In termini Kantiani, potremmo affermare che sensibilità e sentimento sono l’una l’occasione (esterna) dell’altro; l’uno il risvolto (interno) dell’altra.
Se la sensibilità è la “capacità” (recettiva) di ricevere rappresentazioni pel modo in cui siamo modificati dagli oggetti” (Critica della Ragion Pura, Estetica trascendentale, §1, B33/A19), questa capacità porta con sè, per quanto inascoltata e incoscia, un riverbero che riguarda “il sentimento di piacere e dispiacere” del soggetto.
Ritratto di I. Kant (Schiller-NationalMuseum Marbach), ad opera di Becker (1768). Tratta da: kant.uni-mainz.de
Nel § 1 dell’Analitica del giudizio estetico, Kant, riflettendo sull’interrelazione tra sentimento e sensibilità, dà una definizione del giudizio estetico riflettente, di quel giudizio cioè che concerne lo stato del soggetto – all’occasione di una percezione esterna – e anche la capacità del sentimento di riflettere sul proprio stato interno.
Nel § 9 dell’Analitica del Giudizio estetico, dal titolo Esame della questione, se nel giudizio di gusto il sentimento di piacere preceda il giudizio sull’oggetto, o viceversa, Kant afferma che il sentimento – in questo caso di piacere – non dipende dall’oggetto dato, non è dunque un semplice risvolto dell’incontro che, tramite e grazie alla sensibilità, noi abbiamo con l’esterno, poiché se così fosse, sorgerebbe una profonda contraddizione, e lo stato interno del soggetto – il sentimento – altro non sarebbe che il piacevole della sensazione.
Miniatura di C. Vernet (1795). Tratta da: kant.uni-mainz.de
Se allora lo stato interno che il sentimento segnala non è la conseguenza di una percezione esterna, di quale modificazione si tratta, che cosa la provoca?
Per rispondere a questa domanda bisogna affrontare il tema complesso dell’auto-affettività, così come emerge dalle pagine dell’Estetica Trascendentale, al fine di comprendere come sia possibile mettere insieme nella facoltà della sensibilità la nostra dipendenza dall’esterno – dunque da un a-posteriori – con l’apriori e la purezza propria delle forme dello spazio e del tempo; da ciò si potrà intendere anche lo statuto trascendentale del sentimento.
Per delineare meglio i contorni della dottrina trascendentale della conoscenza sensibile procediamo ad un confronto con la critica hegeliana che riconduce il pensiero di Kant ad uno sviluppo dell’empirismo lockeano. Ciò consentirà di allargare lo spettro dell’analisi ad una triangolazione Locke-Kant-Hegel.
In un lungo arco che conduce da Fede e sapere alla Scienza della logica, passando per le Lezioni di storia della filosofia, Hegel rimprovera all’idealismo trascendentale di ripristinare un dualismo tra unità formale della sintesi soggettiva e molteplicità materiale dei dati sensibili, di cui cadrebbe vittima quell’”Originaria identità bilaterale”, che da un lato diviene soggetto in generale, e dall’altro oggetto.
La critica hegeliana quindi può essere così riassunta:
nella Critica della Ragion pura l’immaginazione produttiva verrebbe trascurata; essa invece di essere presentata come necessaria, assoluta, originaria, identità di opposti, è invece descritta come il prodotto di opposti;
la forma sensibile e non intellettuale dell’intuizione, produce contrasti che sono in realtà presupposti ed esterni; la natura sensibile dell’intuizione, considerata dal giovane filosofo come rimando a un che di empiricamente “irrelato” e di esterno [Ibid., p. 144].
In virtù di questa idea di sensibilità, Hegel può ricondurre l’estetica trascendentale kantiana nell’alveo di una mera passività di stampo lockiano.
L’empirismo di Locke assume che la mente umana sia un contenitore vuoto, un teatro in cui entrano in scena le idee, non solo le rappresentazioni che ci vengono dalle sensazioni, le idee delle qualità sensibili, ma anche ogni altro contenuto mentale e modificazione dell’attentività (i concetti, i fantasmi dell’immaginazione, o le rappresentazioni semplici della riflessione).
A partire dalle sensazioni come elementi puri, indifferenziati, istantanei e puntuali, che si imprimono in un animo essenzialmente passivo, si realizza anche l’attività propria della riflessione, ovvero dell’introspezione come sapere circa le proprie operazioni.
Riassumendo in maniera schematica la teoria empirista della conoscenza, possiamo asserire che:
Miniatura di C. Vernet (1795). Tratta da: kant.uni-mainz.de
1. Introduzione alla filosofia teoretica
2. Inizio ed Origine del Pensiero
3. Inizio ed Origine del Pensiero. Parte seconda
8. Il Giudizio Estetico Riflettente
9. La nozione antropologica del sentimento
10. Per un Kantismo post-moderno: il caso Lyotard
11. Introduzione al “giudizio”
12. Il modello kantiano di Giudizio
13. Il Giudizio: un'antica questione
14. Il Giudizio nella filosofia moderna
15. Il Giudizio nella filosofia tedesca di fine Ottocento e primo Novecento
16. Il Giudizio nella filosofia contemporanea
17. Il Giudizio in Hannah Arendt
18. La “filosofia del giudizio” in Italia
G.W.F. Hegel, Glauben und Wissen, oder die Reflexionsphilosophie der Subjektivität in der Vollständigkeit ihrer Formen, als Kantische, Jacobische und Fichtesche Philosophie, Tübingen, 1802, ed.it. a cura di R. Bodei, Fede e sapere, in, ID., Primi scritti critici, Milano, 1971, p. 148.
J. Locke, An Essay concerning Human Undertstanding, 1689-90, ed. it. a cura di C. Pellizzi, con una introduzione di C. A. Viano, Saggio sull'intelligenza umana, Roma-Bari, 2001 (4.a ed.)