Nell’institutio oratoria, come abbiamo visto, Quintiliano definisce Tibullo tersus atque elegans (10, 1, 93), “fine ed elegante”, con riferimento non solo allo stile ma anche alla limpida coerenza del suo discorso poetico.
La sua produzione infatti, databile tra il 30 e il 20 a. C., si caratterizza per una sostanziale fedeltà ad alcuni atteggiamenti esistenziali e artistici: il rispetto dei valori e della lingua del passato, il culto dell’amore e della vita ritirata, il rifiuto della politica attiva.
La prima elegia del primo libro costituisce l’autopresentazione del poeta elegiaco ed è insieme un vero e proprio manifesto di poetica.
In essa ricorrono i temi che animeranno tutta la sua produzione.
L’elegia esprime anche il suo programma di vita: l’accumulo di pronomi personali e possessivi di prima pers. sing. (me e mea a v. 5 in contrapposizione ad alius di v. 1; meus a v. 6; ego a v. 35; me a v. 55 in contrapposizione a te di v. 53; ego a v. 75, in contrapposizione a vos, e a v. 77), l’anafora di non ego a inizio dei vv. 41 e 57 segnano un deciso contrasto tra il modo di vivere del poeta e quello della società che lo circonda.
Il primo motivo, ad apertura di componimento e dell’intera raccolta, è il contrasto tra divitiae e paupertas (vv. 1-6): un tema tanto più attuale nel primo impero che assisteva all’ascesa di nuovi ceti dominati dal desiderio di affermazione sociale ed economica.
Al rifiuto della ricchezza si affianca quello del labor: alla visibilità acquisita con le cariche pubbliche e col servizio prestato nella nuova burocrazia imperiale Tibullo preferisce decisamente l’inertia e l’allontanamento da Roma.
Il rifugio in campagna si configura perciò per il poeta come la scelta di un’esistenza serena, segnata da un lavoro nei campi scelto con consapevolezza e nella certezza di poter ricavarne sufficienti mezzi di sussistenza (vv. 7-10).
La sicurezza del poeta poggia anche sulla sua devozione per le semplici divinità agresti, Cerere, Pale, Priapo, perfino il primitivo dio Termine, e i Lari, che non necessitano di sontuosi strumenti di culto (vv. 11-20).
La coscienza del contrasto tra l’attuale modestia del suo regime di vita e la passata opulenza si risolve perciò in una serena accettazione (vv. 41-44).
La rinuncia all’affermazione sociale ed economica si configura anche come attaccamento alla propria terra e ai propri affetti e rifiuto di barattarli con viaggi in terre lontane lucrosi ma apportatori di pericoli e di un’inevitabile lacerazione dei sentimenti (vv. 45-52).
Per amore di Delia Tibullo non ha timore neanche di contrapporsi a Messalla, il suo potente amico, al quale augura di mettersi in luce con le sue campagne di guerra (vv. 53-58).
La sua guerra, dichiara in chiusura, si combatte con l’allontanamento da una società della quale non condivide i valori (vv. 75-78).
E in effetti la sua esperienza militare fu breve dal momento che, costretto a partire per la guerra, come dichiara nell’ultima elegia del primo libro (v. 13), una provvidenziale malattia lo costrinse a tornare in patria.
L’elegia che chiude il libro ripropone i temi che lo avevano aperto, ma con un tono più vibrato.
Il motivo iniziale –la condanna delle armi (vv. 1-4)- e quello finale –l’elogio della pace (vv. 67 s.)- sono tra loro collegati.
La polemica iniziale contro l’inventor delle armi, di ascendenza callimachea e catulliana, si risolve in una condanna di carattere morale: è l’avidità degli uomini, infatti, ad averli indotti a un uso perverso di strumenti potenzialmente utili (vv. 5-8).
Il pensiero del poeta torna perciò a un passato lontano nel quale la semplicità dei costumi valeva anche a preservare la vita (vv. 11-14).
Se infatti nella prima elegia il rifiuto della guerra era motivato dal desiderio di rimanere accanto alla sua donna, ora su di lui grava il pensiero della morte (vv. 33-38).
L’elogio della semplice vita agreste induce il poeta a costruire una scena non priva di comicità: il protagonista, un contadino ubriaco, di ritorno a casa sul suo carro, risolve un litigio con la sua donna picchiandola (vv. 51-56): agli scontri di guerra si sostituiscono quelli d’amore.
La poesia di Tibullo non manca di personaggi da commedia come la mezzana, il soldato, l’amante ricco.
Ma anche in amore il poeta elegiaco rifiuta la violenza: all’elegante puella i bella Martis dovranno costare al massimo la lacerazione della veste sottile, il disordine dei capelli e qualche lacrima (vv. 59-66).
Chi ama la guerra -conclude il poeta- non può godere dell’amore e degli altri vantaggi della pace, le messi e i prodotti dei campi.
L’elegia e il libro si chiudono perciò con lo stesso tema, quello della serenità e della semplice ricchezza della vita agreste, con cui esso si era aperto.
1. Nascita e sviluppo della letteratura latina. I generi letterari; il rapporto otium-negotium
2. L’accento latino: cenni di prosodia
3. Caratteri della poesia drammatica latina. Il teatro comico di Plauto e di Terenzio
4. L’Aulularia di Plauto. Struttura, temi, problemi
5. Nascita e sviluppo dell’epica latina. Da Livio Andronico a Virgilio
6. Nozioni di metrica latina. Lo schema dell’esametro e del pentametro
7. Oratoria e retorica a Roma. La pro Archia di Cicerone
8. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La satira
9. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La poesia del disimpegno
10. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La diffusione della filosofia
11. Il de rerum natura di Lucrezio. Il terzo libro: tra etica e psicologia
13. Forme della scrittura storica. Le monografie di Sallustio
14. Caratteri della letteratura augustea. I circoli, i generi letterari; la prosa tecnica
15. Caratteri della letteratura augustea: poesia e poetica
16. Periodizzazione, temi e problemi della poesia oraziana
17. La letteratura epistolare. Struttura e temi
18. L’elegia latina: un genere problematico
19. Il ‘canone’ dei poeti elegiaci
20. Le elegie 1 e 10 del primo libro di Tibullo. La presentazione e il congedo del poeta
Oltre ai commenti (cf. Tibullo, Le elegie, a c. di F. Della Corte, Milano 1980, e per il I libro R. Perrelli, Commento a Tibullo: Elegie, libro I, Soveria Mannelli 2002) di utile e più generale lettura sono i saggi contenuti in La lingua poetica latina, a c. di A. Lunelli, Bologna 20114.
1. Nascita e sviluppo della letteratura latina. I generi letterari; il rapporto otium-negotium
2. L’accento latino: cenni di prosodia
3. Caratteri della poesia drammatica latina. Il teatro comico di Plauto e di Terenzio
4. L’Aulularia di Plauto. Struttura, temi, problemi
5. Nascita e sviluppo dell’epica latina. Da Livio Andronico a Virgilio
6. Nozioni di metrica latina. Lo schema dell’esametro e del pentametro
7. Oratoria e retorica a Roma. La pro Archia di Cicerone
8. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La satira
9. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La poesia del disimpegno
10. La crisi della società romana tra II e I sec. a. C. La diffusione della filosofia
11. Il de rerum natura di Lucrezio. Il terzo libro: tra etica e psicologia
13. Forme della scrittura storica. Le monografie di Sallustio
14. Caratteri della letteratura augustea. I circoli, i generi letterari; la prosa tecnica
17. La letteratura epistolare. Struttura e temi
18. L’elegia latina: un genere problematico
19. Il ‘canone’ dei poeti elegiaci
20. Le elegie 1 e 10 del primo libro di Tibullo. La presentazione e il congedo del poeta
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