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Antonella Borgo » 7.Oratoria e retorica a Roma. La pro Archia di Cicerone


Oratoria e retorica

In primo luogo è necessario distinguere l’oratoria, l’eloquenza praticata, dalla retorica che è la scienza del dire e ne fissa le regole teoriche.
In età repubblicana, in assenza di una scuola specificamente destinata all’insegnamento di questa disciplina, la formazione dei giovani fu per lo più compito dell’oratore attraverso l’esempio concreto offerto dalla sua attività e poi anche con la stesura di veri e propri manuali.

L’oratoria come strumento politico

Ma, soprattutto, a Roma l’oratoria si configurò subito come uno strumento prestato alla politica: è il caso, ad esempio, di Appio Claudio Cieco che nel III sec. a. C. parlò ai senatori per convincerli a non accettare le proposte di pace di Pirro, e di Catone che, per scoraggiare l’impegno romano in Grecia, nella pro Rhodiensibus si oppose all’intervento contro Rodi, accusata di slealtà durante la terza guerra macedonica.

Eloquenza, pathos ed ethos

In queste prime esperienze oratorie si nota una forte coloritura patetica che rimarrà un tratto costante dell’oratoria latina.
Inoltre, si riteneva necessario che, più delle conoscenze teoriche, l’oratore possedesse doti morali e civili: il modello proposto da Catone era quello del vir bonus dicendi peritus.


L’eloquenza prima di Cicerone

Delle cinque parti nelle quali si articolava per convenzione l’arte del dire (inventio, dispositio, memoria, elocutio e actio) solo una generazione prima di Cicerone M. Antonio, di cui è tratteggiato un vivace ritratto nel Brutus, mostrava di privilegiare la memoria e l’actio, il modo di porgere, piuttosto che la lingua.
Lucio Licinio Crasso prestava invece una maggiore cura alla forma.
Entrambi furono maestri di Cicerone.

L’influenza della retorica greca

L’attenzione per la forma presupponeva la conoscenza della tecnica retorica greca e, dunque, l’appartenenza a un ambiente socialmente elevato e politicamente impegnato.
Tuttavia, questa competenza a volte veniva dissimulata per una forma di rispetto verso la tradizione culturale romana.


I rhetores Latini

Per questo motivo, quando all’inizio del I sec. a. C. Plozio Gallo fondò a Roma una scuola di retorica latina, che trascurava i modelli greci e le esercitazioni in greco, i censori Licinio Crasso e Domizio Enobarbo, come ci conferma più di una fonte, la chiusero accusandola di impudentia: la scuola permetteva infatti l’accesso allo studio e, in prospettiva, alla gestione della politica a giovani di famiglia plebea.

I primi trattati di retorica

I primi testi scritti furono la rhetorica ad Herennium e il de inventione di Cicerone.
La prima, di autore anonimo, sembra legata all’ambiente di Plozio Gallo e, politicamente, alla parte dei populares.
Nella seconda Cicerone ribadisce la necessità di uno stretto legame tra eloquenza ed etica.

Marco Tullio Cicerone

Marco Tullio Cicerone


Le opere retoriche di Cicerone

Opere più mature furono il de oratore e l’orator nelle quali Cicerone tratta della precettistica e traccia la figura del perfetto oratore come colui che, accanto alle competenze giuridiche e retoriche, possegga una vasta cultura storica, letteraria e filosofica.
Nel Brutus, dopo una rapida rassegna dell’eloquenza greca, viene proposta un’ampia storia dell’oratoria latina.

Cicerone oratore

Come oratore Cicerone seguì l’indirizzo rodiese, appreso dal maestro Apollonio Molone di Rodi, che si poneva a mezza strada tra lo stile asiano, caratterizzato da una prosa esuberante e ricca di artifici, e quello atticista, più sobrio e misurato.
Delle sue orazioni egli curò spesso la pubblicazione mostrando di considerarle anche un prodotto letterario.

Le orazioni politiche

L’attività di avvocato lo mise in contatto con gli ambienti politici, anche municipali, che lo sostennero nella corsa al consolato.
Le più celebri orazioni politiche furono le Catilinarie (63 a. C.), la pro Milone (52) in difesa dell’uccisore di Clodio, e, naturalmente, le Filippiche, pronunciate contro Antonio, che gli costarono la vita.


La pro Archia

Tra quelle di argomento non politico merita di essere ricordata la pro Archia, pronunciata in difesa di questo poeta nel processo che gli fu intentato nel 62 a. C. con l’accusa di aver usurpato la cittadinanza romana.


Chi era Archia?

Nato nel 120 a. C. ad Antiochia, Archia aveva acquisito grande fama in Asia, in Grecia e nell’Italia meridionale dove città come Napoli, Taranto e Reggio gli avevano concesso la cittadinanza per i suoi meriti artistici.
Dall’89, in virtù della legge Plautia-Papiria, aveva assunto anche la cittadinanza romana.

La causa

Gli venne però contestato di non essere in possesso dei tre requisiti richiesti dalla legge perché

  • non esistevano documenti che attestassero che era cittadino dell’urbs foederata di Eraclea;
  • non era residente in Italia quando fu promulgata la legge;
  • non era possibile provare che si fosse presentato in tempo davanti al pretore.

Ma in effetti sullo sfondo c’era la rivalità tra Pompeo e Lucullo, protettore di Archia, in relazione alle campagne in Asia.


L’elogio della poesia

In assenza di prove testimoniali Cicerone articola perciò la sua difesa sui meriti poetici di Archia e su un vibrato elogio degli studi letterari ai quali riconosce il merito di accompagnare l’uomo in tutte le età offrendogli conforto e sostegno.


L’uso strumentale della poesia

Ma, soprattutto, Cicerone non nasconde la speranza che l’attività di Archia possa servire a celebrare le virtù degli uomini che hanno ben meritato nei confronti dello stato, a cominciare da sé stesso e dal suo consolato.
Si confermava così la funzione strumentale che a Roma la politica assegnava all’intellettuale a sostegno dello stato e delle personalità che lo guidavano.

I materiali di supporto della lezione

Di grande utilità, anche per comprendere lo stretto rapporto tra oratoria romana e politica, è il capitolo Oratoria e retorica curato da E. Narducci e contenuto in La prosa latina. Forme, autori, problemi, a c. di F. Montanari, Roma 1991, pp. 95-143.

Approfondimento

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