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Adele Nunziante Cesaro » 1.S. Freud: dai "Tre saggi sulla teoria sessuale" all'"Organizzazione genitale infantile"


La pubblicazione dei “Tre saggi sulla teoria sessuale”

Il 1905 rappresenta un anno particolarmente importante per la disciplina psicoanalitica, giacché è questo l’anno della pubblicazione dei “Tre saggi sulla teoria sessuale“, uno degli scritti freudiani di maggiore risonanza.
Il primo saggio, che reca il titolo “Le aberrazioni sessuali”, ha per oggetto il tema delle perversioni sessuali, attraverso l’esame di tutte quelle che rappresentano le deviazioni e le condotte abnormi in materia sessuale. L’esame delle aberrazioni sessuali induce Freud a sostenere che esse sono la manifestazione diretta e sintomatica di una disposizione sessuale perversa polimorfa presente fin dall’infanzia. Centrale è il concetto di pulsione in quanto trascrizione a livello psichico di processi che interessano il corpo. La pulsione si definisce mediante i concetti di fonte, meta e spinta, laddove il concetto di oggetto viene esplicitato nel 1915 nell’opera “Pulsioni e loro destini”.
Il secondo dei tre saggi racchiude le riflessioni intorno ad un aspetto unico e mai fino a quel momento messo in luce: i momenti espressivi della sessualità che si intrecciano con la condizione infantile. “Nessun autore, per quel che ne so, ha riconosciuto chiaramente la regolarità, la normalità di una pulsione sessuale nell’infanzia [...]. (Freud, 1905, p. 484). Infine, il terzo saggio tratta più direttamente delle trasformazioni della pubertà.

La sessualità infantile

Le espressioni della pulsione sessuale sono rinvenibili sin dall’infanzia; essa infatti risulta attiva sin da un’epoca precoce. “Fin dal 1896 (Etiologia dell’isteria) io ho sottolineato il significato degli anni dell’infanzia per l’insorgere di importanti fenomeni dipendenti dalla vita sessuale, e da allora non ho mai smesso di porre in primo piano per la sessualità il momento infantile.” (ibidem, p. 487).
L’epoca infantile è caratterizzata da “irruzioni della sessualità” inequivocabili, che spesso gli adulti considerano “vizietti” e che cercano di piegare ai dettami dell’educazione. Certamente l’educazione ha i suoi effetti in questo scopo, eppure sembra esservi un fattore ulteriore a determinare la “neutralizzazione” di queste primitive attività.

Le espressioni della sessualità infantile

Ma in cosa consiste l’attività sessuale della prima infanzia espressione incontestabile di una pulsione sessuale già attiva? Innanzitutto il succhiare, quello che Freud definisce il succhiare con delizia da parte del bambino della sua mucosa labiale o di un’altra zona del corpo, quale può essere il pollice. Durante questa attività può accadere che ci sia lo sfregamento contemporaneo dei genitali esterni o la presenza di movimenti ritmici. Questo tipo di attività è frutto di “un piacere provato e ora ricordato” un piacere provato durante l’allattamento, provocato dall’afflusso di latte nella bocca del neonato. Il piacere ottenuto da quella situazione attraverso tale attività viene ripetuto per ottenerne il soddisfacimento originario. È tuttavia un piacere che ha le caratteristiche di essere autoerotico, nel senso che Freud dà di un’assenza di rapporto con l’oggetto, come specifica in una nota. Un piacere solitario che trae origine da un’esperienza vitale, quella di nutrizione.
Da questo punto Freud deriva il termine di “appoggio”, per intendere che la pulsione sessuale inizialmente si appoggia ad un bisogno vitale per conseguire il soddisfacimento, sino a divenire autonoma successivamente. Il concetto di appoggio diviene, da questo momento in poi, uno dei cardini della teoria pulsionale freudiana.

Le zone erogene

“Nel succhiare con delizia abbiamo già potuto notare le tre caratteristiche essenziali di una manifestazione sessuale infantile. Questa sorge appoggiandosi a una delle funzioni vitali del corpo; non conosce ancora un oggetto sessuale, è autoerotica; e la sua meta sessuale è dominata da una zona erogena. Anticipiamo che queste caratteristiche valgono anche per la maggior parte delle altre attività delle pulsioni sessuali infantili.” (Freud, 1905, p. 493).
A configurare lo specifico della sessualità infantile concorrono altre zone, oltre a quella orale (i termini zona orale e zona anale saranno impiegati a partire dall’edizione del 1914 dei Tre saggi): la zona anale, i cui prodotti vengono utilizzati in modo sessuale, attraverso azioni che mirano ad ottenere soddisfacimento. L’importanza dell’erotismo anale è cruciale anche in seguito, nell’organizzazione di specifici assetti di personalità, come è il caso della nevrosi ossessiva.
Infine la zona genitale, la cui importanza viene successivamente chiarita nel momento in cui Freud potrà concepire un’organizzazione genitale infantile, che sancisce l’esistenza della fase fallica (si veda “L’organizzazione genitale infantile. Un’interpolazione della teoria sessuale”, Freud, 1923).

Il polimorfismo perverso

Il polimorfismo perverso, concetto portatore di innumerevoli implicazioni (basti pensare alla teoria dell’appoggio), divenne, in questo contesto, una sorta di garante del risveglio dell’attività sessuale del bambino, senza che sia “necessaria”, alcuna azione seduttiva. Il bambino è qui descritto come perverso polimorfo, avente una speciale sorta di disposizione all’attività sessuale, che può incontrare o meno il favore esterno attraverso la seduzione. Freud inoltre descrive lo sviluppo sessuale come un percorso che procede dall’autoerotismo della pulsione sessuale – che trova, dunque, il suo oggetto nel proprio corpo – alla riunione finale delle singole pulsioni parziali sotto il primato genitale, che predispongono, così, alla scelta oggettuale matura.
Giunto alla pubertà, si assiste alla maturazione finale dell’apparato riproduttore e alla conquista del “primato genitale”. È, dunque, la fase del rinvenimento dell’oggetto, che può avvenire mediante due vie: quella narcisistica, in cui si cerca il proprio Io nei rapporti con l’oggetto, e quella per appoggio.

La differenziazione sessuale: tracce di un percorso

Dal 1905 al 1914 Freud passa da una concezione della sessualità infantile, anarchica, disorganizzata e parcellizzata, ad una in cui essa, pur mantenendo il carattere polimorfo perverso, viene intesa come tendente ben presto ad una strutturazione. Questa modifica si riflette anche sulla teoria della differenziazione sessuale. Nel 1905 Freud ritiene che la differenziazione sessuale si stabilisca solo nella pubertà; nel caso della femmina, la clitoride, simbolo e luogo della sessualità infantile attiva della bambina, subisce nella pubertà una rimozione e cede la sua eccitabilità alla vagina: la piccola si avvia a diventare donna col cambiamento della zona erogena. Questa trasformazione ha come rischio l’isteria (la femminilità nasce dalla rimozione di un’originaria sessualità attiva, comporta il cambiamento di zona erogena principale – l’isteria ne è la nevrosi peculiare).

La differenziazione sessuale: tracce di un percorso

Nel 1914 Freud aggiunge un paragrafo relativo all’esplorazione sessuale dei bambini in cui compaiono concetti come il complesso di castrazione e l’invidia del pene, che avranno grosso peso nella successiva teoria della differenziazione sessuale. In questo paragrafo confluiscono le riflessioni già sviluppate nello scritto “Teorie sessuali dei bambini” (Freud, 1908) e nel caso clinico del piccolo Hans (Freud, 1909). Più in particolare, nel primo di questi due scritti, vengono tracciate alcune delle problematiche che interessano l’infanzia nei rapporti con la sessualità, con riferimento alla elaborazione di teorie da parte del bambino che rivelano la presenza di un interesse speculativo primario. La prima di esse consiste nella credenza che tutti gli esseri viventi posseggano lo stesso genitale.
Si tratta di un percorso che impegna Freud nella definizione compiuta e via via più sistematica della dimensione edipica. Ad esempio, nel 1910, nel saggio “Su un tipo particolare di scelta oggettuale nell’uomo” (in “Contributi alla psicologia della vita amorosa”, 1910-17) viene impiegato per la prima volta il termine complesso edipico (va precisato, tuttavia, che i primi accenni all’edipo risalgono già al 1897, si veda la corrispondenza Freud-Fliess). Laddove, nel 1914 in “Dalla storia di una nevrosi infantile. Caso clinico dell’Uomo dei lupi” (Freud, 1914) preannuncia le osservazioni sull’Edipo negativo.

1915-17: Introduzione alla psicoanalisi, prima serie di lezioni

Nella lezione 21 “Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità”, dell’opera “Introduzione alla psicoanalisi” viene descritto il complesso edipico, secondo i contorni di uno stretto parallelismo tra organizzazione edipica maschile e femminile.
Le prime incrinature del modello simmetrico si hanno intorno agli anni ‘20, in occasione degli scritti “Un bambino viene picchiato” (1919) e “Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile” (1920).
Nel primo scritto, la fantasia di percosse sembra derivare, sia per il maschio che per la femmina, dall’attaccamento incestuoso al padre. In “Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile” viene analizzato, tra i motivi che compongono la scelta d’oggetto omosessuale della donna, l’attaccamento primario alla madre.

L’Io e l’Es (Freud, 1922) e la forma completa del complesso edipico

«Si ha [infatti] l’impressione che il complesso edipico semplice non sia affatto il più frequente, ma corrisponda piuttosto a una semplificazione o schematizzazione, che del resto sul piano pratico è per lo più abbastanza giustificata. Un’analisi più approfondita scopre però in genere un complesso edipico “più completo”, il quale è di natura duplice, positiva e negativa, e ciò per effetto della bisessualità originaria del bambino; il maschietto cioè non manifesta soltanto una impostazione ambivalente verso il padre e una scelta oggettuale affettuosa verso la madre, ma si comporta contemporaneamente anche come una bimba, rivelando una impostazione di femminea tenerezza rivolta al padre e la sua corrispondente impostazione gelosa-ostile verso la madre. le grandi difficoltà che incontriamo nel penetrare, e soprattutto nel descrivere in modo comprensibile, le scelte oggettuali e le identificazioni primitive sono dovute a questo intervento della bisessualità. [...] L’esperienza psicoanalitica mostra poi come l’una o l’altra componente di questo complesso si attenua fino a divenire una traccia appena rilevabile.» (Freud, 1922, pp. 495-496).

L’Io e l’Es (Freud, 1922) e la forma completa del complesso edipico

L’esito dell’Edipo consiste in una identificazione in cui vengono congiunti i caratteri dei due genitori. Ma questa nuova identificazione non rappresenta solo il residuo di una scelta oggettuale abbandonata, poiché il bambino generalmente non si identifica con la madre cui ha dovuto rinunciare, bensì col padre riattivando così quella che Freud definisce come “la prima e più importante identificazione dell’individuo”. Tale identificazione rappresenta altresì una formazione reattiva contro i desideri edipici. Per questo duplice aspetto essa si contrappone “al restante contenuto dell’Io come Ideale dell’Io o Super-io”, esemplificabile nelle formule “così (come il padre) devi essere… così (come il padre) non ti è permesso essere”.

1923: L’organizzazione genitale infantile

“L’organizzazione genitale infantile. Un’interpolazione della teoria sessuale” (Freud, 1923) è uno scritto che integra la teoria dello sviluppo libidico esposta nei “Tre saggi” (Freud, 1905) attraverso l’introduzione di una fase fallica non genitale. La sessualità si sviluppa in una doppia temporalità, sicché è da distinguere la sessualità infantile da quella adulta. Fino all’ultima edizione dei Tre saggi, avvenuta nel 1922, Freud asseriva che durante l’infanzia il primato genitale si sarebbe realizzato solo in modo imperfetto. In quest’opera, invece, introducendo il concetto di “primato del fallo”, Freud potrà sottolineare una specificità nell’interesse sessuale del bambino in rapporto a quello dell’adulto.

La credenza del genitale unico

L’organizzazione fallico-genitale infantile è diversa dall’organizzazione genitale adulta; tale diversità si situa nella credenza del genitale unico: «Certamente il bimbetto percepisce la differenza che esiste tra gli uomini e le donne, ma in un primo momento non ha occasione di metterla in relazione con una differenza nei loro genitali. Per lui è naturale supporre che tutti gli esseri viventi, uomini e animali, possiedano un genitale simile al suo; sappiamo anzi che si aspetta di trovare un organo analogo al proprio persino nelle cose inanimate.» (Freud, 1923, pp. 564-565).

Il primato genitale e la dicotomia fallico/castrato

L’interesse per il proprio genitale stimola nel bambino la pulsione epistemofilica finché egli non sarà in grado di scoprire che il pene non è un possesso universale. Si tratta di una verità che prima viene negata e poi viene spiegata come l’esito di un’evirazione, una punizione, almeno in una fase iniziale, per donne non rispettabili. Solo quando il bambino inizierà ad interrogarsi circa le origini, sarà in grado di estendere la mancanza al sesso femminile.
Ciò che più appare rilevante è il testo sull’organizzazione genitale-infantile (Freud, 1923) mette in questione come in questa fase per il bambino sia centrale la dicotomia fallico/castrato, una dicotomia che diviene un vero e proprio organizzatore psichico.

Negli scritti successivi…

Quasi ad annunciare le successive definizioni circa la differenza tra i sessi, Freud conclude il saggio con tali affermazioni: «Purtroppo possiamo descrivere questo stato di cose solo per quanto riguarda il maschietto; ci manca una piena conoscenza dei corrispondenti processi che hanno luogo nella bambina.» (Freud, 1923, p. 564).
A partire da queste argomentazioni, Freud avvierà un programma di ricerca dal quale pensare e ripensare allo sviluppo del maschio e della femmina, nonché alle eventuali e reciproche differenze; compito non facile che qualche volta si rivelerà un percorso scivoloso destinato a suscitare opposizioni, critiche e revisioni.

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