Le Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (Guida Editore, Napoli 2002) raccolgono un composto insieme di riflessioni che Immanuel Kant trascrisse sulla sua copia personale delle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, testo che egli pubblicò nel 1764. All’indomani della pubblicazione Kant chiese all’editore di confezionargli un esemplare del testo che fosse interfogliato: una copia, cioè, che alternasse fogli bianchi ai fogli stampati. Il filosofo cominciò allora a trascrivere le Annotazioni nelle pagine bianche, presumibilmente sino al 1766, senza mantenere un filo conduttore determinato e univoco, e senza dare a queste pagine il carattere di un diario intimista o privato. Molti dei temi e delle riflessioni affrontati nelle Annotazioni, si troveranno in forma compiuta nelle opere successive di Kant.
Anche se non è possibile individuare un filo conduttore dal punto di vista tematico, ciò che accomuna tutte le Annotazioni è il metodo d’indagine che Kant utilizza in questa sua ‘officina filosofica’. Il suo interesse consiste infatti più nell’osservare e nel descrivere attentamente i fenomeni oggetto della sua indagine, che ’spiegarli’ presupponendo una presunta ‘essenza’ della natura umana. Si potrebbe definire questo metodo come zetetico-dubitativo, attento cioè a osservare e descrivere i fenomeni per cercare eventuali nessi empirici: “Zetetici. Coloro che cercano. (…) Il metodo del dubbio è dunque utile perché impedisce all’animo di speculare, obbligandolo a seguire il sano intelletto e il sentimento” (p. 191). Significativa è anche la direzione che Kant dà a questo metodo: l’attenzione ‘zetetica’ ha infatti in queste pagine un carattere fortemente pragmatico, è finalizzata alla vita in società ed alla conoscenza dell’uomo ‘civilizzato’.
Fra gli autori che più frequentemente ricorrono nel testo vi è senz’altro Rousseau, e non poche Annotazioni sono dedicate alla questione della vita in società, dell’uomo allo stato di natura, e della corruzione morale indotta dal raffinamento dei costumi. Kant tuttavia sembra assumere una prospettiva diversa da quella di Rousseau: non ritiene che l’uomo allo stato di natura sia felice di per sé e che si corrompa gradualmente per via delle istituzioni sociali. Non condivide dunque la condanna del progresso civile e culturale che Rousseau formula nei suoi Discorsi: la sua riflessione sull’uomo ‘allo stato di natura’ è finalizzata invece a denunciare gli eccessi e le artificiosità che spesso caratterizzano il vivere in società. “Non si riflette sulla felicità dei selvaggi per tornare nei boschi, ma per vedere cosa sia andato perduto da un lato, e guadagnato dall’altro”, sostiene infatti Kant.
J.-J. Rousseau. Tratta da: wikipedia
Anche se viene citato assai di rado, un altro autore che ha ispirato numerose Annotazioni è Hume. In queste pagine, infatti, Kant si sofferma spesso sulla natura e le caratteristiche del sentimento morale, e lo fa richiamandosi ai contenuti ed alle intuizioni dei moralisti inglesi di metà Settecento, in particolare a Hume. Il sentimento morale è descritto come la più autentica e genuina fonte della moralità, ovvero l’unico strumento a disposizione dell’uomo per orientarsi nella distinzione fra vizio e virtù. Hume e Kant concordano dunque sull’impossibilità di fondare la morale su una base puramente razionale: “l’uomo semplice sviluppa ben presto il sentimento del giusto, ma solo molto tardi – e a volte mai – ne trae un concetto”. Kant cambierà poi idea con la pubblicazione della Critica della ragion pratica.
D. Hume. Tratta da: wikipedia
Ricorrono di frequente nelle Annotazioni alcuni dei temi più significativi che Kant aveva affrontato nelle Osservazioni del 1764. In particolare, numerosi apoftegmi sono dedicati alla questione della varietà antropologica che si esprime nel sentimento del bello e del sublime, varietà che si declina secondo il genere sessuale, il temperamento, la nazionalità. Forse, alcune di queste Annotazioni possono risultare ai nostri occhi irritanti, poco ‘illuministe’, piene di pregiudizi, ma non va dimenticato che si tratta di riflessioni del tutto provvisorie e preliminari, una sorta di ‘materiale grezzo’ non destinato alla pubblicazione. Ne è un esempio la seguente annotazione: “la donna predilige se stessa perché vuole comandare, mentre l’uomo predilige la sua donna perché vuole essere comandato – e lo ritiene addirittura un onore”.
In queste pagine, il sentimento del bello e del sublime rientra in una più generale ottica di ‘estetica fisiologica’, il cui protagonista indiscusso è il corpo. Numerose Annotazioni dedicate al bello ed al sublime assumono infatti una vistosa declinazione fisiologica, sia rispetto alla già citata ‘varietà antropologica’ che inclinerebbe un individuo verso il sentimento del bello o del sublime, sia riguardo alla loro descrizione. Anzi, la stessa distinzione fra bello e sublime si gioca su elementi schiettamente corporei: “Bello e sublime non coincidono. Il sublime dilata il cuore e mantiene l’attenzione immobile e tesa. È stancante. Il bello scioglie l’anima in una sensazione delicata e, indebolendo i nervi, conduce il sentimento verso una commozione più lieve che tuttavia, se la si oltrepassa, si trasforma in un senso di fiacchezza, tedio e disgusto” .
In diverse Annotazioni Kant si sofferma su questioni rilevanti dal punto di vista teoretico, e di cui si occuperà negli anni successivi. Risultano a tal proposito significative alcune riflessioni kantiane sulla natura dello spazio, riflessioni che sembrano anticipare quanto il filosofo sosterrà nello scritto del 1768 Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio. In questi anni lo spazio è concepito come un’entità relativa, la cui ‘misurazione’ ha come primo punto di riferimento la Grundvorstellung del corpo: “che tutte le grandezza siano relative e nessuna assoluta si lascia dedurre da questo: io misuro il cielo attraverso il diametro della terra, il diametro della terra attraverso le miglia, le miglia attraverso i piedi e questi attraverso il rapporto col mio corpo”.
Kant riflette in queste pagine anche sulla natura e la funzione della religione, e sulla caratteristiche della conoscenza di dio. Particolarmente significativo è il punto di vista kantiano sul rapporto fra moralità e religione: egli ritiene che la morale – seppur originata da un sentimento – debba avere una sua autonomia rispetto alla religione, e l’opzione fra un’azione virtuosa e un’azione viziosa non possa dipendere in alcun modo dai premi e dalle punizioni che la religione preconizza. “Mi chiedo se Dio sia l’autore di ogni moralità, se cioè noi distinguiamo il bene dal male solo attraverso il riconoscimento della volontà di Dio” (p. 156) si domanda infatti Kant, e la risposta la leggiamo in un’altra Annotazione: “la minaccia della punizione eterna non può essere causa immediata di azioni moralmente buone”.
P. Longhi, Il ridotto (olio su tela), 1740. Tratta da: artnet
In questi anni Kant riflette anche su questioni di carattere giuridico, come testimoniano alcune Annotazioni dedicate al tema della proprietà privata. A questo riguardo, il filosofo di Königsberg si distanzia nettamente da Rousseau, che nel Discorso sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini aveva dato dell’impostore al primo uomo che volle per sé i frutti del proprio lavoro: Kant è invece convinto che l’origine e le ragioni della proprietà privata vadano rintracciate proprio nell’attività corporea implicata nel lavoro, come del resto avevano sostenuto Locke, Hume, ed altri autori di area anglosassone. L’attività lavorativa e produttiva viene considerata il risvolto empirico della volontà, una sorta di determinazione fattuale del libero arbitrio che determina ‘ciò che è mio’: come annota Kant, “nessun altro chiamerà suo ciò che io ho prodotto, perché altrimenti sarebbe la sua volontà a muovere il mio corpo”.
Nelle Annotazioni Kant si occupa anche di altre questioni, talvolta dilungandosi e ritornando in più occasioni sul medesimo argomento, talaltra soffermandosi solo tangenzialmente – in certi casi con una sola frase – su tematiche che saranno affrontate più compiutamente altrove. Ad accomunarle è senz’altro la loro declinazione pragmatica, il loro valore ’sociale’, ed il loro carattere interlocutorio e preliminare. Nel complesso, potremmo considerare le Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime come una sorta di ‘laboratorio filosofico’ in cui Kant raccoglie osservazioni così come un chimico potrebbe raccogliere elementi minerali e vegetali, per poi osservarli al microscopio, scomporli e ricomporli: “gli occhi filosofici sono come microscopi. Il loro sguardo vede in maniera dettagliata, ma poco; loro scopo è la verità”.
1. Introduzione alla filosofia teoretica
2. Inizio ed Origine del Pensiero
3. Inizio ed Origine del Pensiero. Parte seconda
8. Il Giudizio Estetico Riflettente
9. La nozione antropologica del sentimento
10. Per un Kantismo post-moderno: il caso Lyotard
11. Introduzione al “giudizio”
12. Il modello kantiano di Giudizio
13. Il Giudizio: un'antica questione
14. Il Giudizio nella filosofia moderna
15. Il Giudizio nella filosofia tedesca di fine Ottocento e primo Novecento
16. Il Giudizio nella filosofia contemporanea
17. Il Giudizio in Hannah Arendt
18. La “filosofia del giudizio” in Italia