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Nicola Russo » 28.La scienza giuridica tardo-moderna. Kelsen


Introduzione

Hans Kelsen rappresenta il luogo storico in cui giunge a compimento e si esaurisce la scienza giuridica moderna, come secolare evoluzione della dottrina giuridica verso una sempre più compiuta formalizzazione. Iniziata con l’opera di Grozio e Pufendorf e caratterizzata dall’elaborazione in ambito giuridico di concetti matematici (il metodo di deduzione, di giudizio e di induzione rispetto alla lacunosità del diritto), di concetti fisici (in primo luogo, la formazione della nozione di persona giuridica, a partire da quella meccanica di impenetrabilità di un corpo) e di concetti teologici (principalmente, il valore della libertà e l’orientamento finalistico degli ordinamenti), la scienza giuridica subisce uno sviluppo vigoroso a cavallo tra otto e Novecento nei paesi di lingua tedesca, in particolare in Germania ed in Austria.

Ritratto di H. Kelsen nel periodo viennese. Fonte: Wikipedia

Ritratto di H. Kelsen nel periodo viennese. Fonte: Wikipedia


La positività del diritto

Se infatti si guarda a ritroso la vicenda moderna del diritto, a partire cioè dalla dottrina pura kelseniana, si può notare chiaramente il suo dominante carattere positivistico, anche o proprio in virtù delle sue origini giusrazionaliste. «Ciò che è in sé diritto, è posto [gesetzt] nella sua esistenza oggettiva» – avrebbe scritto Hegel nei suoi Lineamenti di Filosofia del Diritto, § 3. Vale a dire, il «il diritto è diritto positivo in generale» (ibidem). Se la legge, infatti, altro non è che posizione (qui Hegel fa valere la prossimità etimologica di Gesetz, legge, ed il participio passato, gesetzt, del verbo setzen, porre), allora non si può non definire il diritto come positivo, non esistendo fuori della sua positività. Nonostante la nettezza e la chiarezza delle espressioni hegeliane, un tale assunto produce effetti tutt’altro che banali. Queste righe dichiarano, infatti, soltanto uno stato di cose: che il diritto è la sua positività, spostano la definizione del diritto sulla sua positività e riconsegnano una domanda del tipo: che cos’è la positività del diritto. L’intera modernità giuridica, che, come dicevamo, culmina, in Kelsen, si pone ossessivamente questo interrogativo: che cos’è il diritto, in quanto positività?

Positività del diritto in Hegel

A leggere Hegel «in generale, il Diritto è positivo» (Grundlinienen der Philosophie des Rechts, § 3). Nell’introduzione ai Lineamenti di Filosofia del Diritto, egli distingue le ragioni della sua perentoria asserzione, nel modo che segue: «a) per la forma di essere in vigore in uno Stato; e questa autorità legale è il principio della cognizione del diritto, cioè il principio della scienza positiva del diritto; b) quanto al contenuto, perché questo diritto riceve un elemento positivo α) dal particolare carattere nazionale di un popolo, dal grado del suo sviluppo storico e dalla connessione di tutti i rapporti che appartengono alla necessità naturale; β) dalla necessità che un sistema giuridico-legale contenga l’applicazione del concetto generale alla conformazione particolare – esternamente data – degli oggetti e dei casi; questa applicazione non è più pensiero speculativo e sviluppo del Concetto, bensì sussunzione operata dall’intelletto; γ) dalle determinazioni ultime richieste, nella realtà, per la decisione» (ibidem).

G. W. F. Hegel (1828). Fonte: Wikipedia

G. W. F. Hegel (1828). Fonte: Wikipedia


Positività e validità: da Hobbes a Kelsen

Che cosa intendiamo per autorizzazione? E come questa può distinguersi a sua volta tanto dall’autorità quanto dall’autore? A comporre il mosaico della legge sembra si abbiano a disposizione due file di tessere: la prima, composta da notificazione, registrazione, pubblicazione, conferma, autenticazione; la seconda, invece, da autore, autorità, autorizzazione. La prima ne costituisce la forza, la seconda l’autorità; alla prima corrisponde l’obbedienza, alla seconda l’obbligazione
Per autorizzazione si intende – con Hobbes – ‹‹ciò che conferisce autorità alla legge e che consiste soltanto nell’essere comando del sovrano››. L’autorizzazione è il conferimento di autorità e l’autorità è la condizione che ne consente la vigenza, la force de loi. Ma essa non è affatto un trasferimento, una delega, un semplice permesso, proferito o tacito.
Nei termini della seconda edizione della Reine Rechtslehre kelseniana, ai due ambiti, da noi indicati come elementi della definizione dell’oggetto giuridico e che potrebbero rendersi come il versante riflessivo e quello costitutivo, ovvero come l’insieme dei comandi che hanno per oggetto i comandi stessi e quello dei principi che pongono se stessi come comandi, corrisponderebbero la Zuschreibung, l’ascrizione, e la Zurechnung, l’imputazione. Anche in questo caso, all’origine di tale differenziazione si trova l’autorizzazione, l’Ermächtigung, cioè l’attribuzione di un potere giuridico.

Scienze e diritto nella contemporaneità

Una questione rilevante all’interno delle nostre riflessioni è offerta dall’interpretazione kelseniana delle scienze fisiche contemporanee, quanto soprattutto al concetto di causalità, la cui delucidazione diviene essenziale nell’intento di distinguerne il concetto di imputazione; se il primo infatti contraddistingue le scienze della natura, ovvero dell’essere, solo il secondo caratterizzerà la scienza del diritto, in quanto scienza del dover essere.
A questo riguardo si dovranno considerare, Causality and retribution, ed in part. What is Justice: Justice, law and politics in the mirror of science, per la prima volta apparso in «Erkenntnis», 8, 1939-40, ove si esamina lungamente le concezioni di causalità di Driesch, Heisenberg e Reichenbach (pp. 316 e sgg.), sostenendo che nonostante la sua modificazione semantica, la causalità resterebbe la forma fondamentale di ogni legge naturale (in quanto dipendenza condizionale tra stati di cose), pur perdendo l’essenziale carattere asimmetrico caratteristico del concetto di retribuzione (propriamente teologico). Sul tema, Kelsen si era già espresso in Reine Rechtslehre (1934), nel § 44: Theory of Law and View of the World, soffermandosi sulla teoria quantistica di Plance, e si soffermerà poi in Society and Nature. A sociological Inquiry (1946), nella parte III, Modern Science (VI. The Law of Causality in modern natural Science (pp. 249-262) e VII. Natural and Social Science).

Pragmatica della verità

Assunto che non può essere un principio vuoto (ivi, p. 60) – ed è questa una posizione che Schlick manterrà anche nel ‘35) – e che non può essere verificato come una proposizione singolare, resta da domandare se non sia, alla stregua di quanto già asserito riguardo alle leggi naturali, un’istruzione per la formazione di proposizioni scientifiche (ivi, p. 62). Ma se così fosse la verità del principio di causalità e delle leggi di natura sarebbe ridotta alla sua verifica pragmatica, ovvero alla sua utilità. Qui Schlick escogita una soluzione che se non è innovativa, è senza dubbio cogente. Egli distingue infatti tra verità e verificazione delle leggi di natura: «Verità e verificazione non sono la stessa cosa; al contrario, poiché per quanto riguarda il principio di causalità possiamo disporre solo della conferma e giudicare solo dell’utilità delle sue indicazioni, non possiamo disporre solo della conferma e giudicare solo dell’utilità delle sue indicazioni, non possiamo parlare della sua “verità” e attribuirgli il carattere di proposizione genuina» (ivi, p. 63).

Forza, anima, stato

Il pronunciamento kelseniano più chiaro, però, in merito alla comparazione tra scienza giuridica e scienze fisiche è contenuto in Der soziologische und der juridische Saatsbegriff (1922), pp. 206 e sg.: «il concetto di stato – afferma – nella scienza giuridica gioca lo stesso ruolo del concetto di “forza” nella fisica, o del concetto di “anima” nella psicologia”, o ancora più in generale del concetto di “sostanza” nelle scienze della natura (…). E se la fisica moderna ha eliminato il concetto di forza nel suo sistema della conoscenza, e la psicologia non riconosce più un’ “anima” come separata dai singoli atti psichici, allora anche la scienza del diritto potrà fare a meno dello stato nel suo ambito, come se fosse un’essenza distinta dall’ordinamento giuridico. In questo senso, vi sarà una dottrina dello stato senza stato (e questa sarà la dottrina del diritto), come oggi già vi è una psicologia, che è una dottrina dell’anima senza anima, e una fisica (che è una dottrina della forza, in part., una dottrina delle forze centrali) senza forza».

Positivismo fisico e giuridico

Una tale prossimità alle scienze della natura, ed una tale attenzione alla struttura linguistica, logica e metodologica delle scienze, non dovrebbe stupire nella Vienna di inizio secolo, quella Vienna raccontata in Dallo Steinhof, di Massimo Cacciari, ove proprio la cura del linguaggio e dei registri segnici dominava la curiosità di un intero mondo culturale. In un tale contesto, poterono infatti fiorire la Scuola kelseniana ed il Circolo di Vienna (di cui sopra) ma anche una scuola neo-liberale nelle scienze economiche (Von Mises, Von Heyek). Pur essendo contemporanei il cenacolo cresciuto attorno a Kelsen e quello cresciuto attorno a Schlick, non abbondano tuttavia gli studi sulle loro indubbie interrelazioni. Recente è l’attenzione storiografica in merito, testimonianza della quale sono, ad es., F. Stadler-C. Jabloner (hrsg. von), Logischer Empirismus und reine Rechtslehre. Beziehungen zwischen dem Wiener Kreis und der Hans-Kelsen-Schule, Wien, 2001, e gli studi dell’Università viennese su questi temi.

Tra il Circolo di Vienna e la Scuola kelseniana

Figura di mediazione tra i due modelli del positivismo viennese (e la fenomenologia husserliana) è Felix Kaufmann, Privatdozent a Vienna tra il 1922 ed il 1928. Filosofo della matematica, oltre che del diritto (su ciò si veda F. Kaufmann, Logik und Rechtswissenschaft, 1922; Die Kriterien des Rechts, 1924; Methodenlehre der Sozialwissenschaften, 1936), seguì nelle sue riflessioni le linee tracciate dalle ricerche contemporanee di O. Becker e H. Weyl verso un’ipotesi fenomenologica di matematica costruttivista (Das unendliche in der Mathematik und seine Ausschaltung, 1930). Nel 1938, in seguito alle persecuzioni razziali dell’Austria dell’Anschluss, emigrò negli Stati Uniti (New School of Social Research/ Cambridge University), dove muore nel 1949. Ciò che è di maggiore rilievo per il nostro argomento è un articolo del 1922-23, dal titolo, Theorie der Rechtserfahrung oder Reine Rechtslehre (in «Zeitschrift für öffentliches Recht», 3, pp. 236-263), ove appunto Kaufmann propone una critica del logicismo normativo kelseniano alla luce di un’ipotesi fenomenologica sulla teoria dell’esperienza giuridica. In merito si può vedere V. Kraft, Von Kelsen zu Husserl, in «Gerichtszeitung», 1921; mentre solo nella seconda edizione della Reine Rechtslehre (1960) e nell’Allgemeine Theorie der Normen (1979), Kelsen si pronuncerà polemicamente sulla teoria morale di Schlick.

Epistemologia giuridica e teoria della formazione concettuale

Nella teoria kelseniana (fortemente influenzata oltre che da Kant e dal neokantismo marburghese, da Herbart), sono chiaramente presenti i termini tradizionali della filosofia tedesca tra Otto e Novecento, quelli cioè che richiamavano alla formazione concettuale (Begriffsbildung) e quindi all’elaborazione dell’esperienza o dei dati esperienziali (Aus-, Um-bildung); ed abbiamo ricordato come questi termini avessero luogo di origine nella filosofia post-kantiana e segnatamente in Herbart, ove la possibilità di un’ontologia (altro nostro tema costante) è rimandata proprio alla facoltà di elaborare purificandola l’esperienza. Di raddrizzarla, di aggiustarla, di comporla in oggetti distinti.

Fattualità e validità

Se questo costituisce infatti un piano comune sia Kelsen che a Schlick, e più in generale, alla declinazione della Wissenschaftslehre in Theorie der Begriffsbildung e quindi in logica e metodologia della formazione delle oggettualità scientifiche ed ancora in Epistemologia (o analisi del linguaggio o ermeneutica) – merita ancora attenzione il modo in cui su ciò afferisce la distinzione tra essere e valere (che non coincide con quella tra essere e dovere) e quindi il risultato di una teoria che distingue i campi oggettuali delle scienze, o semplicemente le scienze, in virtù della differenziazione tra essenti e valenti. Insomma: da un lato la ripresa della tradizione di teoria dell’esperienza ancora kantiana, da un altro il tentativo di distinguere tra gli ambiti delle scienze (e tra questi e la filosofia) e da un altro ancora la distinzione suddetta tra Sein e Gelten.

I materiali di supporto della lezione

Dispensa - Parte prima

Dispensa - Parte seconda

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