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Adele Nunziante Cesaro » 13.Gravidanza e maternità: dall'autarchia alla coppia.


La gravidanza e il rispecchiamento

La gravidanza è inscritta nelle generazioni femminili, nel rapporto con la propria madre ad un livello molto profondo. La madre è per la donna il primo oggetto di amore e trasformazione e anche il bambino che si prepara a nascere è inscritto in tale rapporto, presentando parti del Sé confuse con la madre, legate al rapporto oggettuale con questa, col padre, col partner sessuale.
Il rapporto con la madre è, in definitiva, il filo rosso di tutte le stratificazioni dello sviluppo femminile. In quanto tale, diviene cruciale l’elemento attivo delle fantasie materne nella costituzione dell’immagine di sé, in relazione alla possibilità che esse abbiano agito come rispecchiamento di un’identità, del doppio e/o di una mancanza. In relazione alla questione relativa alla modalità con la quale la madre guarda il corpo della figlia esiste una vasta letteratura, che sembra concorde nel sottolineare gli aspetti di mancanza implicito al rispecchiamento.
Se la gravidanza è un modo privilegiato di ripetere la fusione con la madre, c’è un erotismo implicito in questa scelta. Generare una figlia femmina allora sembra replicare la propria storia d’amore con la madre, corpo della pienezza originaria. L’amore per la propria immagine e la propria identità viene riflesso nell’amore per la figlia.

Il rispecchiamento materno

Ma sussiste anche un aspetto perturbante della creazione del doppio che rimanda alla madre arcaica, che rinvia a sua volta all’autoerotismo e all’amore omosessuale per la madre. È questo il versante negativo implicito al rispecchiamento narcisistico, laddove esso non sembra contenere la possibilità che la figlia si differenzi dall’orbita materna. Tale aspetto contiene un elemento di rischio implicito all’individuazione, in una dimensione dove non è possibile beneficiare degli aspetti positivi della separazione.
Il rispecchiamento della figlia come corpo mancante risulterà allora un movimento difensivo da questa primitiva attrazione in cui non c’è spazio per l’Altro, il diverso. In  tal caso la madre restituisce nel rispecchiamento un’esperienza di perdita incolmabile, di inconsistenza, di corpo monco e svalorizzato.
Sarà quindi diverso il corpo che la bambina offrirà all’amore per il padre: corpo pieno e amato o corpo ferito improbabile oggetto di amore e di riparazione.

Il rispecchiamento materno e l’importanza di un edipo felice

Che cosa riverbera una madre il cui desiderio di un figlio maschio è deluso dalla nascita di una bambina? Non sarà né pieno, né mancante, nel senso che la mancanza è negata e la figlia può essere il figlio desiderato inducendo una profonda confusione nella bambina.
Lo sviluppo della figlia, allora, avviene in uno spazio molto complesso tra vicinanza sufficiente e distanza necessaria: la prima favorisce l’identificazione femminile, la seconda deve garantire la separazione indispensabile.
Da questa identità dei corpi, dal rispecchiamento offerto dalla madre, sarà possibile accedere al terzo, al padre, in un processo, questo che comporta l’abbandono del corpo materno e la sua successiva appropriazione, attraverso tutto lo sviluppo.
È qui che risiede tutta l’importanza di un edipo felice, in quanto possibilità per la figlia di sperimentare l’amore del padre, entro una dimensione che non sia eccessivamente invischiante, né troppo seduttiva, tale che le possa impedire di stabilire relazioni amorose in età adulta.

La pubertà e la possibilità procreativa

Un ulteriore aspetto che occorre richiamare nel complesso processo che contrassegna la possibilità femminile di generare è rappresentato dalle modalità con le quali si è attraversata l’età puberale. Richiamarsi alla pubertà è cruciale in quanto la somiglianza, l’identità imperfetta col corpo materno, diventa attuale, così come la capacità procreativa. L’opposizione alla madre, alla conquista di un corpo separato si ripropone con violenza accanto alla riattivazione dell’Edipo. È questo un momento essenziale perché si costituisca un’identità femminile che non sia aconflittuale né imitativa. Ed è anche in questo momento che risiede l’importanza della capacità materna di resistere, assistendola, alla separazione, nonché le capacità paterne di guardare al corpo della figlia che cambia, prendendone le distanze, senza rallentarne la crescita.

La relazione adulta

Da questo quadro dipendono le vicende relazionali della figlia, nonché il vissuto della gravidanza e della maternità come esperienza autarchica o come riconoscimento dell’Altro e di sé come differenziata. È noto che anche la scelta del partner può essere legata a vicende diverse e in conflitto tra loro. La scelta oggettuale può gravitare nell’orbita materna e il padre non diviene mai accessibile veramente. D’altra parte ogni relazione contiene aspetti narcisistici connessi alle figure genitoriali e la qualità di una relazione adulta dipende dallo spazio autonomo che resta all’altro per rappresentare sé stesso. All’interno di una relazione creativa il figlio diviene l’espressione di una sovrabbondanza erotica e sentimentale, che s’incarna per divenire reale.

Il nascere come madre

Gravidanza e maternità non sono in continuità lineare.
Rivivere la propria nascita è un’esperienza emozionante di ogni gravidanza in cui si innesta la capacità empatica della donna di identificarsi col bambino, di rispondere ai suoi bisogni in maniera empatica e di favorirne i percorsi di sviluppo. La nascita di un bambino rappresenta e ripropone la possibilità per la donna di rivivere il proprio iter gestazionale, sicché ella nasce come madre quando nasce il bambino.
La gravidanza in altre parole contiene per la donna la possibilità di una doppia nascita: del bambino che verrà e di sé stessa in quanto madre.

Il processo gravidico dall’autarchia alla coppia

La gravidanza, tuttavia, può rappresentare anche una modalità autarchica di ripristinare l’orbita fusionale che la donna ha potuto sperimentare con la propria madre, che comporta di conseguenza l’esclusione del terzo e la negazione della separazione. Il bambino che nasce, in questo senso, lungi dal potersi porre come essere differenziato, viene avvolto nell’universo femminile confusivo, dove la distanza e la separazione non possono essere contemplate. In questo senso, nel suo aspetto autarchico, la gravidanza rappresenta un progetto di nascita di sé più che di nascita dell’altro. In questi casi, ciò che conta è ripetere la propria storia di relazione con la madre arcaica, piuttosto che approdare ad un progetto creativo quale la nascita di un figlio può rappresentare per una coppia. La gravidanza come rapporto creativo di coppia comporta l’aver elaborato la separazione, l’aver acquisito il senso del limite, sicché il bambino che nasce è sé stesso, parte della madre e parte del padre.

L’ostilità della madre

Nascere come madri significa anche tollerare la propria ostilità verso il bambino che viene di solito negata o rimossa: “La madre odia il suo piccolo fin dall’inizio”; “il concepimento mentale del bambino non le appartiene”, per riecheggiare le parole di Winnicott (1947).
L’odio che la madre può provare non è perverso, ma si configura come difesa dal masochismo, come tutela di sé, che è anche protezione del figlio. La possibilità che la madre tolleri il proprio odio, che lo riconosca senza agirlo è anche legata al mantenimento di altri oggetti d’amore e di investimento, al fine di non essere troppo riassorbita in un’orbita simbiotica.
Al contrario, l’adesione al ruolo di “madre sacrificale” può costituire una spirale sado-masochistica nella quale le aspettative di corresponsione da parte del bambino si tramutano in operazioni attive di suggerimento o anticipazione di bisogni, cioè di falsificazioni. Le aspettative nei confronti del ruolo sacrificale vanno nella linea delle istanze superegoiche, colludendo con queste e rafforzando la negazione dell’ambivalenza e dell’odio a favore di un atteggiamento masochistico.

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