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Adele Nunziante Cesaro » 6.Le allieve post freudiane divergenze in psicoanalisi


K. Horney. Sulla genesi del complesso di castrazione (1923)

K. Horney 1923-1933 (Sulla genesi del complesso di castrazione, 1923) critica che il complesso di castrazione nelle donne origini dall’invidia del pene. Se l’assunto che la metà della razza umana sia insoddisfatta del proprio sesso può sembrare evidente di per sé al narcisismo maschile, essa risulta insoddisfacente per il narcisismo femminile e per la scienza biologica. A livello preedipico le bambine invidiano veramente il pene, perché dà ai maschietti dei vantaggi reali (al getto d’urina si associano fantasie di onnipotenza a carattere sadico, quando urinano hanno sia la possibilità di guardarsi i genitali e ciò soddisfa desideri scopofilici ed esibizionistici, sia quella di toccarsi i genitali e ciò viene visto come assenso alla masturbazione). Questo desiderio narcisistico primario, giustificato nelle bambine, non inficia assolutamente lo sviluppo psicosessuale femminile e ha un suo corrispettivo nei bambini, che desiderano possedere il seno e di avere un bambino.

K. Horney: le anticipazioni dell’identità sessuata femminile originaria

La bambina supera l’invidia del pene identificandosi con la madre e desiderando le sue stesse gratificazioni: il padre ed un bambino da lui, fantasmatizzando un rapporto sessuale completo col genitore. Ma nelle bambine che svilupperanno un complesso di castrazione, il desiderio insoddisfatto le spinge sia ad abbandonare il padre come oggetto damore, perché colpevole di averle sedotte e poi respinte, sia ad identificarsi con lui (l’omosessualità femminile ne è una possibile conseguenza). Inoltre, collegata alla fantasia di incesto paterno è la convinzione, carica di sensi di colpa, di aver subito la castrazione in virtù del rapporto sessuale col padre.  La sequenza invidia del pene-complesso di castrazione-identificazione col padre viene capovolta: è la mancata realizzazione dei desideri edipici femminili a spingere la bambina al rifiuto del suo ruolo sessuale e ad arroccarsi su posizioni mascoline.  La Horney con quest’affermazione si differenzia da Freud e anticipa la posizione della Klein: la bambina ha fin dall’inizio unidentità sessuata al femminile, che si rivela però insostenibile di fronte all’angoscia e al senso di colpa promossi dalla situazione edipica e che la spingono su posizioni maschili più sicure.

K. Horney: la fuga dalla femminilità per il maschio

Entrambi i sessi posseggono una conoscenza istintiva della vagina, solo l’angoscia ad essa collegata è responsabile della sua denegazione. Nel maschio quest’angoscia è dovuta all’istintiva consapevolezza di avere un pene troppo piccolo per soddisfare la grande vagina materna, da qui il timore di essere respinto e deriso (per cui la paura rispetto al sesso femminile esprimerebbe una difesa dell’amor proprio rispetto al desiderio di soddisfacimento dell’organo femminile). La rabbia edipica connessa al rifiuto materno e alla ferita inferta al suo orgoglio maschile riattiva gli elementi pregenitali di astio contro la madre (proibizione materna della masturbazione e impulsi sadici rivolti alla madre frustrante) connotando di sadismo gli impulsi penetrativi, sicché i genitali materni diventano carichi di pericoli, costituendosi come oggetto dell’angoscia di castrazione. In seguito alla frustrazione edipica si verifica l’introversione narcisistica della libido sul pene, ristabilendo un narcisismo fallico reattivo (gli organi femminili non esistono più, la vagina viene ignorata e negata per cui la fase fallica è secondaria e difensiva anche nel maschietto).

K. Horney: la fuga dalla femminilità per la femmina

Nella femmina la vagina svolge sin dall’inizio il suo vero ruolo sessuale ed è dunque ben nota alla bambina, ma subisce una rimozione a seguito dell’inclinazione all’angoscia che è parte della struttura biologica della bambina. La bambina teme infatti, nella sproporzione tra i suoi genitali e quelli paterni, di essere danneggiata e lacerata dalla penetrazione; lacerazione che trova conferme, in parte, nella realtà del sangue mestruale. L’abbandono della naturale posizione femminile è dunque una costrizione che comporta il cercare rifugio in un ruolo maschile fittizio, rimuovendo tutto ciò che è connesso con la vagina. Dunque se la paura dell’uomo nei confronti della donna è genitale-narcisistica, la paura  della donna nei confronti dell’uomo è fisica.

K. Horney, ulteriori precisazioni sull’invidia del pene

La Horney sostiene , inoltre, che: Freud era un uomo per cui è naturale che si sia occupato maggiormente della sessualità maschile e che abbia trattato la sessualità femminile da un punto di vista essenzialmente maschile.

Il desiderio di essere un uomo, riscontrato nelle analisi di alcune pazienti adulte non è il prosieguo dell’iniziale invidia del pene, quanto piuttosto una formazione secondaria, espressione degli insuccessi che sono propri dello sviluppo femminile.  La masturbazione clitoridea non ha caratteristiche falliche, prima di tutto per la tecnica di stimolazione della clitoride e poi perché si accompagna a fantasie incestuose centrate sull’idea di un grosso pene che penetra violentemente (la bambina dunque basa le sue fantasie più realisticamente sulla sproporzione tra i suoi genitali e quelli paterni).  La stessa invidia narcisistica per il pene maschile sarebbe ascrivibile all’attrazione tra i sessi, espressione di un’amore parziale precedente all amore per il padre nella sua interezza.

M. Klein e la retrodatazione del complesso edipico

M. Klein 1926-1935 (I principi psicologici dell’analisi infantile, 1926; I primi stadi del conflitto edipico, 1928) le tendenze edipiche insorgono a seguito delle frustrazioni orali provate dal bambino per effetto dello svezzamento sicché compaiono tra la fine del I anno di età e l’inizio del II  e sono successivamente rafforzate dalle frustrazioni anali che il bambino subisce nel periodo dell’avvezzamento alla pulizia. Ne La psicoanalisi dei bambini (1932) retrodata l’insorgenza degli impulsi edipici collegandoli non tanto allo svezzamento, quanto piuttosto alle inevitabili frustrazioni relative all’allattamento; frustrazioni che accomunano i bambini di entrambi i sessi e in virtù delle quali si determina l’investimento libidico sul pene paterno, nei confronti del quale i bambini di entrambi i sessi si pongono assumendo una posizione femminile (una femminilizzazione primaria dell Edipo che discosta enormemente la posizione kleiniana da quella freudiana). Il pene si inserisce infatti come elemento parziale nella relazione madre-bambino e su di esso viene esteso il rapporto che il neonato di entrambi i sessi ha col seno parziale (buono o cattivo). Col rafforzarsi delle pulsioni genitali il bambino assumerà come nuova meta pulsionale attiva la penetrazione e, dal momento che possiede il pene, la ricerca di una cavità in cui introdurre il proprio pene, lo spingerà verso il corpo e i genitali della madre.

M. Klein e il Super Io femminile

La bambina, per l’equivalenza pene-seno, attiverà le caratteristiche orali ricettive dei propri genitali femminile, preparando la vagina a ricevere il pene. Il desiderio del pene ha quindi carattere libico ed oggettuale (non narcisistico ) e, introiettato nel suo duplice aspetto, buono e cattivo, andrà a costituire il Super Io nella sua forma più arcaica. A differenza di Freud, la Klein sostiene che la bambina sia più portata ad introiettare il pene paterno, per il quale nutre ammirazione e desiderio, pertanto il Super Io che si viene a costituire sarà certamente per lei forte e per lei fonte di subordazione.  Ne viene di conseguenza che l’introiezione di un buon pene paterno conduce la bambina verso buone relazioni eterosessuali. Al contrario, l’introiezione di un pene cattivo, insieme agli attacchi rivolti alla madre onnipotente che frustra, al suo interno ricco di cose buone di cui la bambina è privata e alla figura genitoriale
combinata (fantasia in base alla quale madre e padre vengono immaginati in uno stato perenne di gratificazione reciproca) alimentano nella bambina l’angoscia per l’interno del proprio corpo che, non visibile, rischia dessere attaccato e distrutto.

M. Klein e il teatro interno della donna

In questo caso la donna sarà costretta a mettere in atto continuamente meccanismi di compensazione, che le consentano di far fronte all’angoscia provocata  dei cattivi oggetti dell’interno: il masochismo, la frigidità e/o la ripetizione ossessiva del coito, il sadismo, sono le risultanti tipiche dell introiezione di un pene eccessivamente cattivo.  L’incontrollabilità di questa situazione interna e l’angoscia che ne scaturisce comporta la rimozione della vagina in funzione di un organo visibile e più rassicurante: la clitoride. Su questo spostamento vanno ad innestarsi il complesso di castrazione e l’invidia del pene, come formazioni secondarie che mirano a fronteggiare le angosce connaturate allo sviluppo della sessualità femminile. L’identificazione fallica della bambina col padre, le consente di appropriarsi di un pene che conferma la propria integrità, che distrugge la madre frustrante (identificazione col pene sadico) e/o che la ripara (identificazione col pene benefico) dei danni prodotti dagli attacchi distruttivi che bambina le ha inferto in fantasia.

E. Jones: il concetto di afanisi

E. Jones 1927-1935  (Lo sviluppo primario della sessualità femminile, 1927) richiama l’attenzione sul pregiudizio fallocentrico, in base al quale si è sottovalutata l’importanza degli organi genitali femminili e non si è sufficientemente problematizzato l’utilizzo, in entrambi i sessi, di un concetto basilare per la comprensione dello sviluppo psichico: il complesso di castrazione che, secondo Jones, è un’espressione particolare di un timore che accomuna entrambi i sessi, quello dell’afanisi, ovvero dell’estinzione totale e permanente della capacità di godimento sessuale, peraltro alla base di tutte le nevrosi. Le differenti modalità di espressione dell’afanisi nei due sessi comportano che, se nel maschio questa viene ad identificarsi con l angoscia di castrazione, nella femmina -a causa della sua costituzione fisiologica che la rende più passiva e dipendente dal partner per la sua gratificazione sessuale- l afanisi viene a coincidere con la paura di separazione, di cui l’angoscia abbandonica sarebbe una manifestazione.

E. Jones: l’invidia del pene ed i desideri edipici

In accordo con quanto sostenuto da Klein, Deutsch, Horney, J. sottolinea che l invidia del pene, riscontrabile nelle nevrosi, esprime un investimento regressivo dovuto alla frustrazione dei desideri edipici. Alla bambina, di fronte all’irrealizzabilità del desiderio del pene (desiderio edipico del padre che J. distingue dall’invidia preedipica) non resta che scegliere tra due possibilità: sacrificare il suo attaccamento erotico all’oggetto-padre, rinunciandovi (cosa che conduce alla libido adulta eterosessuale per l’investimento su oggetti-sostitutivi del padre); oppure sacrificare la sua femminilità, rinunciando al desiderio femminile e alla vagina secondo il modello dell’identificazione col padre ed il complesso del pene (alla base dell omosessualità femminile, che tra l’altro si configura come una difesa, perché mette al riparo la donna dal desiderio del padre, attraverso l’illusione di possedere il pene come attributo proprio). Questo meccanismo apparterrebbe, secondo Jones (La fase fallica, 1932), alla fase fallica femminile, che pertanto assume un carattere secondario e difensivo, conseguente alla frustrazione dei desideri edipici.

E. Jones e le distinzioni della fase fallica

Entro la fase fallica, J. distingue due sotto-fasi:

  1. la fase protofallica, caratterizzata dall ignoranza, a livello cosciente, della differenza sessuale e dalla convinzione dell esistenza di un unico organo sessuale a carattere maschile (il pene per i maschietti, la clitoride per le femminucce)
  2. la fase deuterofallica, in cui la differenza sessuale non è concepita nei termini maschile-femminile, ma nell’opposizione fallico-castrato. Quest ultima sottofase ha un carattere più nevrotico e si riscontra in entrambi i sessi, scatenata dall’angoscia di castrazione

Nella femmina sono presenti sin dalla fase orale moti libidici verso il pene che, in origine, sarebbe attribuito alla madre come pene-capezzolo e, successivamente, sarebbe fantasmatizzato come derivante dal padre e incorporato nella madre oralmente attraverso la fellatio (fantasia del genitore combinato). Verso il pene la bambina nutre generalmente desideri alloerotici e femminili, vorrebbe cioè incorporarlo per farne scaturire dei figli (da cui vediamo che il desiderio di un bambino non si esprimerebbe come sostituzione del fallo  mancante, ma come formazione primaria dovuta all’accostamento capezzolo-pene-escrementi-bambino).

E. Jones: precisazioni sull’Edipo femminile

Il fantasma del genitore combinato costituisce nella bambina il punto di partenza del suo attaccamento al padre; di conseguenza l’Edipo si instaura precocemente, quando la bambina si accorge che la madre ottiene dal padre tutto quel che lei desidera (pene e bambini).  La conseguente rivalità con la figura materna alimenta unostilità forte, che già era cominciata con le
frustrazioni dovute all’allattamento. Ma a questa va ad aggiungersi anche l’ostilità verso la figura paterna, che, per mezzo del coito orale, incorpora gli oggetti del desiderio infantile (seno e latte). A seguito di questa configurazione si sviluppa una tendenza attiva fallica rivolta contro la madre, evidente nel desiderio di mordere e inghiottire il pene paterno, da utilizzare come arma contro la madre, la quale, privata del pene rubatole dalla bambina, potrebbe rivolgerle attacchi ritorsivi. Quando la bambina comprende che è il padre il detentore del pene, l’attaccamento verso di lui aumenta (Edipo), ma con esso aumenta anche l’ostilità nei suoi confronti (a causa della frustrazione inflitta alla bambina dall insoddisfazione del suo desiderio).

E. Jones: specificazioni della fase deuterofallica nei due sessi

Sulla base dell’angoscia generata dall’Edipo, si innesca la fase deuterofallica, dove l’invidia del pene ha lo scopo difensivo di salvare la libido femminile minacciata dall’angoscia rivendicativa genitoriale e di deviarla in direzione autoerotica, su posizioni, cioè, più sicure. Un autoerotismo che, con la negazione della vagina, esprime un compromesso nevrotico tra libido e angoscia, ma che è presente, seppur differentemente, in entrambi i sessi.  Nel maschio, infatti, la fase deuterofallica è caratterizzata sia da un iperinvestimento narcisistico del proprio pene che sfocia in manifestazioni esibizionistiche, sia da un disinvestimento parziale delle relazioni oggettuali soprattutto nei confronti dell altro sesso. Secondo Jones la paura della castrazione si associa alla rimozione del desiderio di assumere un atteggiamento passivo, femminile, nei confronti del pene paterno, incorporato nella madre.  Le frustrazioni inferte dalla madre durante l’allattamento, per l’equivalenza pene-capezzolo, portano il bambino a credere nell esistenza di un pene materno, gratificante e pericoloso.

E. Jones: specificazioni della fase deuterofallica nei due sessi (segue)

Il desiderio del bambino di impossessarsi del contenuto del corpo materno, utilizzando il proprio piccolo pene come arma, si accompagna al timore che la madre possa distruggerlo e che si arrivi allo scontro col grande pene paterno in essa contenuto. Penetrare nella vagina materna può dunque comportare la perdita, soprattutto per la ritorsione paterna, del proprio organo genitale (angoscia di castrazione). La vista dei genitali femminili conferisce una prova di realtà alla minaccia di castrazione, ma -a differenza di quanto affermato da Freud- ciò si verifica perché si evidenzia la possibilità di penetrazione in un organo cavo, che riattiva l’angoscia di castrazione per la ritorsione paterna. Anche nel bambino, quindi, lo stadio fallico
esprime un compromesso nevrotico, piuttosto che una naturale evoluzione dello sviluppo sessuale; esso infatti comporta un arroccamento difensivo, su posizioni autoerotiche. Solo successivamente il maschio potrà rivendicare ciò a cui ha rinunciato, ovvero gli impulsi maschili necessari a giungere alla vagina.

E. Jones, esiti del complesso edipico nei due sessi

Nel conflitto edipico, per entrambi i sessi, il coito incestuoso porta con sé la paura di una mutilazione inflitta dal genitore rivale: il bambino teme la castrazione da parte del padre se penetra nella vagina, la bambina teme la mutilazione da parte della madre se si permette di avere una vagina penetrabile. Per sfuggire a questo pericolo entrambi i sessi sono costretti a denegare l’esistenza della vagina, associata alle angosce di castrazione e mutilazione e a rifugiarsi nella fase deuterofallica: “il precedente alloerotismo eterosessuale della prima fase, viene nella fase deuterofallica in entrambi i sessi largamente trasformato in autoerotismo omosessuale sostitutivo. Quest’ultima fase sarebbe quindi in entrambi i sessi non tanto un
puro sviluppo libidico quanto un compromesso nevrotico tra libido e angoscia.”

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