Il termine “giudizio” ha diversi significati, molti dei quali sono impiegati soprattutto in ambito giuridico dove hanno avuto origine.
Giudizio, nel linguaggio comune, indica anche una valutazione personale (“a mio giudizio”) e per estensione il senno o il discernimento, ossia la capacità individuale di distinguere e definire.
Questi usi correnti del termine vanno tenuti presenti perché sono tutti compresi nell’antecedente più prossimo del giudizio filosofico, il latino “iudicium“.
In filosofia con “giudizio” si intende:
La seconda accezione è più ampia perché estende l’interesse logico (a partire dalla necessità di formulare giudizi di senso compiuto mediante lo schema proposizionale “s è p”) a problemi ontologici, etici, politici, estetici, storiografici.
Per distinguerla dalla proposizione troverete indicata la facoltà con la maiuscola (Giudizio).
Nelle prossime lezioni discuteremo del Giudizio come specifica facoltà della ragione umana, distinta dall’intelletto scientifico e dalla razionalità pratico-morale.
Il Giudizio si caratterizza per la sua mancanza di “precedenti”, che va interpretata in duplice modo:
La mancanza di precedenti rende il Giudizio una facoltà altamente problematica da investigare storicamente e legittimare teoreticamente.
Esso agisce infatti in assenza di universali già dati e noti (concetti o regole) e deve tuttavia elaborare un universale, indispensabile alla comprensione e alla comunicazione intersoggettiva.
Si può datare la nascita della questione filosofica del Giudizio al 1790 quando apparve la Critica della capacità di giudizio di Kant.
Il lavoro kantiano rappresenta un unicum perché ancora rimane la sola opera filosofica dedicata al tema.
La terza Critica costituisce dunque l’antecedente assoluto in termini di sistematicità.
Sul Giudizio si è scritto poco, anche in virtù della sua natura problematica che prima abbiamo messo in luce.
Le testimonianze che però possiamo reperire non sono così esigue. Esse ci consentono di abbozzare una storia del Giudizio, seppure si trovi spesso indicato con altro nome.
In età antica e medievale possiamo rinvenire tracce importanti che documentano quanto dibattuta e radicata nella filosofia fosse la questione del Giudizio, sebbene le sia a lungo mancata la veste della sistematicità.
Nella filosofia greca si possono ricordare:
La tradizione latina, giuridica e retorica, che continua nel Medioevo, ci consegna l’antecedente più completo del Giudizio, iudicium (pronunciamento di opinione e capacità).
Temi connessi al Giudizio sono presenti nell’ispirazione filosofico-retorica di Ramo e di Vico (ingegno e senso comune), in quella scientifica di Bacone e Cartesio (liberazione dai pregiudizi).
Strettamente inerente al Giudizio è la discussione sul “gusto” o arte della discrezione, presente ancora in Kant, che elevò il gusto a facoltà in grado di valutare il bello.
Con la Critica del Giudizio Kant ha gettato le fondamenta per ogni successiva “filosofia del giudizio” (a Kant è dedicata la prossima lezione).
Spunti importanti si trovano anche nella distinzione hegeliana di giudizio e sillogismo.
L’interesse filosofico per il Giudizio ha preso forma nel Novecento in riflessioni molto originali, talvolta nate in contesti distanti ma legate dal filo conduttore di una rielaborazione del pensiero kantiano.
L’elemento comune ai differenti recuperi del Giudizio kantiano va rintracciato nella centralità che nella terza Critica è assegnata al particolare, nel duplice senso dell’oggetto giudicato e della soggettività giudicante autonoma e responsabile.
Così si possono leggere in sintonia la lettura etico-politica di Arendt e quella logica di Croce (continuata da Antoni, Scaravelli e Franchini).
Spunti notevoli per l’elaborazione della “filosofia del giudizio”, anche se non necessariamente originati nell’ambito di un confronto diretto con il testo kantiano, si possono rinvenire in:
Una ripresa esplicita del tema kantiano del Giudizio si trova nelle meditazioni di Lyotard (anima minima) e Derrida (différance) sull’idea di una soggettività post-metafisica e post-moderna.
Luigi Scaravelli (1894-1957) e Eric Weil (1904-1977) sono stati due originali interpreti del pensiero kantiano.
Dei pochi scritti di Scaravelli, che ha insegnato filosofia teoretica a Pisa, sono da ricordare la fondamentale Critica del capire (1942) e gli Scritti kantiani (1955) di cui leggeremo le Osservazioni sulla “Critica del Giudizio”.
Di Weil, pensatore ebreo-tedesco, esule a Parigi durante il nazismo, divenuto poi cittadino francese e professore di filosofia a Lille e a Nizza, vanno ricordati la Logica della filosofia (1950) e l’opera che approfondiremo, i Problemi kantiani (1963).
1. Introduzione alla filosofia teoretica
2. Inizio ed Origine del Pensiero
3. Inizio ed Origine del Pensiero. Parte seconda
8. Il Giudizio Estetico Riflettente
9. La nozione antropologica del sentimento
10. Per un Kantismo post-moderno: il caso Lyotard
11. Introduzione al “giudizio”
12. Il modello kantiano di Giudizio
13. Il Giudizio: un'antica questione
14. Il Giudizio nella filosofia moderna
15. Il Giudizio nella filosofia tedesca di fine Ottocento e primo Novecento
16. Il Giudizio nella filosofia contemporanea
17. Il Giudizio in Hannah Arendt
18. La “filosofia del giudizio” in Italia
R. Viti Cavaliere, Giudizio, Guida, Napoli, 2009: Introduzione, pp. 7-19; Glossario, pp. 179-186; “Scaravelli: il difetto di secunda Petri”, pp. 116-121.
L. Scaravelli, Prefazione alle “Osservazioni sulla Critica del giudizio”, in ID., Scritti kantiani, a cura di M. Corsi, La Nuova Italia, Firenze, 1990, pp. 341-348.
E. Weil, Prefazione a Problemi kantiani, tr. it. di P. Venditti, QuattroVenti, Urbino, 2006, pp. 13-17.
P. Salvucci, Presentazione a E. Weil, Problemi kantiani, cit., pp. 7-10.
Per approfondire:
Historisches Wörterbuch der Philosophie, vol. 11, a cura di J. Ritter et alii, Schwabe & Co., Basilea-Stoccarda, 2001, voci Urteil e collegati.