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Antonella Borgo » 10.La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La diffusione della filosofia


Filosofia e politica

Il rapporto tra filosofia e politica a Roma non fu facile: lo caratterizzarono diffidenza e intolleranza già prima del 155 a. C. quando l’accademico Carneade, lo stoico Diogene e il peripatetico Critolao, inviati in ambasceria dagli Ateniesi, furono allontanati per le loro pericolose capacità dialettiche e l’autonomia di pensiero.

Carneade

Carneade


Tra innovatori e conservatori

Alla filosofia si mostravano ostili soprattutto i conservatori, capeggiati da Catone, mentre i gruppi di orientamento filellenico ne promossero e ne orientarono la diffusione: presso Scipione Emiliano dimorò a lungo Panezio, destinato a fondare a Roma uno stoicismo moderato, vicino ai valori del mos maiorum.

L’epicureismo

Diversa accoglienza fu riservata all’epicureismo accusato, per la sua dichiarata ostilità a ogni forma di negotium, di corrompere i costumi e le virtù tradizionali romane.
L’epicureismo si diffuse perciò soprattutto negli ambienti culturali d’avanguardia nei quali contribuì a promuovere nuove esperienze poetiche.


Le scuole epicuree

I due maggiori centri di studi epicurei ebbero sede in Campania, regione che molti aristocratici sceglievano come luogo del loro otium.
A Napoli Sirone tenne scuola a Posillipo ed ebbe tra i suoi discepoli Virgilio; ad Ercolano fiorì la scuola di Filodemo, che fu anche poeta, del quale Cicerone ci offre un ironico ritratto, come di un intellettuale elegante e colto, un po’ troppo condiscendente con i personaggi in vista (in Pisonem 70).


Il de rerum natura di Lucrezio

Molto diverso da questo epicureismo, trasformato quasi in una moda intellettuale, fu quello che Lucrezio adottò come propria filosofia di vita e che intese diffondere con il suo poema, il de rerum natura: la filosofia è per lui l’unico strumento capace di correggere gli errori e di risolvere le angosce degli uomini disperdendone l’ignoranza.

Lo stoicismo

Ma fu soprattutto lo stoicismo ad adattarsi alla mentalità dei Romani ai quali offrì la giustificazione teoretica per la loro concezione dell’honestum come officium, una forma di dovere soprattutto civile, e per la loro aspirazione al primato politico inteso come magnanimitas messa a servizio dello stato.
Grazie al razionalismo stoico i Romani elaborarono anche un loro pensiero scientifico nella religione, nel diritto, nella linguistica.

Otium e impegno politico

Con lo stoicismo i Romani elusero il rischio più grave che la diffusione della filosofia poteva comportare: che il civis intendesse l’otium come rifiuto dell’impegno politico e civile.
Alla filosofia, intesa sempre come concreta applicazione dell’etica, i Romani preferirono dedicarsi in parallelo all’attività politica o quando fossero impossibilitati a praticarla.

Zenone

Zenone


Cicerone e la filosofia

A Cicerone spetta il merito di aver fondato la prosa filosofica latina con un’intensa produzione che, stesa tra il 45 e il 44, affronta il problema morale, religioso e gnoseologico sulla base delle principali dottrine greche.
In un’epistola ad Attico (12, 53, 3) egli sostiene che le sue opere sono semplici copie (apographa) di originali greci.

Cicerone

Cicerone


Le opere filosofiche

Ma in effetti il suo scopo era prettamente ‘romano’: formare a un’etica conforme ai principi del mos maiorum il nuovo ceto dirigente che intorno alla metà del I sec. a. C. si affacciava sullo scenario politico e sociale di Roma.
Il de finibus bonorum et malorum, le Tusculanae disputationes, il de officiis trattano il problema morale; il de natura deorum, il de divinatione e il de fato quello religioso.

Il probabilismo

Dichiaratamente ostile all’epicureismo per il disimpegno politico che predicava, più propenso allo stoicismo, Cicerone non aderì però a nessuna scuola filosofica ma preferì giungere alla conoscenza della norma morale misurandone la concreta percorribilità e la contiguità al vero (probabilitas).


Il metodo

La lezione, che gli veniva da Socrate, determinò anche la scelta del metodo dialogico grazie al quale nelle sue opere le posizioni delle principali dottrine filosofiche, quella accademica, la peripatetica, la stoica, l’epicurea, vengono messe di volta in volta a confronto su determinati problemi allo scopo di verificarne il grado di vicinanza al vero.
Il problema della certezza del vero nel processo della conoscenza è trattato negli Academica.

La filosofia politica

Alla filosofia Cicerone era giunto occupandosi di politica e di diritto: nelle sue prime opere, il de re publica (54 a. C.) e il de legibus (51), discute rispettivamente della migliore forma di costituzione e della tradizione giuridica romana.


Pensiero e azione

Per Cicerone ‘filosofo’ non c’è pensiero teoretico slegato dall’azione, e l’azione deve essere indirizzata sempre a sostegno dello stato.
L’individuo deve dunque promuovere le proprie doti non per sé stesso ma per collocarsi all’interno della società decorosamente e con un ruolo adatto alle sue capacità

L’humanitas

Alla base è indispensabile una formazione culturale completa che guidi il cittadino in ogni sua attività.
Nella nozione ciceroniana di humanitas confluiscono educazione, saggezza, autocontrollo, senso del dovere e del decoro.
Il modello era rappresentato dall’ambiente politico e culturale del circolo degli Scipioni.


I materiali di supporto della lezione

Sulla prosa filosofica a Roma cf. G. Mazzoli, La prosa filosofica, scientifica, epistolare, in La prosa latina. Forme, autori, problemi, Roma 1991, pp. 145 ss.

Sulla diffusione dello stoicismo a Roma cf. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it., Milano 20122, pp. 535 ss.

Per il ruolo di Cicerone ‘filosofo’ in rapporto alla società politica del I secolo a. C. di grande utilità è E. Narducci, Una morale per la classe dirigente, in Marco Tullio Cicerone, I doveri, con un saggio introduttivo e note di E. N., trad. di A. Resta Barrile, Milano 19956, pp. 5-62.

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