La sessualità non può essere considerata come un’entità a sé stante, ma va inquadrata nel contesto globale (biopsicosociale) della personalità, come ha dimostrato la psicoanalisi che, attraverso la scoperta delle sue origini nell’infanzia (Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905), da un lato ne ha sottolineato il significato centrale nello sviluppo umano, dall’altro ha dimostrato i rapporti tra disturbi sessuali e sessualità “normale”.
Freud (Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile, 1920) ha distinto nella sessualità tre ordini di fattori: le caratteristiche sessuali fisiche e psichiche e il tipo di scelta oggettuale. Le classificazioni più recenti, al di là della diversa terminologia (ad esempio, l’investimento d’oggetto è ora definito orientamento sessuale), rintracciano nella componente psicologica un elemento interno (l’identità di genere) ed uno esterno (il comportamento sessuale).
La sessualità, si articola, quindi, attraverso quattro fattori principali, detti psicosessuali, allo stesso tempo collegati e distinti tra loro (Giberti, Rossi, Manuale di Psichiatria, 2004):
Quando si parla di identità sessuale ci si riferisce talvolta all’insieme dei quattro fattori psicosessuali, talvolta al sesso biologico. In questo caso, si preferisce rimandare sostanzialmente alla seconda accezione, la qualificazione di un individuo come “maschio” o “femmina” a partire dalle sue caratteristiche sessuali biologiche, elencate di seguito:
L’identità di genere riguarda la sensazione intima e profonda, la convinzione permanente e precoce di essere uomo o donna. Essa esprime la presenza delle strutture mentali di “mascolinità” e “femminilità” da attribuire a sé e agli altri, che, acquisite in una fase precoce dello sviluppo infantile (dalla nascita fino ai tre anni di età circa), sono il risultato dell’interrelazione tra le attitudini dei genitori (le identificazioni parentali), l’educazione ricevuta e l’ambiente socioculturale.
Correlata all’identità di genere, l’identità di ruolo (o ruolo di genere) è l’insieme dei comportamenti, agiti all’interno delle relazioni con gli altri, e delle attitudini che in seno a un dato contesto storico-culturale sono riconosciuti come propri dei maschi o delle femmine. Costruito concettualmente a partire dai due anni (Schaffer, Lo sviluppo sociale, 1996) e suscettibile di trasformazione nel tempo, il ruolo di genere esprime adattamento sociale alle norme condivise su attributi e condizioni fisiche (apparenza), gesti (manierismi), adornamenti, tratti di personalità, igiene personale, discorso e vocabolario, interazioni sociali, interessi, abitudini, definiti “tipicizzati” o inappropriati per genere.
L’orientamento sessuale è l’attrazione erotica ed affettiva di un individuo verso un altro e, quindi, definisce l’oggetto dei propri impulsi, eterosessuali, omosessuali o bisessuali. Bisogna distinguere l’orientamento, come insieme di sensazioni e preferenze, dal comportamento sessuale, che descrive pratiche e atti sessuali quale risultato ultimo degli atteggiamenti verso la sessualità e il proprio partner. Orientamento sessuale, comportamento agito e ruolo di genere regolano la partecipazione sociale a un gruppo di riferimento come componente identitaria fondamentale.
Se nella maggior parte dei casi, c’è una concomitanza tra identità sessuale, di genere e di ruolo, questa non può essere data per scontata. Situazioni molto diverse tra loro, come l’intersessualità, il disturbo dell’identità di genere e le parafilie rendono conto della variabilità e complessità della sessualità umana dal punto di vista biologico, sociale e psicologico.
Si definisce intersessualità o disordine della differenziazione sessuale un’anomalia congenita che rende difficile la definizione dell’identità sessuale: l’attribuzione del sesso alla nascita è ambigua in quanto gli organi genitali e/o le gonadi sono malformati o mal definiti. Se l’ermafroditismo è raro, lo pseudoermafroditismo non è sempre evidente e può diventarlo solo con la pubertà: ad esempio, le persone affette dalla sindrome di Morris sono donne nell’aspetto ma hanno cromosomi XY.
Le parafilie o perversioni sessuali (es. scopofilia, pedofilia, feticismo) coinvolgono l’orientamento sessuale principalmente perché sono condizioni caratterizzate da esclusività, in cui il raggiungimento dello stato di eccitamento è in risposta a oggetti o situazioni considerati comunemente anomali.
Il disturbo dell’identità di genere o transessualismo è caratterizzato da una forte e persistente identificazione con il sesso opposto, che non è riconducibile a un’anomalia congenita, ma comporta un disagio clinicamente significativo, tanto da ricercare la riassegnazione del sesso anagrafico attraverso l’endocrinologia e la chirurgia.
Lo sviluppo dell’identità di genere non può essere compreso se non vincolandolo agli altri aspetti della crescita individuale.
Agli albori della vita, l’infante ha una relazione indifferenziata con l’ambiente che presta le prime cure a cui si rivolge simultaneamente con modalità pulsionali, nel senso freudiano del termine, e con modalità sensoriali ed emozionali. Nel contesto dello sviluppo precoce, la costruzione dell’identità soggettiva dipende dal riconoscimento della propria impotenza e della separazione dall’oggetto, sensazione resa possibile dall’esperienza della mancanza.
La duplice disposizione relazionale individuata da Freud, “essere” o “possedere” l’oggetto viene approfondita da D. W. Winnicott con le definizioni di “elemento puro maschile” e “elemento puro femminile”, presenti sia nell’uomo che nella donna (Gioco e realtà, 1971).
Secondo Winnicott (1971), nella fase del sostenere, tipica del primo sviluppo infantile, il puro elemento femminile ha un rapporto con il seno (o la madre) nel senso che il/la bambino/a diventa il seno (o la madre) e “l’oggetto è il soggetto“, in assenza di una pulsione istintuale ma in presenza del senso di ESSERE. Di qui il termine di “oggetto soggettivo”, non ancora ripudiato come fenomeno “non-me”, che prepara la strada al “soggetto oggettivo”, conseguenza dell’avere un’identità e un senso di realtà.
L’elemento maschile puro, invece, “ha a che fare con lo stabilire un rapporto attivo o subire un rapporto passivo, entrambi essendo sostenuti dall’istinto“, cioè presuppone una condizione psichica più evoluta, la separazione dall’oggetto.
In generale, inoltre, è necessario ricordare che la modalità femminile ha come correlato la madre ambiente, mentre l’elemento maschile riconosce già la madre oggetto.
Come D.W. Winnicott, anche Eugenio Gaddini individua due modelli funzionali di disposizione verso gli oggetti (Sull’imitazione, 1969).
L’area psico-sensoriale, analogamente all’elemento femminile winnicottiano, non distingue l’oggetto come “altro da sé” esterno e separato, piuttosto le sue esperienze esprimono la disposizione ad “essere” l’oggetto in un’identità magica. L’imitazione che la caratterizza, “sembra condurre all’immagine allucinatoria, alla fantasia di fusione mediante modificazioni del proprio corpo“.
L’area psico-orale, invece, è connessa al graduale riconoscimento percettivo di stimoli esterni al Sé, sviluppandosi attraverso l’introiezione, equivalente psichico del modello biologico della incorporazione. Conduce al confronto con la dipendenza reale dall’oggetto nel senso del “possedere” e quindi può essere più esposta a conflitti, come per l’elemento maschile di Winnicott.
Per Freud, Winnicott e Gaddini, lo sviluppo psichico è di natura processuale e non lineare, nel senso che le due modalità di relazione oggettuale (essere e fare), entrambe passive e attive, continuano a coesistere in ogni rapporto affettivo e creativo, indipendentemente dall’età e dal genere sessuale.
Nell’acquisizione dell’identità di genere, si intersecano i dati della realtà corporea, gli aspetti ambientali, i processi di identificazione e la scoperta e il confronto con l’altro differenziante.
La letteratura esistente sullo sviluppo sessuale e di genere testimonia che entro i primi tre anni di vita si strutturerebbe quello che Stoller (The Transsexual Experiment, 1975) chiama “nucleo dell’identità di genere“, cioè il convincimento primitivo, preverbale, stabile nel tempo e evidente nel comportamento, dell’appartenenza al genere sessuale maschile o femminile. A determinarlo, concorrono:
Stoller (Sex and Gender, 1968) valorizza in particolar modo il rapporto con la figura materna: infatti, utilizza il termine protofemminilità o “femminilità primaria” per intendere una fase estremamente precoce dello sviluppo psichico, a-conflittuale, contrassegnata da un rapporto simbiotico tra madre e bambino/a, in cui agirebbero processi identificativi primitivi, simili all’imprinting ed al condizionamento operante. A differenza di Freud, quindi, Stoller considera fondante non la bisessualità, ma la femminilità, che non rappresenterebbe un enigma, ma al contrario la chiave di comprensione dello sviluppo di entrambi i generi.
D’altronde, anche Chasseguet-Smirgel (I due alberi del giardino, 1986) sottolinea come tutti, maschi e femmine, siano, in origine, immersi nella femminilità della madre. Da questa fusione primaria il soggetto emerge attraverso una separazione e perdita dolorosa.
Infatti, in relazione anche alle maggiori capacità cognitive, nel successivo emergere da questa fusione simbiotica con la madre, la bambina proseguirebbe nel suo sviluppo in maniera lineare, potendo mantenere l’identificazione di genere con la madre; il bambino dovrebbe, invece, superare le prime identificazioni femminili e dirigerle verso il padre.
A partire dalla fase clitoridea vaginale per la femmina e fallica per il maschio, si marca una differenza importante per l’identità di genere, in relazione alle modifiche della percezione di sé e ai processi di identificazione.
Per il maschio, infatti, il primo nucleo dell’identità si costituisce nella relazione imitativa con la figura materna. Allo stesso tempo, come per la femmina, il primato delle due cavità orale e anale le pone come primi organizzatori della vita mentale nel loro duplice aspetto di passività e di attività. La bisessualità originaria freudiana è, quindi, allo stesso tempo biologica e mentale.
Con la progressiva differenziazione dalla figura materna e soprattutto con il complesso d’Edipo, il mantenimento di un’identità imitativa oltre che di una relazione fusionale con la madre, impedirebbe la costituzione della propria identità maschile. Di conseguenza, “essere l’oggetto” (l’elemento puro femminile di Winnicott), cioè identificarsi con una donna, non essendo in linea con il percorso delle identificazioni successive, si stempera via via come altro da sé, fino a essere abbandonato a favore del “possedere la madre” (l’elemento maschile puro), segnando forse definitivamente l’esilio dal luogo di origine.
Per la femmina, a differenza del maschio, l’esperienza del proprio corpo cavo (e la corrispondente rappresentazione mentale) si rinforza in tutte le tappe dello sviluppo sessuale (menarca – coito – gravidanza – parto), tanto da essere assunto come luogo centrale della femminilità: si riconosce il dato anatomico come fondante nell’articolazione delle rappresentazioni mentali che vi si innestano durante la crescita.
Le cure materne sollecitano sensazioni vaginali precoci che non corrispondono, però, ad una percezione chiara di vagina e utero: per l’inconscio si crea un’immagine unica, fusa, il prototipo di una cavità che ha i suoi equivalenti nelle esperienze orali e anali e con qualità e funzioni proprie che vanno differenziandosi nel corso dello sviluppo, in relazione alle fasi della crescita e alle relazioni oggettuali.
Le qualità del cavo sono relative allo spazio e al tempo: spazio pieno originario o vuoto suscettibile di essere riempito, buco senza fondo (tempo infinito), spazio interno che può creare, contenere o distruggere (tempo reversibile), fessura, lacerazione mai sanata, ingresso sensibile foriero di piaceri.
Le funzioni del cavo, infine, seguono il modello accogliere – contenere – trattenere – respingere – “creare”.
Per la donna, lo specifico percorso di acquisizione dell’identità di genere unirebbe l’aspetto corporeo del primato dell’esperienza del cavo con l’aspetto psicologico di una relazione con la figura materna che, sulla base dell’uguaglianza di genere, si muove con continuità sul versante prima dell’identità imitativa e poi dell’identificazione. La sua crescita è segnata dalla problematica viva di come identificarsi senza fondersi del tutto, attenuando la dipendenza e liberando l’ambivalenza.
Di conseguenza, è possibile immaginare che per la donna “essere l’oggetto” (seno-madre) essendo in linea con le successive identificazioni, permei una modalità particolare di relazione con l’oggetto? E che, inoltre, ci sia una maggiore difficoltà e consapevolezza insieme della separazione?
In altri termini si potrebbe ipotizzare che la costruzione del proprio mondo esterno si caratterizzi con un modo tutto femminile di utilizzare l’area transizionale (Winnicott, Gioco e realtà, 1971), quello spazio potenziale intermedio tra sé e l’oggetto in cui la separazione non è mai definitiva, sede creativa delle relazioni affettive e di una cultura dei valori.
In conclusione, il riconoscimento che la separazione è un processo mai del tutto effettuato, inverato dalle vicende identificatorie con il primitivo oggetto d’amore e dall’appartenenza allo stesso genere sessuale, renderebbe la donna più cosciente del limite e della dipendenza e quindi della necessità per vivere di salvaguardare i rapporti affettivi.
Questo aspetto specifico si unisce ad un’altra considerazione: se la madre è fondamentale, il padre è non solo l’oggetto altro più differenziato, ma anche, nella cultura occidentale, il rappresentante del mondo sociale. Di conseguenza, mentre il figlio identificandosi con lui riceve un impulso radicale verso l’esterno, la donna serba anche nel rapporto con il padre le qualità della relazione materna, restando più embricata sulle tematiche di rapporto esclusivo con una maggiore fluidità dei confini dell’Io.
Quanto detto darebbe ragione del luogo comune che indica il genere femminile come “addetto ai sentimenti” e quello maschile portato all’azione e alla preoccupazione per il mondo reale fino a farne una norma di discriminazione sessuale e di ingiusta subordinazione.
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