Diversamente da Locke, in Kant la percezione interna del molteplice avviene attraverso la sensibilità; il che comporta che lo spirito non si limtita, per così dire, a intuire le proprie operazioni immediatamente e spontaneamente, come se il molteplice interno gli potesse essere dato spontaneamente, ma lo fa attraverso modificazione. Insomma, visto che “la coscienza di se stesso, se deve cercare (apprendere) ciò che è nello spirito, questo deve modificarla”, non c’è dubbio che “lo spirito intuisce se stesso, non come si rappesenterebbe immediatamente e spontaneamente, ma come interamente viene modificato; perciò come appare a sè, non com’è”. (§ 8 estetica trasc., pp.89-90)
Silhouette di Kant dalla copia personale della Bibbia. Tratta da: kant.uni-mainz.de
Se quindi Locke definisce la sensibilità come un semplice avvertimento che il pensiero ha delle proprie operazioni, di una semplice ricognizione psicologica, Kant ci fa accedere nell’ardua regione trascendentale dell’auto-affettività, attraverso cui si delinea l’idea che all’attività del pensiero, osservato nella sua radicale sensibilità, siano strutturalmente connesse una modificazione e il suo avvertimento.
L’auto-affettività, di cui Kant parla nell’Estetica trascendentale, ci permette anche di comprendere come l’attività, di cui pure il Gemüt è dotato, non è declinabile nei termini di un’assoluta produttività, bensì concepita sempre come l’attività di un pensiero che, per quanto indubbiamente spontaneo, non è esente da modificazione né sganciato da una zona di passività.
La sensibilità non è più:
1) mero sentire stimoli esterni da parte di una soggettività che, assolutamente passiva, può al massimo operare una ricognizione sulle sue operazioni, come nell’empirismo;
2) né produzione di una ragione esclusivamente attiva, del tutto priva dell’avvertimento di una modificazione, come in Hegel.
Litografia di Bils. Tratta da: kant.uni-mainz.de
La centralità della nozione kantiana di auto-affettività consente di comprendere:
Per Kant, solo dalla sensibilità e dai suoi limiti può sprigionarsi la pensabilità noumenica; solo il sentito e il sentire possono dare il pensato, l’impensato, l’ancora da pensarsi.
Riassumendo:
Dunque, solo affrontando la questione di una conoscenza indipendente dall’esperienza, solo intendendo cioè in che misura cioè gli a priori non appartengano esclusivamente all’intelletto e ma anche alla sensibilità, si potrà comprendere che quest’origine del conoscere, lungi dal rintracciarsi esclusivamente nei concetti puri dell’intelletto, è presente anche e innanzitutto nell’intuizione che, per quanto sensibile è pur tuttavia dotata di forme pure a priori, dunque capace di una sua indubbia, inaspettata attività formatrice. Un tale intendimento sarà però possibile solo definendo il legame tra questa capacità formatrice e l’auto-affettività.
Dalla lettura dell’Estetica Trascendentale emerge quindi che:
La Critica segna un passo in avanti rispetto alle precedenti opere kantiane. Nella Dissertazione del ‘70, si definisce l’uso reale dell’intelletto, ovvero il suo uso generativo e spontaneo, come quello che permette soltanto una conoscenza simbolica, per concetti universali e astratti. Nessuna intuizione intellettuale è, lo si ribadisca, qui concessa, procedendo essa dal canto suo a una conoscenza per singularem in concreto.
Tuttavia il divorzio tra i due modi conoscitivi e la conseguente impossibilità dell’intuizione intellettuale, non conducono ancora nel ‘70 alla definizione dell’intuizione sensibile come l’unica forma in cui l’oggetto ci viene dato.
Litografia di L. Corinth (1916). Tratta da: kant.uni-mainz.de
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