Confessiones
Definizione icastica di Trapé (Agostino Trapé, Opere di Sant’Agostino. Introduzione generale, Città Nuova Editrice, Roma, 2006, p. CIV): “una lunga lettera a Dio, nella quale Agostino narra, interroga, risponde, geme, discute, invoca, loda, ringrazia ma soprattutto esprime il suo amore a Dio e il suo bruciante desiderio di essere vicino, faccia a faccia, al divino destinatario”.
Confessiones I 1 inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te.
Esperienza personale di ricerca del vero, inquietudine che nasce dalla consapevolezza dei limiti umani.
Conf. X 11. 19. Tutto crolli, sbarazziamoci di queste vane futilità e votiamoci unicamente alla ricerca della verità! La vita è miserabile, la morte è incerta. Potrebbe sopravvenire all’improvviso, e allora come usciremmo da questo mondo? dove potremmo imparare quanto qui abbiamo negletto? Non dovremmo pagare piuttosto il fio della presente negligenza? E se la morte stessa troncasse e concludesse ogni angustia insieme alla sensibilità? Anche questo è un problema da investigare. Ma no, lontano da me il pensiero che sia così. Non senza un motivo, non per nulla l’autorità della fede cristiana s’irradia da tanta altezza sul mondo intero. La divinità non realizzerebbe tante e tali cose per noi, se con la morte del corpo si estinguesse anche la vita dell’anima. Perché dunque esitiamo ad abbandonare le speranze mondane, per votarci totalmente alla ricerca di Dio e della vita beata? No, adagio: anche il mondo è piacevole e possiede una sua grazia non lieve.
Conf. VII 10. 16. Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l’universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte.
VI 11, 20: ” … e il mio cuore oscillava ai venti alterni, e intanto il tempo passava, e io tardavo a convertirmi al Signore e differivo di giorno in giorno la vita in te e non differivo la morte quotidiana in me stesso: l’amavo, sì, la felicità, ma mi faceva paura, là dov’era, e la cercavo fuggendola”.
Esitazioni di Agostino
11. 20. Fra questi discorsi, fra questi venti alterni, che spingevano il mio cuore or qua or là, passava il tempo e io tardavo a rivolgermi verso il Signore. Differivo di giorno in giorno l’inizio della vita in te, ma non differivo la morte giornaliera in me stesso. Per amore della vita felice temevo di trovarla nella sua sede e la cercavo fuggendola. Mi sembrava che sarei stato troppo misero senza gli amplessi di una donna; non ponevo mente al rimedio che ci porge la tua misericordia per guarire da quell’infermità, poiché non l’avevo mai sperimentato. Pensavo che la continenza si ottiene con le proprie forze, e delle mie non ero sicuro. A tal segno ero stolto, da ignorare che, come sta scritto, nessuno può essere continente, se tu non lo concedi. E tu l’avresti concesso, se con gemito interiore avessi bussato alle tue orecchie e con salda fede avessi lanciato in te la mia pena.
Sofronio Eusebio Girolamo
Opere
Sforzo imponente di mettere ordine tra le traduzioni latine della Bibbia preesistenti.
Unica traduzione a tutt’oggi legittimata a circolare come testo definitivo.
Funzione di aggregazione del testo per l’Occidente sconvolto dalle invasioni barbariche.
Critiche alla Vulgata
Incertezza polemica di Agostino che vede in un testo latino che traduce direttamente dall’ebraico senza la mediazione del testo greco dei Settanta, un atto provocatorio nei riguardi della Chiesa di Oriente per la quale il testo dei Settanta costituiva il principale riferimento.
Lettera LVII a Pammachio (De optimo genere interpretandi ): par. 5 fine del tradurre è rendere il significato del testo pertanto bisogna non verbum e verbo, sed sensum exprimere de sensu.
I precedenti letterari a cui si ispira Girolamo nel tradurre
Epist. LVII 5: “Come maestro di questo metodo posso vantare un Cicerone, che ha tradotto il “Protagora” di Platone e l’ “Economico” di Senofonte, senza contare i due magnifici discorsi che si diressero l’un l’altro Eschine e Demostene. Non è questo il momento di mettere in evidenza quanto ha saltato a piè pari, le aggiunte e le variazioni apportate in quelle traduzioni per potere rendere efficacemente nella propria lingua le particolarità idiomatiche dell’altra lingua. Mi accontento anche della sola autorevolezza del traduttore, che nel prologo ai medesimi discorsi si è così espresso: “…ho tradotto le più note orazioni polemiche che i due maggiori esponenti dell’oratoria attica, Eschine e Demostene, si indirizzarono l’un l’altro. Non ho seguito la traduzione come un semplice traduttore, ma da artista della parola, rispettando le loro frasi sia nella forma che nel contenuto. Ho usato, tuttavia, termini adatti al nostro modo di pensare. Per ottenere questo non ho ritenuto necessario fare una traduzione letterale, ma conservare la portata di ogni parola e la loro potenza espressiva”.
Lettere sulla polemica origeniana.
Lettere sulla situazione di Roma dopo il sacco della città del 410.
Epistola VI 127: “Mentre così vanno le cose a Gerusalemme, dall’Occidente ci giunge la terribile notizia che Roma viene assediata, che si compra a peso d’oro la incolumità dei cittadini, ma che dopo queste estorsioni riprende l’assedio: a quelli che già sono stati privati dei beni si vuol togliere anche la vita.
Mi viene a mancare la voce, il pianto mi impedisce di dettare. La città che ha conquistato tutto il mondo è conquistata: anzi cade per fame prima ancora che per l’impeto delle armi, tanto che a stento vi si trova qualcuno da prendere prigioniero. La disperata bramosia fa sì che ci si getti su cibi nefandi: gli affamati si sbranano l’uno con l’altro, perfino la madre non risparmia il figlio lattante e inghiotte nel suo ventre ciò che ha appena partorito. Moab fu presa, di notte sono state devastate le sue mura.
O Dio, sono penetrati i pagani nella tua eredità, hanno profanato il tuo santo tempio; hanno ridotto Gerusalemme in rovine. Hanno dato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, i corpi dei tuoi fedeli alle bestie selvatiche. Hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e non c’è chi seppellisca.
Come ridire la strage, i lutti di quella notte?
Chi può la rovina adeguare col pianto?
Cadeva la città vetusta, sovrana nel tempo:
Un gran numero di cadaveri erano sparsi per le strade e anche nelle case. Era l’immagine moltiplicata della morte.
Epist. XXII alla vergine Eustochio: “Quale miserabile uomo io ero! Digiunavo per leggere Cicerone; dopo aver trascorso molte notti sveglio, dopo molte lacrime, che il ricordo dei miei peccati precedenti faceva scaturire dal profondo del mio cuore, prendevo in mano Plauto. Se talvolta ritornando in me stesso cominciavo a leggere un Profeta, lo stile disadorno mi sembrava orribile, e, giacché, avendo gli occhi offuscati, non vedevo la luce, ritenevo che non fosse colpa degli occhi bensì del sole”.
Nell’epistola prima citata Girolamo racconta di una febbre violentissima che lo portò quasi a morte: “Si preparavano allora le esequie e, mentre si andava raffreddando tutto il corpo, lo spirito vitale palpitava…quand’ecco rapito in estasi, vengo trascinato al tribunale del Giudice…Richiesto della mia condizione risposi che ero un cristiano. E quello che presiedeva ribatté: “Tu menti: sei un ciceroniano, non un cristiano. Dove c’è il tuo tesoro, lì c’è anche il tuo cuore”.
Liber contra Helvidium de perpetua virginitate Mariae XII: “Noi non abbiamo interesse per il campo dell’eloquenza retorica, né per le trappole dei dialettici, e neppure andiamo alla ricerca delle sottigliezze di Aristotele, bensì devono essere prese in considerazione le autentiche parole della Scrittura”.
Invito a evitare ogni contatto con la cultura pagana
Girolamo sollecita i cristiani a non inviare i figli presso le scuole pagane dove l’insegnamento è incentrato su Omero e Virgilio.
Eppure nell’epistola a Laeta rielabora le idee pedagogiche di Quintiliano per educare la giovane
Nel 401 l’amico Rufino (Apol. adv. Hier. II 7) accusa Girolamo di non aver perseguito i suoi propositi dal momento che, a suo parere, sono ancora troppo frequenti nelle sue opere le citazioni degli auctores classici.
Difesa di Girolamo che chiede la testimonianza di Paola e Eustochio (in Gal. III praef.): ” Anche voi sapete che da più di quindici anni non prendo in mano Tullio né Marone né alcun autore di letteratura pagana; se per caso qualcosa di essi dovesse spuntare fuori mentre parlo, è che li ricordo nebulosamente come sogni remoti”.
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