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Adele Nunziante Cesaro » 12.Il corpo saturato: la spinta a procreare nella dinamica pieno-vuoto.


Sentimento ed istinto materno

Fin qui sono state illustrate le dinamiche inconsce che sottendono la spinta a riprodursi. Ciò che la psicoanalisi ha consentito di mettere in evidenza è la riduttività implicita nel concetto di istinto materno, immaginato come una dimensione priva di conflitti, laddove sarebbe più proprio parlare di sentimento materno, in quanto concetto in grado di dire la profonda ambivalenza che connota il vissuto della madre in rapporto al proprio figlio. Parlare di istinto materno sembrerebbe infatti implicare un insieme di qualità naturalmente positive, in assenza delle quali le donne con vissuti conflittuali in rapporto alla generatività, si prefigurano come devianti.
Il sentimento materno sembra trarre le mosse da fasi di sviluppo edipiche e preedipiche in cui si realizzano processi mentali profondi per l’acquisizione della propria identità femminile.

La posizione materna e le vicende identitarie

Il nodo cruciale risiede nel difficile percorso dell’identità in relazione ai primi rapporti oggettuali e alla costituzione dell’immagine del Sé corporeo. Ma, sia che l’identità femminile si realizzi attraverso l’identificazione con il potere procreativo della propria madre, sia che si innesti nelle prime rappresentazioni del proprio Sé corporeo cavo, capace di contenere, ricevere ecc., essa sembra comunque debitrice per la sua costituzione alla potenzialità materna.
La gravidanza è dunque un’esperienza psicofisica peculiare, inscritta nel biologico e in relazione non lineare con l’identità sessuata adulta. Sembra rispondere ad un bisogno primario di procreazione da indagare nelle sue matrici inconsce, ma contiene, allo stesso tempo, un’opposizione irriducibile a tale destino.
Il dato biologico appare in tali termini fondante, ma esso si articola secondo modalità complesse e non implica la maternità come strada privilegiata di accesso all’identità sessuale adulta.

Il bisogno di procreazione e le sue implicazioni

Il bisogno di procreazione rimanda alla polarità vita-morte: nella maternità vi è un’adesione implicita alla continuità della specie, nei termini di un bisogno umano di sconfiggere la morte attraverso un’illusione di immortalità di propri tratti irripetibili, che nei figli prendono corpo. Eppure, dare la vita può confondersi con dare la propria vita a colui che la continuerà.
In che rapporto è allora il bisogno di procreazione con lo spazio cavo, suscettibile di essere riempito in modo duraturo e permanente nella gestazione? Se si tiene per fermo il concetto di cavità originaria come esperienza comune ad entrambi i sessi, occorre guardare attentamente alle modalità che informano la distinzione tra maschi e femmine in merito alle questioni dell’identità.
Dal momento che il percorso femminile è di gran lunga più accidentato, la principale differenziazione risiede nelle fantasie gravidiche che nella donna assumono un ruolo aggregante in rapporto alle prime esperienze corporee, alle questioni della bisessualità, alle identificazioni maschili e femminili, materne e paterne.

La dinamica pieno-vuoto

Quando nelle prime fasi di sviluppo si parla di maschile e femminile, si parla di atteggiamenti disposizionali verso l’oggetto che appartengono ad entrambi i sessi. Renata Gaddini (1978) parlava di una tendenza del neonato ad integrarsi con l’oggetto come tensione a diventare completi, usando la felice espressione di “saturazione delle valenze beanti”. Si parla qui di una tendenza che ha a che fare con il senso di pieno e vuoto, nei termini di essere contenuti e penetrare, con il senso di “io ho”, come inteso dalla Tustin (1972) e di essere completo. Nel neonato lo stato di oscillazione tra pieno e vuoto è uno stimolo che lo attiva all’azione e alla ricerca del legame.
Se pensiamo a questa valenza come ad una perenne tendenza dell’individuo, variamente rappresentata, a ripristinare la fusione perduta con l’oggetto, la gravidanza può essere vista come tendenza alla ricerca di integrazione, di legame con l’oggetto, come momento di attuazione della prima spinta fusionale che ha nel corpo femminile, nel cavo, un luogo concreto per esistere.
In questo senso coinciderebbero l’Io ho con l‘Io faccio: essere bambina nel ventre materno e fare un bambino vengono a coincidere nella durata e nel significato simbolico.

La dinamica pieno-vuoto e la gravidanza

La gravidanza si configura perciò come un dato fattuale, riempimento di qualcosa che si è svuotato alla nascita; è un’esperienza che ha la qualità di rammentare qualcosa di mai appreso con la conoscenza, ma conosciuto esistenzialmente, la memoria quindi dello stesso processo ontogenetico.
Questo vissuto non evoca memorie di eventi o rapporti specifici, ma evoca un totale senso psicosomatico di fusione con l’oggetto. Morbido, ventre vuoto e duro, ventre pregno, divengono il connubio tra elementi maschili e femminili, tra essere e fare riproponendo l’indifferenziazione originaria.
Ma, soprattutto, il desiderio di ritorno alla madre preedipica, all’oggetto primario, motore recondito di ogni ricerca della nostra vita, sarebbe alla base della nostalgia fondamentale che troverebbe nella gravidanza una fantasia di attuazione.
Questo desiderio rappresenterebbe il movimento attraverso cui il soggetto è decentrato; la ricerca cioè dell’oggetto di soddisfazione, di mancanza, fa vivere al soggetto che il suo centro non è più in lui, ma che è fuori di lui, in un oggetto da cui è separato, cui cerca di riunirsi per ricostituire il suo centro, attraverso l’unità-Identità, ritrovata nel benessere che segue l’esperienza di soddisfazione.
Si può pensare che ogni donna nel dare corpo, con la gravidanza, al desiderio primario, sperimenti una condizione narcisistica che rappresenta la congiunzione con l’oggetto primario nell’indistinzione.

(In)differenziazione e narcisismo: il rapporto col bambino

Il bambino come oggetto fantasmatico e reale fa parte della madre, dando vita ad una peculiare relazione narcisistica che non è senza scosse, perché quando si presenterà come oggetto distinto parzialmente o totalmente (con i primi movimenti fetali e la nascita) può entrare in rapporto conflittuale col narcisismo materno. Sarà solo con l’identificazione con l’oggetto bambino che la madre può compensare la perdita primitiva dell’Uno, ricostituendo almeno con una parte di sé una condizione di relazione che permetterà al bambino e a sé stessa di ritessere un filo di onnipotenza narcisistica. La relazione primordiale madre-bambino è contraddistinta dall’indifferenziazione, nei termini di una condizione caotica di indistinzione soggetto-oggetto. Si tratta di una situazione narcisistica regressiva. È ipotizzabile che questa condizione non sia immutabile per tutto l’arco della gravidanza, anche perché attiva il narcisismo secondario in condizioni normali.
L’evento costitutivo e illusorio della relazione narcisistica si fonda sostanzialmente sul rispecchiamento, sia del soggetto, sia dell’oggetto, sull’esperienza che il soggetto fa del suo Doppio.

Il Doppio

Se ogni gravidanza prende le mosse nei suoi aspetti più precoci dal “luogo” di desiderio dell’oggetto primario, dalla nostalgia narcisistica di fusione, si è in presenza di una fantasia autarchica in cui il fantasma del doppio, come originario, legato all’esperienza narcisistica fusionale, fa qui il suo ingresso in tutto il suo carattere perturbante. Nell’opera del 1919, Il Perturbante, Freud, infatti scrive: «L’identificazione del soggetto con un’altra persona sì che egli dubita del proprio Io o lo sostituisce con quello della persona estranea; un raddoppiamento dell’Io, quindi, una suddivisione dell’Io, una permuta dell’Io; un motivo del genere è infine il perpetuo ritorno dell’uguale, la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi caratteri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose e perfino degli stessi nomi attraverso più generazioni che si susseguono» (Freud, 1919, pp. 95-96).
A noi sembra che un aspetto delle fantasie di gravidanza sia intimamente connesso alla fantasia di creazione del Doppio, che viene sorretta da un carattere di ripetizione fondamentale: il bambino ripete tratti del volto, gesti, comportamenti, in un duplice processo in cui egli è si il continuatore della specie, ma anche ciò che segna il limite dell’esistenza del genitore.

L’ambivalenza e la regressione nel processo gravidico

L’attesa di un figlio comporta un vissuto urgente di non ritorno, di mutazione della propria individualità; tutto il faticoso lavoro di differenziazione e di crescita è messo in crisi, sia pure momentaneamente dallo stato simbiotico della gestazione. La gravidanza sovrintende anche dei processi regressivi, quali il sonno, il ritiro della libido su di sé, l’estraniamento dal mondo esterno, che sembrano volere inconsciamente neutralizzare il conflitto e l’ambivalenza che sottende ogni atto procreativo.
Altro aspetto di perdita è rappresentato dalla perdita della propria immagine corporea: la gravidanza obbliga infatti ad un lavoro del lutto del primo Sé corporeo, una rinuncia alla parte infantile originaria, ma anche alla successiva immagine della donna in quanto donna erotica. In definitiva, l’opzione alla maternità, nel suo carattere di tensione massima all’identità di genere, escluderebbe altre possibilità di dare vita a parti di sé in conflitto con essa, rappresentando così la rinuncia alla propria parte infantile che a lungo ha resistito a divenire “donna”.

La gravidanza tra nostalgia di indistinzione e bisogno di differenziazione

La gravidanza sembrerebbe esprimere il massimo dei sentimenti antagonisti: conflitto tra desiderio di maternità e opposizione a tale desiderio. Se è vero che il motore della procreazione è il desiderio di ripristino della relazione primaria all’insegna dell’indifferenziazione, è anche vero che la differenziazione è la spinta vitale di crescita che permette all’individuo di evolversi.
L’apparente contraddizione tra gravidanza come “arresto di perdita” e “gravidanza come perdita” è in relazione ai due aspetti dell’evoluzione: nostalgia di indistinzione e bisogno di differenziazione.
L’identità femminile verrebbe allora segnata da questa possibilità fattuale e perenne di ripristino della situazione originaria: riempire il luogo della cavità originaria, della fusione, con un’esperienza così concretamente attuale, potrebbe escludere temporaneamente o definitivamente altre forme di integrazione con l’oggetto, quali la conoscenza, la creazione artistica, l’area transizionale della cultura. L’uso dei termini “temporaneamente” o “definitivamente” connota la gravidanza in modo diverso, in modo creativo e evolutivo o come spinta compulsiva antievolutiva.

La gravidanza e il trauma della separazione originaria

La donna possiede una “facilitazione” biologica a rifare nel corpo e con il corpo la fantasia fusionale; ciò può risultare in uno scacco implicito rispetto ad altre modalità evolutive e creative di rapporto con l’oggetto andando a delineare un’area di rischio inquietante. La gravidanza può allora essere intesa come modalità di negare il trauma della separazione originaria nel corpo e con il corpo in una dimensione presimbolica. Tale negazione può assumere la forma della coazione a concepire (come nella bulimia); essa può rappresentare il tentativo fallimentare di saturare il vuoto, di rimarginare nel corpo la ferita che alla nascita è stata una ferita del corpo, trattandosi, dunque, di uno scacco che ha per oggetto la possibilità di produrre capacità mentali per elaborare la perdita e attivare altre forme creative di integrazione con l’oggetto.
La gravidanza può risultare allora rispondere ad un progetto di nascita di sé che non è potuto avvenire per altra via come “nascita psichica”. Da quanto detto ne deriva che nella gravidanza è implicito un rischio immanente che essa non rappresenti un progetto evolutivo.

La gravidanza tra fusione e separazione

Come destino consapevole, d’altro canto, la gravidanza contiene in sé sia elementi di fusione che di separazione. Se usata coattivamente la gravidanza nega la separazione ed enfatizza la fusione, sicché il bambino rischia di sparire come oggetto e la donna ha la conferma di essere attraverso il ventre pieno prima, e la dipendenza del figlio poi.
Un rapporto armonioso è dato dall’avere integrato la possibilità di fondersi e di separarsi recuperando la propria identità.
La nostalgia di fusione è motore nel suo carattere di fantasia non immobile nel possesso.
Con i primi movimenti il bambino fa il suo ingresso, dando luogo ad una graduale esperienza di differenziazione e di confronto con le proprie angosce di perdita e separazione.
La nascita psicologica con l’angoscia sostenibile ad essa connessa è strettamente legata alla capacità ambientale di favorire l’illusione e sostenere la separazione.

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