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Adele Nunziante Cesaro » 26.Quadri psicopatologici: sfera oro-alimentare e controllo sfinterico.


Sfera oro-alimentare

E’ noto che intorno all’alimentazione si va ad annodare l’asse di interazione più precoce tra madre e bambino, la bocca come primo significativo veicolo di scambio (introiezione ed espulsione) tra il neonato ed il mondo esterno (tra la dimensione della realtà interna e quella della realtà esterna) e di esplorazione del mondo, come testimonia il perenne ricorso alla bocca come mezzo di conoscenza degli oggetti con cui il bambino, dai 4-5 mesi ai 10-12 mesi di vita, entra in contatto. Per quanto l’alimentazione risponda ad un riflesso (di suzione) e ad un bisogno fisiologico, essa non è assolutamente riducibile al solo appagamento della fame, dal momento che viene a rappresentare il prototipo della relazione con la figura materna e poi di tutte le relazioni umane. Le considerazioni di M. Klein (1952) a proposito delle osservazioni della Middlemore sui lattanti che succhiano al seno pigramente o voracemente rappresentano un’esemplicazione molto chiara delle fantasie che si legano al nutrimento e al rapporto che il neonato intrattiene col seno materno, investendo – come noto – anche l’interno del proprio corpo. D’altra parte conosciamo il sadismo che si lega alla fase orale (cui faceva riferimento K. Abraham nel distinguere due stadi della fase orale), che in sé dunque raccoglie libido e aggressività.

Alimentazione e aggressività

Non bisogna certo credere che l’aggressività sia esclusa da uno scambio di natura libidica, al contrario essa è estremamente implicata nell’atto del mordere e del succhiare il capezzolo materno o la tettarella. In questo caso però pensiamo anche all’evocativa descrizione winnicottiana dell’aggressività, intesa come quella quota di motilità e spontaneità che, priva di intenzionalità distruttiva, sin da subito consente al neonato di muoversi verso l’ambiente, di esprimersi, di soddisfare un bisogno di conoscenza e di appropriazione. Pensiamo al rapporto che l’infante vive negli stati di quiete e in quelli di eccitamento con la madre-ambiente e con la madre-oggetto, consapevoli del fatto che si riferiscono a modalità diverse, ma reciprocamente vincolate, di essere in rapporto con l’oggetto. Ma se la “prima poppata teorica” viene a rappresentare il prototipo delle future modalità di interazione con l’ambiente e, in primo luogo, con la figura materna, siamo ben consapevoli del portato e della significatività dell’esperienza dell’allattamento (e non importa se al seno o artificiale) per la madre e per il bambino. Non va dimenticato, infatti, che si tratta di un’esperienza di reciprocità, che richiede un reciproco adattamento (nella conoscenza, nel ritmo e nelle modalità di suzione).

Alimentazione e aggressività (segue)

Molto di questa esperienza dipende dal modo in cui la figura materna vive la propria condizione e, nello specifico dell’allattamento al seno, dal modo in cui sente profondamente l’attacco al suo corpo da parte del lattante. Al di là di un processo di reciproca armonizzazione, le madri reagiscono certamente in maniera diversa alle manifestazioni del bambino: alcune possono essere spaventate dalla sua avidità, altre andarne fiere, altre ancora possono esprimere con ansia il timore che una suzione lenta ed interrotta sia indice di future difficoltà o che sia manifestazione di una propria incapacità. Queste diverse reazioni dipendono strettamente dai fantasmi inconsci della madre, fantasmi la cui riattivazione può rischiare anche di trascinare la coppia madre-bambino in una situazione patogena.

Anoressia del secondo trimestre

Sopravviene per lo più tra i 5 e gli 8 mesi e può comparire sia bruscamente sia progressivamente, talvolta in occasione di un cambiamento nel regime alimentare come lo svezzamento o l’introduzione di nuovi cibi. Generalmente non è associata ad un calo ponderale del peso né a chiusura o ad involuzione del tono dell’umore (compare spesso in bambini curiosi, vivaci e svegli, che mostrano interesse per l’ambiente). Il rifiuto del cibo rappresenta un elemento fortemente ansiogeno per l’entourage familiare e specialmente per la madre che a tali manifestazioni reagisce frequentemente con estrema ansia e/o aggressività, cosicché il momento del pasto si colora di aspetti negativi per la madre come per il bambino: diverse manovre vengono realizzate allo scopo di far mangiare il bambino, dapprima con giochi e distrazioni e poi sempre più forzatamente, finché il pasto diventa uno spazio di combattimento dal quale il bambino esce spesso vittorioso e trionfante su una madre sfinita, preoccupata e arrabbiata. Non è raro che questo tipo di comportamento rimandi a delle complicazioni nella relazione con la figura materna e che possa infatti manifestarsi solo con la madre (mentre ad esempio il bambino potrebbe mangiare tranquillamente con la nonna o la balia), con la conseguente attivazione di vissuti di rabbia, colpa, impotenza e profonda frustrazione che certamente rafforzano l’empasse nella relazione.

Evoluzione dell’anoressia

L’evoluzione di questa condotta può portare a due diverse condizioni:
anoressia semplice: si tratta di un’alterazione essenzialmente reattiva e transitoria (reazione ad un trauma, ad un cambiamento come ad es. lo svezzamento o ad un altro cambiamento nel quadro di vita del bambino ella famiglia, ad una malattia). Spesso è legata all’atteggiamento materno che tende a rafforzarla, ma proprio per questa ragione (e per la sua natura reattiva) può risolversi abbastanza rapidamente con modifiche nel comportamento e nella gestione della situazione (concreta e, soprattutto, emotiva) da parte della madre.
anoressia mentale grave: all’inizio non differisce dalla prima forma, tuttavia il comportamento anoressico può persistere quando l’immutabilità del comportamento della madre e del bambino testimonia difficoltà nella relazione che sono ben più dure a risolversi. Possono così comparire anche altre alterazioni come difficoltà nel dormire, collere intense, vomito prolungato. In queste situazioni è verosimile anche una compromissione sul piano somatico. Spesso, in questi casi, l’elevata angoscia materna di fronte al disinteresse del bambino per il cibo o alla sua oppositività si combina con quest’ultima, rischiando di rendere il momento del pasto una vera battaglia.
Sul piano diagnostico è importante segnalare anche una forma particolare di anoressia del neonato: l’anoressia essenziale precoce, che compare fin dalla nascita in un neonato essenzialmente passivo che non mostra alcun interesse verso il biberon; tale condizione può rappresentare uno dei primi segni di autismo o di psicosi infantile precoce.

Possibili significati

Spesso ci si è andati a concentrare sulle peculiarità delle madri di bambini anoressici e, al di là della possibilità di individuare uno specifico quadro psicopatologico che le accomuni, si è riscontrato che, per tutte loro, la relazione alimentare sembra rappresentare l’asse di interazione privilegiato che nasconde, sotto il bisogno di nutrire, angosce abbandoniche o di morte, o profonde angosce relative al non poter essere una buona madre. Il rifiuto alimentare, secondo Spitz, potrebbe testimoniare il rifiuto della relazione con la madre e si accompagnerebbe ad esempio ad una frequente eccessiva familiarità con gli estranei (senza dunque la manifestazione di angoscia all’estraneo tipica dell’VIII mese). Tale condizione può rischiare di ostacolare l’accesso ad una simbolizzazione più mentalizzata e, dunque, lo sviluppo dei processi di astrazione e simbolizzazione; ciò potrebbe costituire la base di una futura organizzazione psicosomatica. Non dimentichiamo, infatti, il significato simbolico retrostante la capacità di nutrire l’altro e di godere del nutrimento offerto dall’altro. Da un punto di vista terapeutico è necessario lavorare sulla relazione madre-bambino, cercando di attenuare le profonde angosce materne (inevitabilmente connesse a fantasie mortifere, persecutorie, aggressive che si legano al vissuto relativo alla propria capacità di alimentarsi oltre che a quella del bambino). Si consigliano infatti terapie congiunte madre-bambino e, laddove possibile, anche trattamenti individuali rivolti alla sola madre.

L’obesità infantile

Solitamente in secondo piano rispetto all’anoressia, probabilmente per la diversa quota di preoccupazione che quest’ultima mobilita sul piano delle angosce di morte, l’obesità rappresenta sempre più una condizione sulla quale si concentra l’interesse della comunità scientifica e della società. Essa può presentarsi già nella primissima infanzia, sebbene si tenda a collocarla più di frequente agli esordi del pubertario (epoca in cui comincia a rappresentare anche per i genitori un problema, mentre prima si tende a sottovalutarne l’importanza). L’obesità può rappresentare una conseguenza di crisi bulimiche, ma più spesso è conseguente ad una iperfagia determinata dal clima familiare. A differenza dell’anoressia, che si accompagna a iperattività e magrezza, l’obesità è stata spesso associata a passività; i bambini obesi sono infatti descritti come molli, apatici, timidi, pur essendo capaciti reazioni di prestanza sotto forma di collera improvvisa. Alcuni sintomi spesso associati all’obesità testimoniano la sofferenza psicologica che ne costituisce la base o, forse, la conseguenza: insuccesso scolastico e nella sfera sociale, inibizione, enuresi.

Clinica dell’obesità infantile

La problematica del pieno e del vuoto occupa un posto privilegiato, il bambino tenterebbe di colmare col cibo mancanze avvertite a livello affettivo ed emozionale, ma anche di coprire, rafforzandole, le proprie inibizioni e insicurezze. L’obesità si trova di frequente sia nei quadri di insufficienza mentale, sia nelle condizioni psicotiche (dove l’eccesso di grasso può assumere un aspetto mostruoso) con la ricerca di soddisfazioni immediate, concrete e non simbolizzabili. Il determinismo familiare e culturale è importante; non è raro infatti che esistano famiglie di obesi, in cui si intrecciano fattori genetici ed abitudini alimentari. Lo schema corporeo del bambino obeso è spesso alterato, tanto più quanto più precocemente si sia costituita l’obesità. Non è raro incontrare una rappresentazione distorta del proprio corpo, come filiforme. Rispetto alla definizione di sé sul piano dell’identità sessuale, nel bambino che si nasconde nel grasso prepubico l’obesità può rappresentare una protezione passiva contro le angosce di castrazione, mentre nella bambina può configurarsi come un’affermazione virile di sé tesa a negare la differenza e la mancanza.

Vita fantasmatica del bambino obeso

Spesso caratterizzata da un vissuto depressivo di importanza variabile da cui il bambino tenta di proteggersi (l’assenza, il vuoto e la mancanza sono fortemente sentiti), la vita fantasmatica del bambino obeso si lega a tematiche relative all’oralità e si accompagna spesso, quindi, a fantasie aggressive di attacco e svuotamento, così come ad angosce persecutorie di fronte ad un mondo sentito come avverso e pericoloso. Spesso ciò comporta una regressione narcisistica in cui l’obesità si configura come un veicolo di affermazione di sé che, prendendo il posto dell’Io ideale, protegge dall’ambiente e si fa garante dell’integrità dell’Io. Per tale ragione un trattamento che tenga conto solo della componente organica ed alimentare può, alla lunga, fallire; è spesso necessario integrarlo con un sostegno psicologico o con un trattamento psicoterapeutico.

Comportamenti alimentari devianti

Avversione elettiva: si tratta di un comportamento piuttosto frequente nella prima infanzia, che si alterna a periodi di anoressia. In questa condizione alcuni cibi vengono scelti rispetto ad altri come preferenziali o vengono fermamente rifiutati (in base alla forma, alla consistenza, al colore). Certamente questa selezione di alimenti si accompagna ad un investimento fantasmatico che, sul piano simbolico, caratterizza gli alimenti scelti e quelli rifiutati (ad es. il latte e i latticini si legano al desiderio o al rifiuto del seno, la carne alle fantasie cannibaliche), tuttavia rappresenta anche un eccellente mezzo per esercitare pressioni, controllo e manipolazione sull’ambiente familiare.
Pica: descrive l’ingestione di sostanze e oggetti non commestibili oltre il periodo naturale (tra i 4 e 9-10 mesi) in cui ci si aspetta che il bambino utilizzi la cavità orale come canale di conoscenza del mondo. Si associa a condizioni di profonda carenza affettiva ed abbandono, così come spesso si osserva nei bambini psicotici.
Coprofagia: non è raro che il bambino tra i 2 e i 4 anni, nel periodo di acquisizione della pulizia, giochi o sparga le sue feci, ma questa condotta in genere è isolata e si trasforma rapidamente in disgusto. All’opposto il gusto per le materie fecali traduce una profonda alterazione dell’investimento corporeo e della relazione con l’altro (specialmente la madre, spesso descritta come fredda e anaffettiva). Il comportamento coprofago che è inscrivibile in un quadro psicotico (è probabile anche un parallelismo col mericismo), si osserva spesso quando il bambino è solo, nel suo letto.

Il controllo sfinterico

Nell’acquisizione della pulizia e del controllo sfinterico (tra i 2 e i 3 anni di vita) intervengono tre assi: l’asse neurofisiologico, l’asse culturale, l’asse relazionale (Marcelli, 1982).

  • L’asse neurofisiologico considera il passaggio da un comportamento riflesso automatico ad uno controllato volontario. Naturalmente il controllo degli sfinteri viene acquisito progressivamente e di solito il controllo dello sfintere anale segue quello vescicale
  • Il contesto culturale tiene conto dell’educazione alla pulizia e dei processi di condizionamento e di apprendimento che si legano ai diversi contesti socio-culturali
  • L’asse relazionale incide enormemente sui tempi e sulle modalità di acquisizione del controllo sfinterico. Le materie fecali, d’altra parte, veicolano un significato simbolico di grande valore come oggetto-dono che il bambino presenta alla madre in quanto contenuto prodotto o parte del proprio corpo. Grande rilievo assume, quindi, la reazione della madre al dono offerto dal bambino (disgusto e controllo ossessivo sulla pulizia, piacere e orgoglio nell’accogliere e riconoscere anche i suoi progressi)

Anche il meccanismo di controllo relativo alla ritenzione e all’espulsione dei contenuti fecali viene investito libidicamente dal bambino per il piacere che naturalmente produce. Ma esso si lega anche alla possibilità di esercitare autonomamente un controllo sul proprio corpo che testimoni l’acquisizione di una nuova indipendenza dalla madre.

Alterazioni del controllo sfinterico: l’enuresi

Emissione attiva completa e incontrollata di urina, terminato il periodo della maturità fisiologica in genere data per acquisita tra i 3 e i 4 anni di età. L’enuresi rappresenta un sintomo abbastanza frequente nei bambini (spesso è più frequente nei maschi) e può associarsi anche ad altre manifestazioni quali encopresi e immaturità psicomotoria.
Distinguiamo tra l’enuresi notturna, diurna (meno frequente), mista; così come si può distinguere tra un’enuresi irregolare o intermittente ed una quotidiana.

  • L’enuresi primaria segue direttamente il periodo del non controllo fisiologico. L’enuresi primaria notturna è la forma più frequente
  • L’enuresi secondaria è invece caratterizzata dall’esistenza di un periodo precedente di transitoria pulizia in cui il controllo della vescica sembrava acquisito

Naturalmente va distinta un’eziologia psicogena da una neurologica (epilessia, affezioni urologiche e neurologiche) per la cui diagnosi differenziale possono occorrere indagini specifiche o il ricorso a figure specialistiche.

I fattori eziologici dell’enuresi

Vanno ricercati in funzione di quegli assi che concorrono all’acquisizione della pulizia, tra cui naturalmente di importanza sostanziale è l’asse delle interrelazioni familiari che investe anche lo sviluppo psicoaffettivo del bambino. Come in tutti i sintomi dei bambini che investono il piano corporeo, è difficile discriminare il peso che la maturazione psicoaffettiva può avere sulle interrelazioni familiari e viceversa, nel senso che un ritardo nella maturazione può certamente servire da ancoraggio per un conflitto affettivo, ma vale anche il contrario naturalmente. Inoltre l’investimento simbolico che si lega ai contenuti fecali e all’attività di ritenzione-espulsione trova la sua origine sia nell’intensità della vita pulsionale del bambino sia, come si è detto, nel significato dato dalla famiglia alle funzioni escrementizie. Spesso esiste un fattore ereditario, senza però che sia stata messa in evidenza una trasmissione genetica precisa. Spesso l’enuresi compare a seguito di particolari eventi traumatici (separazioni, nascita fratellini, ingresso nella scuola) e può avere un carattere più o meno transitorio ma, in questo caso, risulta particolarmente evidente la connessione con fattori di carattere psicologico.

I significati dell’enuresi

L’enuresi può quindi assumere diversi significati per il bambino, che si legano alla specifica fase dello sviluppo psicosessuale entro cui questi è imbrigliato. Può facilmente arricchirsi, infatti, di un simbolismo sessuale, nella misura in cui si lega anche all’ingresso nella fase fallica: l’utilizzazione autoerotica dell’eccitazione uretrale, l’equivalenza masturbatoria, l’aggressività uretrale, l’affermazione virile nel maschio e quella compensatoria nella femmina ne rappresentano degli esempi. E’ importante considerare il significato che l’enuresi assume poi nel contesto familiare come protesta e rivendicazione che si accompagna all’oppositività e all’aggressività (senso di trionfo) riscontrabili nel bambino o, all’opposto, come espressione di immaturità e di una forte emotività (senso di colpa e vergogna) che si legano all’inibizione e all’ansia.

L’ambiente familiare

Solitamente l’influenza dell’ambiente si registra su due versanti: sia per carenza sia per iperinvestimento. Non è raro trovare, infatti, che il bambino con enuresi adotta tale sintomatologia come espressione del proprio disagio all’interno di una famiglia fortemente conflittuale, deprivante sul piano affettivo o, al contrario, ipernutriente e ansiogena. E’ frequente anche un sovrainvestimento della funzione sfinterica, che si riscontra spesso in madri ossessionate dalla pulizia e fobiche, che intervengono troppo forzatamente o troppo precocemente sull’acquisizione del controllo sfinterico dei propri bambini, in un quadro educativo che non rispetta i ritmi e i bisogni del bambino, ma chiede a questi di adeguarsi alle esigenze degli adulti. L’enuresi può modificare, talvolta, l’atteggiamento familiare, che a sua volta può fissare ulteriormente la condotta patologica (con castighi, punizioni, scherno o al contrario con una compiacenza protettiva che vincola il genitore al bambino senza potersene distaccare) in questo caso il sintomo si fisserebbe sia per i benefici fisici che ad esso si legano (piacere), sia per l’esistenza di benefici secondari (relazionali), sia perché va ad inserirsi in un più ampio quadro nevrotico.

Associazione con altri quadri psicopatologici

L’enuresi può associarsi ad altri quadri psicopatologici (come insufficienza mentale, psicosi e nevrosi) che vanno naturalmente considerati per approntare misure terapeutiche differenti. Le misure terapeutiche vengono approntate di solito oltre il quarto anno d’età, quando cioè il controllo sfinterico dovrebbe essere acquisito, tenendo anche conto del fatto che spesso l’enuresi sparisce nella seconda infanzia. Misure d’intervento generali consistono nella correzione di quelle modalità educative eccessivamente rigide che possono aver prodotto o rafforzato il sintomo e nel cambiamento di alcune abitudini (ad es. riduzione di bevande la sera); è molto importante rendere partecipe il bambino e demistificare il sintomo cosicché il bambino non si viva vittima sottomessa della situazione. Più specificatamente un trattamento psicoterapeutico può essere consigliato nei casi in cui tale condotta si inserisca in un quadro nevrotico e siano evidenti le componenti psicologiche.

Alterazioni del controllo sfinterico: l’encopresi

Defecazione negli slip in un bambino che abbia superato l’epoca in cui si dà per acquisito il controllo sfinterico. E’ quasi esclusivamente diurna ed è più diffusa nei maschi che nelle femmine. Si associa spesso all’enuresi; tali sintomatologie possono essere contemporanee o succedersi per periodi alterni.

  • L’encopresi primaria segue direttamente il periodo del non controllo fisiologico
  • L’enuresi secondaria è invece caratterizzata dall’esistenza di un periodo precedente di transitoria pulizia in cui il controllo dello sfintere anale sembrava acquisito. E’ in genere più frequente e compare tra i 6 e gli 8 anni

A differenza dell’enuresi non si ritrovano antecedenti familiari.
Le feci possono avere diversa consistenza, possiamo ritrovarci anche di fronte ad una semplice striscia di feci (fughe) nella biancheria. L’encopresi è spesso intermittente, scandita da episodi nella vita del bambino legati alle condizioni di vita e dell’ambiente familiare (vacanze, separazioni, ingresso a scuola), ma il ritmo della defecazione può anche essere quotidiano o pluriquotidiano. E’ utile osservare il comportamento del bambino durante la perdita delle feci, alcuni bambini si isolano e si concentrano in un’attività con una condotta simile a quella che si ha durante la defecazione, consapevoli dunque che stanno eliminando le feci, oppure possono proseguire nelle loro attività come se nulla fosse, o ancora possono lasciar scappare le feci mentre corrono al bagno.

Il bambino con encopresi

Il carattere volontario o meno dell’encopresi rappresenta un delicato argomento di discussione perché se in alcuni casi è possibile cogliere il carattere involontario e poco consapevole del momento in cui avviene la defecazione, in altri invece non sembra potersi riscontrare un carattere del tutto involontario. Per quanto riguarda la reazione del bambino alle sue feci c’è da considerare che se alle volte sembra indifferente al suo sintomo, altre volte può adottare condotte di dissimulazione o di accumulo (mutande nascoste, lavate) che si accompagno ad un grosso senso di vergogna, dal quale sembra poter essere esclusa solo la madre. Raramente capita che il bambino abbia un comportamento provocatorio esibendo la sua biancheria sporca. Nella costituzione dell’encopresi la dimensione psicologica e relazionale è ancor più in primo piano, tuttavia sono naturalmente possibili anche associazioni di natura fisiologica (anomalie organiche o funzionali) sicché l’encopresi si associa anche a costipazione.

Il bambino con encopresi e la sua famiglia

Il bambino con encopresi può essere ansioso e passivo ed esprimere la sua aggressività in maniera immatura o, per converso, può essere oppositivo con tratti ossessivi e in questo caso la sintomatologia risponde ad un rifiuto di sottomettersi alla norma sociale, oppure l’encopresi può andare ad inscriversi in un quadro in cui la dimensione perversa domina, così la regressione e la fissazione ad una modalità di soddisfazione arcaica basata sulla ritenzione e sulla erotizzazione della funzione ritentiva-espulsiva. Spesso le madri dei bambini encopresici sono ansiose, emotive e iperprotettive e mascherano tale ansietà dietro una condotta rigida per quel che concerne l’apprendimento del controllo sfinterico ed un’eccessiva preoccupazione per le evacuazioni del bambino. I padri, invece, appaiono più sullo sfondo. Da questo punto di vista è molto importante considerare la reazione dell’ambiente familiare che ha naturalmente un peso considerevole rispetto al fissaggio ulteriore di questa sintomatologia, attraverso cui il bambino può giungere a controllare anche l’intera famiglia. Spesso s’instaura un complicità tra il bambino encopresico e la madre rispetto al cambio e alle pulizie; un elemento che rappresenta ovviamente un aspetto del vantaggio secondario di questa condotta che può tendere a rafforzarne la persistenza.

Evoluzione del sintomo

L’encopresi può rientrare dopo qualche settimana, come condizione reattiva ad un fenomeno di separazione o di cambiamento, mentre quando persiste è necessario intervenire dal punto di vista psicoterapeutico soprattutto se si inserisce (come spesso accade) all’interno di un quadro nevrotico. E’ importante però intervenire anche sulla famiglia per modificare alcuni aspetti comportamentali (educativi) che possono rafforzare la sintomatologia e, soprattutto, per aiutare i genitori a considerare la correlazione del sintomo del bambino con alcuni aspetti del funzionamento familiare. Il sintomo sparisce sempre nell’adolescenza, tuttavia è possibile che si conservino in diversa misura alcuni aspetti dell’analità nel carattere (meticolosità, avarizia, parsimonia, ossessività, indecisione, tendenza ad accumulare).

La costipazione psicogena

La costipazione rappresenta un motivo di grande inquietudine per i genitori soprattutto se l’apprendimento del controllo sfinterico è avvenuto in maniera conflittualizzata e se l’educazione alla pulizia rappresenta per la madre un elemento vincolante e di forte ansia. In questo caso il sintomo rischia di rappresentare una “questione di famiglia” nella misura in cui il bambino tende ad opporsi all’ambiente all’esercitando autonomamente il controllo sul proprio corpo e su una propria funzione, che sente invece in pericolo per le pretese avanzate dall’ambiente esterno. Sicché se la defecazione può raffigurare il dono liberatore per l’angoscia dei genitori (Marcelli, 1982), la ritenzione, vissuta dal bambino come un trionfo sull’ambiente, può costituire invece una minaccia per la sua integrità corporea ed un segno di sfida verso le figure genitoriali. E’ possibile che dopo un apprendimento riflesso, magari avvenuto in epoca precoce, il bambino sia pervenuto ad un ritorno alla sporcizia come mezzo di riappropriazione del proprio corpo che purtroppo dall’ambiente non viene assolutamente compreso in questi termini, ma come un attacco. Nel contesto in cui ciò diventi elemento di contesa e di sfida tra bambino e genitori, il sintomo rischia di rafforzarsi. Spesso si tratta di una sintomatologia transitoria, mentre in altri casi può associarsi ad encopresi o, nelle forme più gravi, a megacolon funzionale (la defecazione si produce all’inverso, ovvero quando le feci raggiungono lo sfintere anale la contrazione non approda all’eliminazione ma alla retropulsione nel colon). Si produce speso un’erotizzazione secondaria dovuta al piacere legato alla funzione della ritenzione delle feci accostabile all’eccitazione masturbatoria, con un funzionamento fortemente autoerotico che rafforza la sintomatologia e la sostiene. Sul piano psicopatologico e simbolico non vanno certamente tralasciati il senso di trionfo e di onnipotenza che il bambino sperimenta sul proprio corpo e sull’ambiente, come controllo e dominio anche sull’oggetto interno.

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