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Adele Nunziante Cesaro » 18.La relazione amorosa nelle donne e negli uomini. Madre, figlia: la sessuazione innominabile.


L’amore esclusivo e totale

Esiste una diversa modalità di amare tra donne e uomini?

Già Freud nel saggio “La vita sessuale umana” (1915-1917) sottolinea l’importanza del primo legame sulla scelta degli oggetti successivi e sul coinvolgimento affettivo, i bisogni di intimità e di fusione con l’altro.

Balint nel saggio sull’amore primario (1937) descrive i rapporti amorosi adulti come modalità di rivivere il tranquillo benessere esperito nell’intimità e fusione primaria: “Questa tendenza primaria (sarò amato per sempre, dovunque, comunque, in tutto il mio corpo, in tutto il mio essere, senza mai essere criticato, senza il minimo sforzo da parte mia) è la meta finale di qualunque tensione erotica.”

L’amore dell’infante per la madre è esclusivo e totale: la sua esistenza fisica e psichica dipende da lei ed è con l’indifferenziazione primaria che sperimenta il primo senso di Sé, quale esperienza che l’esistenza è un flusso continuo. Psicologicamente, egli possiede solo quella rudimentale Organizzazione Mentale di base (Gaddini, Formazione del padre e scena primaria, 1974) che precede la nascita psichica in quanto consente al neonato di avanzare da una completa identità con la madre, verso una distinzione dell’oggetto e di sé dall’oggetto.

D’altronde, il primo oggetto nella nostra cultura è la madre, cioè una donna, e questo non può essere senza conseguenze.

La prima relazione con la madre nell’ottica del genere

Bisogna sottolineare che per entrambi i generi sessuali il primo oggetto è una donna, che ha una sua identità e sessualità adulta, nonché un proprio modo di vivere l’affettività e l’intimità. Ad esempio, raramente si ricorda che il seno e l’allattamento sono fonte di eccitamento e piacere per la mamma e non solo per il neonato (Parat, L’erotico materno, 1999).

Questo significa che il bagaglio delle personali esperienze come donna entrano in gioco nella costituzione del primo oggetto interno del mondo emozionale infantile: ella infatti vive la propria maternità con tutto il peso di una sessualità maturata nel tempo e anzi la realtà psichica del neonato nasce dalla traduzione parziale dei suoi messaggi enigmatici, trasmessi nella violenza della seduzione originaria (Laplanche, Problematiche VII, 1993).

Che destino ha nel corso dello sviluppo per le femmine e per i maschi questa speciale relazione con la madre?

Per il maschio, l’attaccamento pre-edipico alla madre è più breve e durante l’Edipo si impernia secondo la Deutsch (Psicologia della donna, 1942), sui temi competitivi del possesso nella rivalità con il padre. Per costruire la sua identità sessuale, infatti, il maschio deve respingere l’origine del primo nucleo identitario, identificarsi con il padre e desiderare di possedere la madre come oggetto altro da sé e complementare.

La relazione con la madre per la bambina

Secondo Freud, maschi e femmine rimangono attaccati alla madre nel periodo pre-edipico e in fondo per l’intero arco della sessualità infantile, ma in modo diverso e comunque l’ingresso nella situazione edipica segna la differenza.

Infatti, l’attaccamento pre-edipico alla madre sarebbe per la bambina duraturo (fino alla vita amorosa adulta), intenso, ambivalente, in questo favorito dall’uguaglianza del genere e tanto che lo stesso attaccamento al padre ne sarebbe informato.

Il cambiamento di oggetto, allora, durante l’Edipo non vedrebbe l’abbandono della madre, ma l’investimento genitale della figura paterna (Chodorow, La funzione materna, 1978). Anzi, secondo Chasseguet Smirgel (La sessualità femminile, 1964), l’investimento del padre sarebbe giustificato proprio dalla necessità della bambina di uscire dall’orbita simbiotica materna: la scissione degli aspetti ambivalenti del loro rapporto, porterebbe a investire il padre degli elementi distruttivi per individuarsi e insieme salvare il rapporto materno. Ogden (Il limite primigenio dell’esperienza, 1989) ipotizza anzi che la madre nel ruolo di oggetto edipico di transizione, permetta di aprirsi al rapporto con un altro: identificandosi con il proprio padre, infatti, la madre potrebbe dare alla figlia il senso di essere bella e desiderabile per un uomo.

Il punto di vista della madre

Secondo Chorodow (1978), le madri tendono a vivere le figlie come meno separate che non i figli maschi, perché l’uguaglianza di genere faciliterebbe aspetti identificativi e simbiotici più intensi, per cui l’investimento libidico enfatizzerebbe le componenti narcisistiche. Nel tempo, la figlia manterrebbe una tendenza alla confusione dei confini e una mancanza di senso dell’essere separata dal mondo.

Così, anche l’esperienza della gravidanza sarebbe un modo privilegiato di rifare la fusione con la madre, di riattualizzare l’amore pre-edipico che nella creazione del doppio è insieme anche perturbante (Ferraro, Nunziante Cesaro, Lo spazio cavo e il corpo saturato, 1985).

Invece, poiché il maschio appartiene fin dall’inizio a un genere diverso, le madri sperimentano il figlio come il proprio opposto maschile, un oggetto separato di investimento nell’equivalenza inconscia con il fallo e quale altro sessuato, egli sarebbe a sua volta spinto alla differenziazione.

Le differenze di genere nella relazione amorosa

In conclusione, se il ricorso al materno rimane, in diversa misura, una costante della relazionalità dei due generi, anche durante la vita adulta, la donna esprime con il partner un bisogno costante di sperimentare momenti fagocitanti di fusione profonda, non sempre con modalità genitali di relazione. La stessa scelta del compagno si modella sia sul bisogno del materno, sia sull’idealizzazione del maschile, eredità del suo Edipo.

Nei confronti di questi bisogni, l’uomo è disarmato e fugge dall’intimità profonda perché è questo che gli ha permesso nel corso dello sviluppo di acquisire la sua identità di genere. Le sue reazioni sono solitamente sul piano genitale perché è l’unica modalità transitoria che gli permetta a un tempo di unirsi all’altro pur mantenendo i propri confini dell’Io.

Allo stesso modo, lo sviluppo individuale promuove in lui la spinta verso l’autorealizzazione e la realizzazione professionale, in lei la valorizzazione degli affetti.

Madre, figlia e la sessuazione innominabile: introduzione

In psicoanalisi, il rapporto tra passato e presente è stato a lungo studiato nella sua dimensione individuale, ma è più difficile articolarlo sul piano intergenerazionale senza isterilire l’argomento sulla diatriba tra ontogenesi e filogenesi. Qui di seguito si intende riflettere sulla trasmissione delle fantasie inconsce attraverso le generazioni, che da alimento indispensabile per il divenire psichico, possono tradursi talvolta in un’intrusione, un indotto inelaborabile e, di conseguenza, possono minare l’identità soggettiva.

Scrive Freud (Totem e Tabù, 1913): “… possiamo formulare l’ipotesi che nessuna generazione sia in grado di nascondere alle generazioni successive processi psichici di una certa importanza.

Nulla può essere abolito che non appaia qualche generazione dopo come enigma impensato, segno stesso che non ha potuto essere trasmesso nell’ordine simbolico e proprio per questo dimostrazione che contiene aspetti tanto importanti quanto pericolosi della storia di una famiglia e della costruzione identitaria dei suoi membri.

La trasmissione intergenerazionale dell’enigma

Abraham e Torok (L’écorce et le noyau, 1987), ipotizzano l’esistenza di un fantôme, sorta di fantasma vero e proprio, quale sapere non saputo, oggetto di una rimozione ante-litteram, una lacuna nell’inconscio trasmessa in modo tale che il suo effetto ossessivo attraversi le generazioni.

Se l’infante non esiste senza cure materne tanto è essenziale il ruolo delle fantasie adulte nella costituzione del suo mondo interno, Winnicott (Mother’s madness appearing in the clinical material as an Ego-alien factor, 1969) ipotizza che elementi genitoriali rifiutati, non rappresentabili o narrabili possano irrompere come fattori ego-alieni inconsci, scissi, rimossi, denegati nella vita del/la figlio/a rischiando di fatto di smentire l’intero patrimonio affettivo e di valori che la famiglia gli/le trasmette.

È la metafora dell’ombra parlata proiettata sul corpo dell’infante, che si trova in articolazioni originali, anche nel pensiero di Bollas (L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, 1987) e Kaës (Objets et processus de la trasmission. Genealogie et trasmission, 1986).

Madre, figlia e la sessuazione innominabile

McDougall (Teatri dell’Io, 1982) insiste su come sia la madre a trasmettere i nomi delle parti del corpo e delle zone erogene, in particolare “la rappresentazione del sesso femminile è [...] trasmessa al bambino attraverso i problemi consci e inconsci dei genitori.

La clinica spesso mostra una peculiare modalità di trasmissione tra madre e figlia della conoscenza dei propri genitali quali organi innominati, tendenza ad occultare il sesso femminile già di per sé invisibile, che talvolta può connettersi ad una difettosa e inelaborata differenziazione dal corpo materno.

Due sono in questo caso gli aspetti da approfondire: la mancanza di un riconoscimento verbale e il vuoto rappresentativo. A proposito del primo, Winnicott (Rapporti interpersonali, 1954), ad esempio, nota che nella nostra cultura non esiste alcun riconoscimento verbale della vagina, che possa essere appreso dai bambini, come se non avesse nome o importanza.
Questo è tanto più significativo se si pensa che il linguaggio è una traduzione e la nominazione fa sì che la cosa esista: la si può evocare, delimitare, possedere magicamente, altrimenti a fatica potrebbe offrire memorie specifiche (Albergamo, Aspetti della comunicazione e del segreto nella relazione intergenerazionale, 1995).

Il vuoto rappresentativo

La donna ha una conoscenza precoce della vagina, ma eredita dalla madre una difficoltà nel rappresentarla appropriatamente: come un segreto innominabile evocatore di un’assenza, è investita nel corso delle generazioni con difficoltà, trasformandosi in un conosciuto non pensato. I vissuti comprendono:

  • sentimenti di amputazione, una perdita significativa impressa come ferita nel corpo che si ripete nella prima separazione e poi nel vissuto anale e nel complesso edipico
  • vergogna, prima per il proprio essere inerme, poi per la sconfitta di non poter essere come il padre e appagare la madre (Edipo negativo)
  • disprezzo e autosvalutazione legati alla differenza dei sessi, che inasprisce il lutto della prima separazione
  • colpa, perché l’autonomizzazione necessaria ha il sapore di un tradimento (fantasie di matricidio e rivolgimento al padre edipico)

Uno sviluppo sano richiede tolleranza ambientale all’odio infantile, senza ritorsioni o misconoscimenti, ma una madre che ha vissuto il dramma colpevole della propria ambivalenza e non ha un partner sessuale a sostenerla, come resisterà alla riattivazione delle proprie fantasie arcaiche di fronte alla crescita della figlia? E come potrà, quest’ultima, ritrovare l’oggetto perduto nell’elaborazione gigantesca (Kristeva, Solo nero, 1988) dell’erotizzazione dell’altro propria dell’eterosessualità femminile?

Le ferite nell’esperienza femminile

Con la comparsa del menarca, l’invisibile genitale femminile prende il segno di una visibilità perturbante che impone segretezza, rinforza le fantasie dello scenario edipico, richiama desideri e pericoli connessi all’emergenza della sessualità adulta. Prima atteso per attestare la propria femminilità, successivamente se ne farebbe volentieri a meno, perché il menarca si rivela come qualcosa che inquina e va nascosto.

Il carattere cruento delle mestruazioni e le pratiche igieniche collegate rimandano a vissuti di sporcizia e vergogna come per l’analità, quasi che il genitale femminile come ferita colpevole sia una punizione per la riattivazione delle fantasie edipiche durante la pubertà.

Anche la perdita della verginità si connota per l’aspetto di effrazione cruenta. Anche nei rapporti sessuali successivi, la conoscenza dei propri genitali è debitrice dell’altro perché è nella relazione sessuale ed affettiva che la donna può integrare le conoscenze tattili del proprio sesso. Probabilmente per questo i legami hanno un posto privilegiato in cui una sessualità meno autarchica produce conoscenza e identità, mentre le relazioni adulte con altre donne, come con la madre, sono caratterizzate dall’oscillazione tra sentimenti di solidarietà e di rivalità insieme.

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