli atti fisici del “parlare” e dello “scrivere”» (ivi, p. 135). A questo punto la domanda sul fondamento della conoscenza non può che disgiungersi in una questione sulla base sicura, come inizio del processo conoscitivo ed in una sull’origine remota dell’esperienza (ivi, p. 147).

La gioia della conoscenza

Le proposizioni osservative stanno all’inizio della conoscenza, ne rappresentano lo stimolo e la messa in moto, ed in un certo senso fungono da base sicura; ma non per questo possono essere anche l’origine dell’esperienza. Ma che ne è del principio di verificazione quando la domanda sul fondamento della conoscenza viene distinta in questo modo? Lo scopo della scienza – scrive Schlick – è di “fornire una rappresentazione vera dei fatti” (ivi, p. 138).
La gioia della conoscenza è la gioia della verificazione, di aver colto nel segno. La verificazione è quindi il modo di raggiungimento della verità.

Verità e verificazione

Cos’è quindi verità, se è essa ad essere oggetto della verificazione? Si ricordi che, a differenza del Popper della seconda edizione della Logica della scoperta scientifica (1959), Schlick non poté conoscere il saggio di Alfred Tarski sul concetto di verità nei linguaggi formalizzati, grazie al quale si sarebbe riaperta la discussione logica e filosofica attorno al concetto di verità, superando – almeno nei propositi – la disputa tra coherence theory e correspondence theory.
Schlick quindi affronta il tema della verità nella sua versione classica, aggiornata solo dalla distinzione kantiana e neokantiana tra verità formale e verità materiale (1934, ed. it., p. 140). Pur propendendo per una nozione di verità come concordanza con il reale (p. 140), ritenendo insostenibile una concezione di verità come semplice coerenza o mancanza di contraddizioni (si veda la definizione di esistenza matematica di Hilbert e la critica a lui rivolta da Becker, tra gli altri), Schlick introduce un termine di capitale importanza per comprendere la sua posizione: quello di convenienza e della convenienza come criterio di verità (p. 138) o ancora come principio per determinare la medesima compatibilità tra proposizioni scientifiche (p. 141).

L’ideale empirista dell’ascesi alla verità

Senza dover esplicitamente citare Platone a questo riguardo, sarà facile notare la funzione di questa mossa: imboccare la strada della convenienza significa per Schlick individuare nella struttura dell’esperienza il medesimo criterio verificante della verità. Ma la struttura dell’esperienza è proporzionata sull’inizio linguistico della verità (le proposizioni osservative) e sull’origine psico-biologica dell’esperienza. «La conoscenza è, in origine – scrive Schlick, ripetendo quasi alla lettera Nietzsche, o piuttosto formulando una versione empirista della giustificazione dell’ideale ascetico della verità – uno strumento al servizio della vita. Per orientarsi nel mondo che lo circonda e adattare le sue azioni agli eventi, l’uomo dev’essere capace il prevedere, in una certa misura, gli eventi. A tale fine, egli ha bisogno di conoscenze, di proposizioni generali da utilizzare nella misura in cui le prognosi ricavatene si avverino effettivamente» (ivi, pp. 148-149).

Analitico e sintetico

La constatazione è una proposizione sintetica a posteriori, ma «mentre per tutti gli altri asserti sintetici la comprensione del senso e l’accertamento della verità sono processi separati e pienamente distinguibili, nelle proposizioni osservative, come in quelle analitiche, essi vengono a coincidere» (ivi, p. 152). Da un lato, abbiamo quindi la comprensione del senso, ovvero la verifica della correttezza grammaticale e della possibilità di conversione di una serie di segni (proposizione) in un linguaggio, dall’altro, l’accertamento della verità come corrispondenza del significato logico-linguistico ad uno stato di cose effettivamente presente nella percezione e nella sua constatazione. Senso e verità, quindi, si distinguono nelle proposizioni sintetiche e questa distinzione le caratterizza; nelle constatazioni, invece, subentra un carattere di immediatezza sia rispetto al dato empirico, sia rispetto all’identità tra senso e verità, al pari che nelle proposizioni analitiche. «Domandare – prosegue – a proposito di una constatazione, se non ci stiamo sbagliando sulla sua verità, avrebbe tanto poco senso, quanto se tale domanda fosse fatta a proposito di una tautologia» (ibidem).

Deittici

La questione si complica ancora di più quando leggiamo cha «una constatazione genuina non può mai essere annotata poiché, non appena prendo nota delle parole estensive “qui”, “ora”, ecc., esse perdono il loro senso» (ivi, p. 153). Una constatazione potrebbe essere espressa al massimo con l’aiuto “di indicazioni e di ostensioni gestuali” (ivi, p. 152), ma laddove venisse trasposta in formule linguistiche, anche le più elementari come i deittici “qui”, “ora” e simili modificherebbe il proprio stato di immediatezza, disidentificando l’asserto dalla constatazione in esso inclusa (ivi, p. 153). Non diversamente che nella Fenomenologia dello spirito di Hegel in questo saggio Schlick denuncia la prematura formalizzazione delle indicazione e della genealogia avverbiale del linguaggio. E questo perché il linguaggio è già temporalità, temporalità che manca all’assoluto presente delle proposizioni osservative (ivi, p. 148).

Verificazione e significato

Il problema della verificazione si converte, quanto alle proposizioni osservative, in cui il senso coinciderebbe con la verità, in quello della ricerca del significato, che appare a Schlick (Meaning and Verification, ed. orig., p.339) in quanto tale essenziale (essenzialmente filosofica) e paradossale. Così il significato, che sarebbe stato nella seconda fase (quella anglo-americana) della filosofia analitica (dopo cioè la fase aurorale fregeana) il principale bersaglio per una demolizione sistematica di ogni ontologia, assunta a torto come mero corrispettivo di una metafisica sostanzialistica (si veda a questo riguardo Parola e oggetto di Quine ed il percorso che lo conduce dalla distruzione del significato alla promulgazione del relativismo ontologico), il significato si erge come principale banco di prova di una filosofia scientifica. Con la precisazione, però, che la comprensione del significato non sia altro che il «rendersi conto delle regole d’uso dei termini» (Fundament, ed. it., p. 151), in perfetto stile (come vedremo) wittgensteiniano.

I materiali di supporto della lezione

Dispensa - Parte prima

Dispensa - Parte seconda

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