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Adele Nunziante Cesaro » 27.Cenni sui grandi raggruppamenti nosografici: disturbi psicosomatici, psicosi infantili


I disturbi psicosomatici

Difficile definizione per i bambini dal momento che non c’è niente di più “psicosomatico” di un neonato (Marcelli, 1982), tanto più che sappiamo quale peso assuma il funzionamento del corpo e la fisiologia nelle fasi iniziali della vita, condizioni sulle quali si appoggiano e si inscrivono il funzionamento mentale e i fenomeni psichici. Pensiamo a quanto è stato descritto da Eugenio Gaddini sull’organizzazione mentale di base (1980,1984) e sull’imitazione (1969) come quella forma iniziale di rapporto con l’oggetto che precede l’identificazione e che, insieme all’incorporazione, ne rappresenterebbe il fondamento in termini di funzionamento somatico. D’altra parte il corpo rappresenta la fonte delle prime esperienze di sé e di sé nella relazione con l’ambiente; un veicolo attraverso cui sentire di esistere, esprimersi, comunicare con un ambiente pronto a cogliere e dare senso ai bisogni e alle manifestazioni corporee dell’infante che, “senza parole” (Winnicott, 1963), non può da solo darvi senso, parola, soddisfacimento. Ma come per tutte le condizioni patologiche dell’infanzia, va considerato quanto il disturbo psicosomatico debba essere messo in rapporto all’ambiente familiare, alle relazioni e al processo di maturazione che, normalmente, il bambino percorre nel suo sviluppo.

Il “calendario” delle sindromi psicosomatiche

Schematicamente, è possibile definire un “calendario” delle principali manifestazioni psicosomatiche in funzione dell’età (Marcelli, 1982):
COLICA IDIOPATICA (3-6 mesi).
VOMITO DEL I SEMESTRE (psicogeno esprime un rifiuto nella relazione con la figura materna).
ANORESSIA DEL II SEMESTRE
ECZEMA INFANTILE (8-24 mesi).
DOLORI ADDOMINALI (3-4 anni).
ASMA (5 anni).
CEFALEA (6-7 anni; spesso legato ad una conversione isterica).
Sul piano pratico, di fronte ad un bambino che presenta una sintomatologia evocatrice di un problema psicosomatico bisogna condurre un’indagine duplice: da un lato, tentare di mettere in evidenza il legame psicosomatico (correlazione tra sintomo ed avvenimento esterno) anche alla luce delle diverse tappe dello sviluppo e, dall’altro, tentare di iscrivere e comprendere il senso che assume il sintomo psicosomatico nella spirale dell’interazione madre-bambino.

Eugenio Gaddini e le “sindromi datate”

Eugenio Gaddini (1959, 1980) distingueva le “sindromi datate”, ovvero delle risposte patologiche generalmente successive ad un distacco non elaborabile, con cui il bambino manifesta in un quadro somatico un disagio psicoaffettivo (Gaddini,1980). Vengono definite “datate” perché non si manifestano prima di un determinato periodo dalla nascita. Nei primi due anni di vita il bambino è impegnato con la sua crescita fisiologica: respirare, parlare, camminare; tutto ciò mentalmente è in stretta relazione e tale relazione può esprimersi patologicamente in sindromi psicofisiche, il cui “senso” mette capo alla riattivazione mentale di esperienze più primitive: dal respirare e succhiare al seno, a quella del primo distacco e della conseguente separatezza e di uno spazio esterno sconfinato.
Tra queste sindromi psicofisiche Gaddini include il mericismo (dal II mese di vita); le coliche del terzo mese; la dermatite atopica (intorno al VI mese di vita); l’asma bronchiale (dalla fine del I anno di vita ); la balbuzie (nel II anno di vita).

Il mericismo

Il mericismo o ruminazione, cioè il “riportare attivamente alla bocca il cibo ingerito, che ha già raggiunto lo stomaco e che può avere iniziato il processo di digestione”, è la prima delle sindromi che vengono definite datate (Gaddini, 1959). Essa non interviene prima delle otto settimane di vita perché tende a riprodurre nel corpo un’esperienza di soddisfacimento di cui il lattante deve aver goduto, ma che ha poi precocemente e bruscamente perso. Si tratta di un modalità di funzionamento autoerotico che spesso il bambino mette in atto quando è solo e si accompagna ad estraniazione, dondolamento del capo; il bambino sembra immobile, atono, il suo sguardo è perso nel vuoto.
La sindrome del mericismo dimostra che l’apprendimento mentale del funzionamento fisiologico è giunto, già dall’inizio del terzo mese, al punto da poter non solo attivamente e autonomamente riprodurre, nell’organismo, il modello funzionale della nutrizione (l’atto nutritivo), ma da riprodurlo alterato in modo da poterlo usare per controllare efficacemente una risposta fisiopatologica grave, che potrebbe portare l’organismo infantile alla morte pur consentendo al lattante, paradossalmente, di sentire così di esistere. Una volta intesa nella sua genesi, si può capire come la sindrome del mericismo, per lungo tempo considerata costituzionale ed espressione di ritardo mentale, sia però primariamente una sindrome psicofisica difensiva, che tende a far si che l’organismo sopravviva. Il ritardo mentale, in questa luce, diventerebbe l’effetto e non la causa della ruminazione.

Le coliche del III mese

Le coliche del terzo mese rappresentano uno dei più precoci sintomi gastrointestinali ascrivibili alle patologie psicosomatiche. Per molti autori (Spitz, 1951; Gaddini, 1977) la colica rappresenta una risposta del bambino ad una minaccia di perdita e, perciò, esprime una conseguenza tipica di un provvisorio fallimento nello sviluppo. Spesso questa sintomatologia si presenta quando le madri di bambini di due, tre mesi riprendono a lavorare o cominciano a sentirsi più libere dai “condizionamenti” della maternità (e dalla dipendenza assoluta del neonato).
Generalmente le coliche idiopatiche vedono una particolare configurazione madre-lattante, Spitz ad esempio sostiene che ad un lattante ipertonico (spesso affamato e vorace) corrisponda una madre ansiosa, tesa e particolarmente sollecita che, però, proprio a causa di questa apprensione, non sembra poter rispettare i tempi del bambino, anticipandoli.

La dermatite atopica

La dermatite atopica è una sindrome che non si manifesta se non intorno al sesto mese di vita (rare volte poco prima) e che può esprimere sotto forma di patologia somatica la difficoltà o l’impossibilità mentale di procedere lungo la linea di sviluppo, mentre il distacco e la separazione sono in atto. La pelle è il luogo somatico dove la mente ha collocato l’esperienza di lacerazione, essa segna infatti la sottile linea di demarcazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, di qui la sua implicazione dal momento che essa ha un così grande significato simbolico. In questi casi sembra che l’esperienza prematura di separatezza sia stata vissuta come una separazione della pelle del bambino dalla pelle della madre; come se un pezzetto di bocca potesse essersi rotto insieme al ciucciotto o al capezzolo materno (Winnicott, 1958).

L’asma

L’asma è la sindrome psicofisica “successiva” alla dermatite atopica e si manifesterà non prima della fine del primo anno di vita (Gaddini,1980). Psicodinamicamente l’asma ha a che fare con i primi tentativi di deambulazione del bambino che comportano la possibilità di allontanarsi dalla figura materna.
Se per certi versi, la deambulazione è un’esperienza positiva perché dà al bambino la possibilità di fare nuove conoscenze nel mondo circostante prima di allora inesplorato, per certi altri rappresenta un’esperienza negativa e ansiogena. La Mahler (1975) non a caso parlava di una “crisi del riavvicinamento” relativa proprio al processo di separazione-individuazione del bambino dalla madre che naturalmente si accompagna alla deambulazione.
L’ambiente ha grande importanza dal momento che le crisi asmatiche si presentano spesso dopo un trauma affettivo e in condizioni ben definite, come in presenza o in assenza di una persona. Sul piano clinico l’asma compare nel corso del III anno e persiste per tutta l’infanzia. Ma come in tutti i disturbi psicosomatici diventa spesso impossibile, una volta che si sia stabilita la reazione patogena, determinare nell’interazione familiare cosa è costitutivo e cosa è reattivo. Di solito il bambino asmatico viene descritto come buono, calmo e piuttosto dipendente, sottomesso all’ambiente e facilmente ansioso, si mostra però anche aggressivo e provocatorio; la componente dell’ambivalenza nei rapporti ha un valore considerevole, in special modo nella relazione con la madre. La scolarità è fortemente investita e l’asma viene presentata spesso come quell’ostacolo che impedisce una migliore riuscita negli studi.

La balbuzie in quanto sindrome datata

Sempre nel secondo anno di vita, là dove la sindrome dell’asma non si è instaurata, può instaurarsi la balbuzie. Secondo Gaddini (1980) essa può scomparire dopo un certo periodo e non ricomparire più, significando, in tal modo, che la difficoltà maturativa di cui era espressione (sempre legata all’ansia da separazione e alla quota di aggressività che ad essa si lega) è stata in qualche modo padroneggiata; altre volte, al contrario, può continuare ininterrotta per tutta la vita o può accadere che, scomparsa spontaneamente dopo la sua prima insorgenza, ricompaia nel quinto anno o poco dopo e in questo caso perdurerà nel tempo.

Le psicosi infantili

Quali sono i segnali che devono indurre il clinico a rivolgere uno sguardo particolarmente attento al bambino? Marcelli (1982) evidenzia almeno 7 punti:
ISOLAMENTO AUTISTICO: si registra con una certa frequenza nelle psicosi infantili di cui l’autismo è un’espressione e può presentarsi anche in tenera età. Traduce l’incapacità del bambino a stabilire un adeguato sistema di comunicazione col suo ambiente. Rappresenta il segnale più chiaro di una condizione di autismo. Durante il I anno di vita, i bambini che possono sviluppare un isolamento autistico sono descritti come particolarmente calmi o facili, sembrano non richiedere attenzioni e non avere bisogni, in generale hanno poche manifestazioni e in presenza di un adulto appaiono indifferenti. Nel loro comportamento si riscontra l’assenza di qualsiasi attitudine anticipatoria, cioè non girano la testa verso la madre che rientra in stanza, non si agitano e quando sono presi in braccio non tendono le braccia in un atteggiamento responsivo o di richiesta. L’impressione complessiva del tono muscolare è di un’assenza di tonicità, il corpo è come flaccido e afflosciato. I principali punti di repere relativi allo sviluppo psicomotorio elaborati da Spitz sono alterati: mancanza del sorriso al III mese e di angoscia all’estraneo all’VIII.

Le psicosi infantili

Nel II anno e III di vita l’autismo diventa evidente dal momento che non esistono contatti con l’ambiente, anche la madre può descrivere la sensazione di non essere riconosciuta. Lo sguardo è vuoto, assente, difficilmente agganciabile; all’opposto, talvolta si nota un’estrema vigilanza, uno sguardo periferico con cui il bambino osserva l’adulto come con la coda dell’occhio. Il contatto fisico è rifiutato; quando invece è accettato, il bambino sembra utilizzarlo in maniera peculiare, cioè si serve di una parte del corpo dell’adulto che elegge come preferenziale (orecchio, capelli) o come uno strumento (per afferrare oggetti). Non si registrano reazioni di pianto di fronte all’allontanamento dei genitori, né reazioni di particolare felicità al ritrovamento. Il suo interesse è suscitato di solito da oggetti bizzarri, duri, rumorosi o pezzi di oggetti che utilizza con modalità non simbolica e che solitamente manipola con modalità ripetitiva e stereotipata. Spesso il bambino autistico è indifferente ai giochi; la sua assenza di partecipazione e la sua indifferenza possono renderlo un “bambino saggio” agli occhi altrui, silenzioso e particolarmente bravo, sicché viene facilmente dimenticato. Non è raro che qualsiasi tentativo di avvicinamento possa determinare lo sviluppo di reazioni di violenta collera, etero o autoaggressive.

Altri segnali

CONDOTTE MOTORIE: spesso si osservano anomalie toniche (dialogo ipotonico); gestualità inusuale come sfarfallamento delle mani dinanzi agli occhi; stereotipie motorie (movimenti ripetitivi e spesso ritmati), dondolamenti, il fiutare; instabilità motoria (soprattutto nelle psicosi non artistiche) che può portare a movimenti poco controllati, a cadute a cui non corrisponde alcuna reazione di protezione o pianto e ciò testimonia la scarsa integrazione dello schema corporeo; all’opposto si può riscontrare un grosso impaccio motorio.
ALTERAZIONI DEL LINGUAGGIO: il linguaggio può essere del tutto assente (autismo di Kanner), oppure il bambino può essere silenzioso ed emettere lamenti, mugolii, versi gutturali, grida acute e angosciose, digrignamento dei denti. Spesso si riscontra un’ecolalia ovvero al ripetizione di frasi o parti di esse; non è raro un fare cantilenante. La comparsa del linguaggio è spesso tardiva e si verifica intorno ai 4-5 anni, con la produzione di frasi in blocco o di parole-frasi; spesso sono presenti un’inversione dei pronomi, neologismi bizzarri, un verbalismo solitario. Il linguaggio appare comunque poco comunicativo. Il bambino, inoltre, sembra indifferente ai rumori e non risponde al suo nome.
ALTERAZIONE DELLE FUNZIONI INTELLETTIVE: un deficit intellettivo può essere riscontrato frequentemente anche se non è costante. La profondità del deficit è variabile così come lo è la sua evoluzione.

Ancora altri segnali

ALTERAZIONI AFFETTIVE: oscillazioni rapide dell’umore, crisi di riso discordante con il tono dell’ambiente circostante, crisi di collera e intolleranza alle frustrazioni, automutilazioni, crisi di angoscia acuta (spontanee o legate anche a minime frustrazioni, o ad un mutamento non previsto dell’ambiente; si verificano quando il bambino è solo o quando si tenta di stabilire un contatto. L’angoscia in questi casi è massiccia e determina una rottura nella continuità psichica del bambino; tali crisi possono accompagnarsi a reazioni di collera violenta).
ALTERAZIONI DELLE CONDOTTE MENTALIZZATE: i rituali sono spesso invasivi (come prima di andare a dormire), il delirio è raro ma può riscontrarsi una produzione immaginativa e fantastica molto elevata con fantasie persecutorie e ipocondriache. Anche le allucinazioni sono piuttosto rare.
ALTERAZIONI PSICOSOMATICHE: alterazioni del sonno (insonnia calma, in cui il bambino mantiene gli occhi spalancati durante la notte senza reclamare la presenza materna; insonnia agitata, caratterizzata invece da grida e urla che non riescono facilmente a trovare sedazione), alterazioni alimentari precoci (carenza di suzione, anoressia, rifiuto del biberon o del seno, vomito), alterazioni sfinteriche (enuresi, encopresi, permanenti, intermittenti, primarie o secondarie).

Approccio psicopatologico: Winnicott e Tustin

A cosa ci riferiamo quando parliamo di “nucleo psicotico”?
Se pensiamo all’insegnamento di Winnicott, ci riferiamo all’esistenza di un’angoscia primaria di annichilimento e di frammentazione, che implica la completa dissoluzione dell’individuo raggiungendo gradi estremi e che comporta l’attivazione di una rigida difesa atta all’invulnerabilità, ovvero alla possibilità di proteggersi dalla minaccia che ha sconvolto profondamente la condizione di continuità della propria esistenza, determinandone la rottura ed il crollo. Questa condizione profondamente patologica ha dunque a che fare con una reazione difensiva, necessaria alla sopravvivenza dell’individuo, che non risponde ad una regressione a condizioni normali dello sviluppo (come invece sostiene M. Mahler come vedremo).
Certamente dobbiamo a Francis Tustin la possibilità di comprendere il significato delle condotte autistiche su un piano psicodinamico. L’autrice sostiene che l’autismo sia legato sia ad un difetto nelle cure da parte della madre, sia ad un’incapacità di far buon uso della figura materna da parte del bambino. A ciò si somma una separazione che, intervenuta troppo precocemente, è stata vissuta dal bambino come una rottura lacerante, come una perdita di sé o di una parte del proprio corpo. In questo senso l’autismo esprimerebbe una situazione difensiva, in risposta ad una condizione traumatica, che è tale quindi per epoca ed intensità, dal momento che una separazione dalla figura materna é intervenuta troppo precocemente quando cioè il bambino, ancora avvolto nella dimensione di inermità ed indifferenziazione, non era pronto ad affrontarla.

La Tustin e la sua revisione sull’autismo

A protezione di se stesso il bambino costruisce un bozzolo composto da quelli che Tustin definisce “oggetti autistici”, ossia protezioni manipolatorie e reattive, non concettualizzate e basate su sensazioni provenienti dal proprio corpo e rimane come chiuso nel guscio di una conchiglia (la raffigurazione dell’autismo a conchiglia della Tustin assomiglia a quella dell’autismo di Kanner). La mancanza di linguaggio e l’utilizzo del corpo materno come strumento sarebbe rappresentativo proprio dell’assenza di una differenziazione tra i corpi e del prolungamento di una condizione di indifferenziazione. In uno dei suoi articoli più recenti, tuttavia, alla luce delle scoperte dell’infant research, Tustin rettifica parte della sua teoria descrivendo il piccolo autistico come un bambino “congelato dal terrore” e l’autismo come “una versione infantile del disturbo post-traumatico da stress”, dovuto alla presa di consapevolezza della separazione da una madre “con cui si era sentito prima anormalmente fuso, indifferenziato e unito” (Tustin 1994, p. 15). Asserendo dunque che l’autismo non esprime una condizione di regressione ad uno stato normale dello sviluppo, ma che essa si pone in quanto difesa rispetto ad una condizione traumatica che deriva da uno “stato anormale prolungato di unità adesiva con la madre – l’autismo è quindi una reazione specifica al trauma. E’ un disturbo in due fasi. Prima c’è il perpetuarsi dell’unità duale, poi l’interruzione traumatica e la tensione che ne deriva [...] Come protezione contro il trauma il bambino autistico sviluppa un isolamento auto-sensoriale che blocca le esperienze provenienti dall’interno e rivolte verso l’esterno” (op. cit., p. 14).

Margaret Mahler

La Mahler rappresenta, invece, un’esponente significativa di quella corrente che tende a presentare l’autismo e la psicosi come regressione patologica ad una condizione normale relativa ad un’epoca molto precoce dello sviluppo, intervenuta comunque a seguito di una condizione traumatica.
A partire dagli studi sulle patologie gravi e dalle esperienze d’osservazione delle condizioni di sviluppo normale e psicopatologico, la Mahler argomenta la differenziazione esistente tra psicosi autistiche e simbiotiche, elaborando una teoria dello sviluppo che considera l’importanza delle cure materne e della capacità di adattamento dell’Io infantile (e questo aspetto, che individua nella patologia il punto di partenza delle sue riflessioni teoriche, rappresenta un elemento fortemente criticato). La Mahler descrive lo sviluppo di relazioni oggettuali a partire da un’originaria condizione di narcisismo infantile (nella lettura che l’autrice dà del narcisismo freudiano come totale assenza d’oggetto), che avrebbe il suo prototipo nella vita intrauterina di cui sarebbe una riproduzione più o meno perfetta caratterizzata dalla totale assenza di relazioni con l’ambiente e da un’indifferenziazione tra Io ed Es.
Entro questa condizione l’autrice distingue due condizioni dello sviluppo: l’autismo normale e la simbiosi normale, che esprimono anche forme distorte e psicopatologiche di relazione con l’oggetto.

L’interazione madre-bambino secondo la Mahler

Lo studio delle psicosi infantili mostra l’incapacità di alcuni bambini di rispondere o adattarsi agli stimoli che provengono dalla figura materna. Si tratta di bambini che non possono utilizzare un “principio delle cure materne” e che rischiano di percepire la separazione come una frantumazione.
Il bambino di cui ci parla la Mahler non é dunque un individuo in lotta contro richieste di pulsioni conflittuali quanto piuttosto un essere che deve continuamente conciliare il suo desiderio di un’esistenza indipendente ed autonoma con una spinta ad arrendersi e a re-immergersi nello stato di fusione da cui è venuto. I concetti come adattamento e ambiente mediamente prevedibile sul quale si innescano i processi adattivi introdotti da Hartmann vengono in parte ripresi dalla Mahler che considera l’ambiente mediamente prevedibile come quello costituito interamente dal bambino in interazione con la madre “normalmente affezionata” (Mahler, 1968). C’é infatti una corrispondenza tra il bisogno di cure del bambino, la capacità e la volontà della madre di offrirgliele e la capacità del bambino di chiamare a sé la madre.

Le difese psicotiche

Le difese psicotiche che vengono messe in atto contro l’angoscia prodotta da una separazione troppo precoce sono di tipo autistico o psicotico e rimandano alle prime fasi evolutive:
Attraverso l’attivazione di difese autistiche il bambino si comporta come se l’oggetto esterno non esistesse; inoltre, di fronte alla minaccia d’intrusione nel proprio guscio protettivo, questi reagisce con rabbia e profondo panico.
L’organizzazione difensiva prevalentemente simbiotica invece comporta il misconoscimento della madre come esterna e differenziata dal sé, nell’impossibilità di integrare l’immagine di un oggetto distinto e completamente esterno a sé. In questi bambini viene conservata sostanzialmente una modalità di relazione con oggetti parziali e scissi (oggetti buoni e cattivi con alternati desideri di incorporazione del buono e di espulsione del cattivo).

La nascita psicologica nello sviluppo normale

La Mahler sostiene che la nascita biologica del bambino (evento osservabile e circoscritto nel tempo) non coincida con la nascita psicologica (graduale processo intrapsichico di separazione-individuazione che ha luogo tra il IV mese ed il XXXVI mese). Per nascita psicologica si intende l’instaurarsi di un senso di “separazione da” e di “rapporto con” il mondo della realtà che riguarda soprattutto il fare esperienza del proprio corpo e dell’oggetto d’amore primario. Come ogni processo intrapsichico anche questo si riflette lungo tutto il ciclo vitale, non ha mai fine e rimane sempre attivo. L’iniziale conquista intrapsichica dell’”essere separato” implica l’acquisizione da parte del bambino di un funzionamento separato in presenza e con la disponibilità emotiva della madre. A partire, dunque, da un’originaria condizione di indifferenziazione, secondo l’autrice il bambino percorre un processo di separazione-individuazione che comprende un arco temporale che va dal VI mese al III anno d’età.

La fase autistica normale

Fase austica normale (0-2 settimane)
Stato di assoluto narcisismo primario denotato dalla mancanza di consapevolezza dell’agente delle cure materne. Come un prolungamento della condizione intrauterina, in questa fase primordiale dello sviluppo il neonato, ancora relativamente indifferente alle stimolazioni, trascorre la maggior parte del tempo nello stato di sonno. L’individuo quindi, ancora immaturo, funziona come un sistema chiuso, interessato unicamente al soddisfacimento dei propri bisogni attraverso quello che classicamente é stato descritto come appagamento allucinatorio. In questo periodo gli organi di senso percettivi, esterni, non sono investiti, di conseguenza i collegamenti col mondo esterno non sono operanti; in questo senso si parla di una condizione autoerotica (finalizzata al mantenimento dell’omeostasi interna, attraverso la scarica della tensione) in assenza dell’oggetto esterno.

La fase simbiotica normale

Fase simbiotica normale (da 3-4 settimane ai 4 mesi circa)
Il termine simbiosi si riferisce ad un aspetto della vita primitiva cognitivo-affettiva, in cui la differenza tra il sé e la madre non ha avuto luogo, o in cui é avvenuta una regressione a quello stato d’indifferenziazione tra sé e oggetto che caratterizza la fase simbiotica. In questo senso il termine simbiosi é metaforico e descrive quello stato di fusione con la madre, in cui l’Io infantile non è ancora differenziato dal non-Io e in cui l’interno e l’esterno solo gradualmente cominciano ad essere avvertiti come diversi. Accanto ad una maturazione fisiologica che consente una maggiore reattività agli stimoli esterni comincia ad emergere, nel bambino, una vaga e confusa percezione del fatto che la soddisfazione dei bisogni non può venire da se stesso, ma da qualche parte esterna al sé. In questa fase gli investimenti pulsionali sono rivolti anche verso l’esterno, o meglio verso la zona periferica, che acquista una veste particolare, quella dell’unità duale e simbiotica che avvolge madre e bambino in un complesso indifferenziato, in cui il piccolo si comporta come se fossero un sistema unitario e onnipotente. In questa fase il bambino comincia ad organizzare le esperienze e a memorizzarle, classificandole come buone, piacevoli e cattive, spiacevoli.

Il processo di separazione-individuazione

Separazione e individuazione rappresentano due sviluppi complementari: la separazione consiste nell’emergenza del bambino da una fusione simbiotica con la madre, questa si svolge dunque in termini di differenziazione, allontanamento, formazione di confini e svincolamento dalla madre; l’individuazione consiste in quelle conquiste che denotano l’assunzione da parte del bambino delle proprie caratteristiche individuali, corrisponde quindi all’evoluzione dell’autonomia intrapsichica e allo sviluppo della percezione, della memoria, del pensiero e dell’esame di realtà. In situazioni ottimali la consapevolezza della separazione corporea in termini di differenziazione dalla madre procede parallelamente allo sviluppo del funzionamento autonomo indipendente del bambino che comincia a camminare e a sviluppare funzioni dell’Io necessarie all’individuazione. Questi processi evolutivi sono infatti intrecciati ma non identici, per cui è possibile che procedano in modo divergente con un ritardo o un acceleramento nello sviluppo dell’uno o dell’altro. (es. sviluppo locomotorio prematuro vs ritardo nel processo intrapsichico d’individuazione e viceversa). Nel corso del processo di separazione-individuazione e di nascita psicologica del bambino la Mahler descrive diverse sottofasi evolutive che testimoniano l’articolazione di un processo nella sua complessità:

  • la sottofase della differenziazione dai 4-5 mesi ai 10 mesi
  • la sottofase della sperimentazione dai 10 mesi ai 15 circa
  • la sottofase del riavvicinamento dai 15-18 mesi ai 24-30 circa
  • la sottofase della costanza dell’oggetto emotivo intorno ai 3 anni

Uno sguardo al trattamento delle psicosi infantili

Sostanzialmente tesi a far emergere l’individuo come persona e a fornirgli gli strumenti per una possibile comunicazione con se stesso e con gli altri, possiamo optare per diversi trattamenti che, generalmente, necessitano di un lavoro integrato in équipe: psicoterapie ad indirizzo psicodinamico, individuali, familiari o psicoterapie madre-bambino soprattutto nei casi di psicosi simbiotiche, psicoterapie ad approccio integrato che riflettono alcuni principi dell’orientamento cognitivo-comportamentali, trattamenti educativi e rieducativi quali psicomotricità e logopedia.

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