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Adele Nunziante Cesaro » 28.Cenni sui grandi raggruppamenti nosografici: stati ansiosi, depressione nel bambino. Il disturbo dell'identità di genere nell'infanzia.


Gli stati ansiosi

La prima difficoltà che s’incontra nell’approcciare alle condizioni ansiose si riferisce all’individuazione di un confine che discrimini tra normalità e patologia. L’ansia di separazione, considerata normale non è facilmente distinguibile dall’angoscia di separazione che, al contrario, denota una condizione patologica. Certamente possiamo distinguere tra un generico sentimento penoso che si associa ad una sensazione di attesa ascrivibile all’ansia ed un profondo malessere che si accompagna a specifiche manifestazioni somatiche, che invece riconduciamo all’angoscia (a cui può legarsi anche la paura di un oggetto o di una situazione, intesa come condizione ricollegabile ad un evento). Tuttavia è molto complessa la determinazione del punto di discrimine (pensiamo però, in questa direzione, alla differenziazione proposta da Winnicott a proposito delle agonie impensabili che certamente non possono equivalere alla paura della morte). Inoltre, ad un’osservazione clinica impattiamo con il complesso insieme dei disturbi d’ansia che si manifestano con frequenza notevole in associazione ad altre manifestazioni patologiche; ciò, come rileva Marcelli (1982), pone in campo una questione fondamentale, relativa alla trasformazione del sentimento ansioso in una diversa patologia che trova espressione sul piano psichico (fobia, ossessione, inibizione), sul piano psicoaffettivo (instabilità motoria, disturbi dell’attenzione, agitazione, collera, opposizione) o sul piano somatico (disturbi del sonno, dell’alimentazione), in organizzazioni di carattere nevrotico che rivelano una struttura più o meno consolidata. Le manifestazioni cliniche dell’angoscia infatti sono varie e mutevoli.

Manifestazioni cliniche degli stati ansiosi

La prima difficoltà che s’incontra nell’approcciare alle condizioni ansiose si riferisce all’individuazione di un confine che discrimini tra normalità e patologia. L’ansia di separazione, considerata normale non è facilmente distinguibile dall’angoscia di separazione che, al contrario, denota una condizione patologica. Certamente possiamo distinguere tra un generico sentimento penoso che si associa ad una sensazione di attesa ascrivibile all’ansia ed un profondo malessere che si accompagna a specifiche manifestazioni somatiche, che invece riconduciamo all’angoscia (a cui può legarsi anche la paura di un oggetto o di una situazione, intesa come condizione ricollegabile ad un evento). Tuttavia è molto complessa la determinazione del punto di discrimine (pensiamo però, in questa direzione, alla differenziazione proposta da Winnicott a proposito delle agonie impensabili che certamente non possono equivalere alla paura della morte). Inoltre, ad un’osservazione clinica impattiamo con il complesso insieme dei disturbi d’ansia che si manifestano con frequenza notevole in associazione ad altre manifestazioni patologiche; ciò, come rileva Macelli (1982), pone in campo una questione fondamentale, relativa alla trasformazione del sentimento ansioso in una diversa patologia che trova espressione sul piano psichico (fobia, ossessione, inibizione), sul piano psicoaffettivo (instabilità motoria, disturbi dell’attenzione, agitazione, collera, opposizione) o sul piano somatico (disturbi del sonno, dell’alimentazione), in organizzazioni di carattere nevrotico che rivelano una struttura più o meno consolidata. Le manifestazioni cliniche dell’angoscia infatti sono varie e mutevoli.

Le trasformazioni dell’angoscia: fobie e paure

Come si è detto, accanto alla mutevolezza delle manifestazioni cliniche vi è anche una grande varietà di complicazioni sintomatologiche e situazioni di comorbidità che all’ansia si associano e che ne rappresentano al contempo delle vie di scarica. Il rischio, inoltre, è che spesso la reazione d’ansia del genitore, la sua preoccupazione o il suo atteggiamento fobico rafforzino l’ansia del bambino e la incrementino. Ma vediamone alcune manifestazioni:
Le fobie sono paure ingiustificate di un oggetto o di un evento, il contatto con le quali è fonte di un’intensa reazione di angoscia, che determina l’attivazione di strategie difensive tese all’evitamento. E’ l’organizzazione fantasmatica che caratterizza la fobia e la fissa, differenziandola dalle paure che appaiono invece quasi connaturate alla crescita, dal momento che si legano al clima familiare e all’acquisizione di un sentimento di individualità e, dunque, di un Io che bisogna difendere. Naturalmente, come nel celebre caso del piccolo Hans, la fobia esprime una complessa elaborazione psichica in cui si susseguono diverse operazioni mentali: la rimozione degli impulsi ostili e aggressivi rivolti al padre edipico (per la minaccia di castrazione, laddove l’essere evirato viene sostituito dall’essere morso dal cavallo), lo spostamento su un sostituto simbolico e la sovradeterminazione del sintomo.

Le trasformazioni dell’angoscia: le ossessioni

Le ossessioni sono idee predominanti, che assediano il soggetto e che possono condurlo a ripetere compulsivamente dei comportamenti (rituali) contro cui il paziente lotta con maggiore o minore angoscia, difatti talvolta il rituale è preceduto da un sentimento di costrizione. Molti rituali però compaiono nel bambino in maniera sintonica (a differenza della fobia) almeno inizialmente, talvolta percorrendo una linea continua che va dalla semplice ripetizione alla ritualizzazione, alla stereotipia. Il significato di questi rituali è di mantenere le cose invariate e immutabili, di esercitare un meccanismo di controllo dell’angoscia, di autocontenersi rispetto a pulsioni vissute come pericolose e distruttive. Come per le fobie, la risposta dell’ambiente può orientare questi comportamenti verso un modo di fare patologico, se non si permette al bambino di placare la sua angoscia con quell’insieme di condotte di cui ha necessariamente bisogno. In alcuni casi tali condotte si integrano perfettamente in ambienti familiari ossessivi dove sono ben accolte e rafforzate.

Le trasformazioni dell’angoscia: le inibizioni

Sebbene faccia poco parlare di sé perché solitamente poco fastidiosa per l’ambiente esterno, l’inibizione rappresenta invece una sintomatologia su cui è necessario porre l’attenzione, dal momento che testimonia di un vissuto di disagio che può avere diverso gradiente e che può variamente manifestarsi attraverso un’inibizione comportamentale (ripiegamento su se stessi, evitamento di situazioni sociali) o psichica (incapacità di pensare). Sappiamo che l’inibizione esprime una limitazione funzionale dell’Io che evita così di entrare in conflitto con l’Es, evita cioè il confronto con le pulsioni libidiche o aggressive. La rimozione massiva di queste pulsioni sembra rappresentare l’unica possibilità in rapporto ad un Io troppo fragile o a delle costrizioni educative (e ad un Super Io) troppo severe. Tutto ciò, ovviamente, va a detrimento dell’Io e delle sue capacità. Nelle inibizioni delle condotte esterne sono numerosi i segnali che dall’esterno possono e devono essere colti (dal bambino bravo e saggio, al bambino isolato che non gioca e rifiuta le attività propostegli), prevenendo esiti più gravi, sebbene sia complesso in un contesto come quello scolastico ad es., dare peso alla tranquillità e alla sottomissione alle regole di un bambino che, tutto sommato, agevola il lavoro delle figure educative. Ma poiché l’inibizione può incidere negativamente anche sull’investimento delle funzioni psichiche e intellettive, sull’apprendimento come sulla scuola in generale, non va assolutamente sottovalutata.

L’inibizione dei processi psichici

Spesso l’atteggiamento di questi “bravi bambini” può essere in contrasto con quello manifestato in casa o comunque in ambienti familiari e protetti, in cui invece si mostrano prepotenti, aggressivi, autoritari, esercitando sui familiari controllo e dominio. Ciò pone spesso in crisi i genitori che si sentono inadatti ad affrontare il loro bambino, profondamente arrabbiati con lui sia per il sentimento di impotenza entro cui si sentono costretti, sia per l’inadeguatezza e il sentimento di gelosia che sperimentano verso chi, dall’esterno, li percepisce come angeli e riesce a vedere esaudite richieste educative altrimenti irrealizzabili in casa. L’inibizione dei processi psichici si manifesta nell’incapacità di sognare e fantasticare (motivo poco frequente di consultazione perché solitamente poco considerato), in una concretezza immaginativa che spesso si accompagna a tratti ossessivi. Si tratta di bambini che giocano poco o fanno giochi conformisti, che mostrano una scarsa creatività, che preferiscono copiare disegni piuttosto che realizzarne di nuovi e personali, che cancellano spesso quanto disegnato con fare incerto, che prediligono attività manipolatorie a carattere ripetitivo. Questa inibizione a fantasticare può paradossalmente facilitare l’inserimento sociale perché rivela un’attitudine fortemente conformista, tuttavia può tradursi in difficoltà scolastiche per le quali viene quindi richiesta una consultazione (intervengono poco, non vogliono essere interrogati per il timore eccessivo di sbagliare, talvolta si riscontra un insuccesso scolastico settoriale).

Il disturbo da deficit di attenzione

Al confine tra gli stati ansiosi e quelli depressivi scegliamo di collocare il disturbo da deficit di attenzione (DDA) che ha il suo corrispettivo motorio nell’iperattività (instabilità psicomotoria trattata nella psicopatologia delle condotte motorie) e che merita un’attenzione particolare anche per la sua grande incidenza nella popolazione. La complessità di questa sintomatologia ci rende difficile una sua precisa collocazione (come accade spesso per i sintomi di natura psichica che, essendo sovradeterminati, difficilmente presentano una configurazione ascrivibile ad un’unica causa e ad un unico raggruppamento). Difatti questa condizione sembra rispondere ad una configurazione ansiosa e, insieme, depressiva, inscrivendosi oltretutto tra quei disturbi della condotta per i quali frequentemente viene richiesta una consultazione (da parte dei familiari o degli insegnanti). Il DDA si manifesta con una modalità di disattenzione e/o iperattività-impulsività superiore a quella che si osserva tipicamente in soggetti con un livello di sviluppo paragonabile. I bambini con queste problematiche incontrano spesso numerose difficoltà sul piano familiare (creando crisi e disfunzioni familiari) e sociale (assumono spesso comportamenti aggressivi e antisociali che inducono gli altri ad allontanarli e a rifiutarli, per cui rimangono spesso da soli ma si mostrano indifferenti alla cosa; raccolgono rimproveri e insuccessi scolastici). Ma per quale ragione tale sintomatologia avrebbe a che fare con un vissuto depressivo?

La depressione nel bambino

Sappiamo grazie al contributo della Klein, che la “posizione depressiva” si riferisce ad una condizione del tutto naturale, che riguarda lo sviluppo infantile come la configurazione di relazione con l’oggetto, interno e/o esterno, reale e/o fantasmatico, che ciascun individuo può vivere in un periodo della propria vita. Fa parte dunque della vita, così come dello sviluppo infantile nel momento in cui la condizione depressiva si lega all’inesorabile vissuto di separazione che accompagna l’intera esistenza umana. Alla separazione, infatti, sul piano psichico e fantasmatico, si legano l’angoscia di abbandono così come l’angoscia di perdita dell’oggetto (perché distrutto). Winnicott (1954) collegava il vissuto depressivo non tanto alla distruzione dell’oggetto riconosciuto come intero e, dunque, buono e cattivo allo stesso tempo (Klein, 34), quanto piuttosto alla capacità di sollecitudine che il bambino comincerebbe a dimostrare verso l’oggetto, nel momento in cui prende consapevolezza delle conseguenze dei propri attacchi istintuali. Spitz ha descritto la “depressione analitica”, come quella condizione di profondo malessere che ha potuto osservare nelle situazioni di carenza affettiva cui erano costretti a vivere lattanti allevati nei brefotrofi, in un’epoca dello sviluppo in cui è la condizione di inermità e di dipendenza del neonato dalle cure fisiche e affettive della figura materna, che lo pone nella condizione di necessitare di appoggio (da cui deriva il termine anaclitico). In assenza di esso, il lattante si lascia morire nella forma più atroce di depressione.

Episodio depressivo e malattia depressiva

Generalmente tra i sintomi della depressione rileviamo: umore disforico, autosvalutazione, comportamento aggressivo (agitazione), disturbi del sonno, modificazioni del rendimento scolastico, lamentele somatiche, modificazione dell’appetito, anedonia, chiusura e diminuzione della socializzazione. Si possono osservare anche un rallentamento psicomotorio ed un’inibizione motoria, il bambino può assumere un comportamento da piccolo adulto, può manifestare un volto poco espressivo, un comportamento troppo docile e sottomesso, dove l’autosvalutazione si accompagna anche a profondi vissuti di colpa. L’episodio depressivo segue generalmente una situazione traumatica reale, un evento di perdita e si mostra temporaneo; al contrario la malattia depressiva pone in evidenza una sintomatologia più seria, persistente, in cui i sintomi sinora descritti si fissano maggiormente nel comportamento del bambino, rischiando di condurlo verso un disadattamento progressivo dal contesto di vita, sociale e scolastico. Ciò si verifica soprattutto quando alcuni sintomi vengono ignorati e, accanto all’episodio depressivo ben visibile, ne maturano altri meno evidenti ma più duraturi. La manifestazione più lampante è caratterizzata dal disinvestimento scolastico che rischia di incidere profondamente sullo sviluppo del bambino, d”altro canto ciò rende almeno chiaramente visibile il malessere, sebbene non sia scontato che l’ambiente esterno riesca a significarlo e non lo interpreti come disinteresse per svogliatezza. Accanto a ciò è possibile che si verifichino anche condotte autoaggressive e fobiche.

Mascheramento della depressione

Altri comportamenti che apparentemente mascherano la condizione depressiva e che rappresentano una sorta di protesta o di rivendicazione di fronte allo stato di sofferenza, sono individuabili nell’oppositività, nell’irritabilità (con eccessi d’ira e manifestazioni di etero e autoaggressività), nei disturbi del comportamento (fughe, furti, condotte delinquenziale; d’altro canto come può la condotta antisociale (Winnicott, 1956) non legarsi alla rivendicazione che implica la speranza ma, insieme, il sentimento depressivo per la perdita di quel che non si ha più?). Marcelli (1982) ci induce però anche a prestare attenzione ad alcuni “equivalenti depressivi”, così come per la clinica della depressione negli adulti, ovvero, l’anoressia, l’asma, la dermatite, l’obesità, l’enuresi. La depressione spesso si associa ad un bipolarismo che ne pone in evidenza anche l’aspetto contrario, maniacale, caratterizzato da un’iperattivismo e da un’euforia nel tono dell’umore che, nei fatti, contrastano apertamente il vissuto depressivo. Tale condizione appare protettiva, nella misura in cui mostra una difesa che l’individuo crea e mantiene e, con la quale, sembra poter negare il vissuto depressivo.

La difesa maniacale

Quando Winnicott (1935) descriveva la difesa maniacale, ne evidenziava infatti alcuni aspetti tesi a negare il sentimento depressivo con sensazioni opposte, a negare, dunque, la stessa realtà interna alla quale non può essere dato il suo pieno significato, a fuggire da questa andando verso la realtà esterna, mantenendo gli oggetti interni in uno stato animazione sospesa. La fantasticheria, i sogni ad occhi aperti rivestirebbero quindi una funzione importante in questo caso, nella misura in cui rendono possibile la finzione, la creazione e la manipolazione di una realtà diversa, più sopportabile, della quale poter avere il controllo e non percepirsi svuotati, soli, persi con l’angoscia depressiva che ne è parte. In questo aspetto si coglie il riferimento all’utilizzo dell’instabilità psicomotoria (con la difficoltà di concentrazione, di sosta e con l’iperattività che ne deriva) in quanto sintomo che copre e maschera profondi e inaccettabili vissuti depressivi, che vanno invece colti e affrontati (e non farmacologicamente sedati!) per aiutare il bambino a venirne fuori.

Il disturbo dell’identità di genere nell’infanzia

Tra i quadri diagnostici individuati nella classificazione diagnostica 0-3 merita particolare attenzione il disturbo relativo all’identità di genere nel bambino; una configurazione sintomatica che rientra tra i disturbi dell’affettività (tra cui si collocano anche i disturbi d’ansia e i disturbi del tono dell’umore e per tale ragione inseriamo a questo punto una breve trattazione su questa condizione), dal momento che è rappresentativa di una strategia difensiva volta a ridurre l’ansia e regolare gli affetti. Tale condizione si riferisce alla presenza di interessi tipici del sesso opposto, un fenomeno che si manifesta nel normale corso dello sviluppo, ma che può esitare in una condizione psicopatologica perturbando i processi evolutivi. Talvolta l’assunzione di comportamenti tipici del sesso opposto rappresenta una condizione temporanea, una fase di transizione che il bambino di 2 anni può attraversare, mentre in altri casi può dare avvio ad una serie di difficoltà emotive di maggiore rilevanza. Quando le preoccupazioni riguardo al proprio sesso assumono carattere intenso, persistente ed invasivo si può parlare di un DIG che generalmente si colloca tra la fine del I e il III anno di vita. Al di là dei criteri di classificazione diagnostica elaborati dal DSM (di seguito riportati), per lo specifico disturbo in fase evolutiva, si preferisce talvolta ricorrere alla configurazione dell’AGIO (Atipical Gender Identity Organization) elaborata da Di Ceglie (2003), che introduce una maggiore flessibilità nella considerazione dei disturbi psichici nel corso dello sviluppo.

Criteri diagnostici del DSM IV per il disturbo dell’identità di genere (A)

A. Una forte e persistente identificazione col sesso opposto (non solo un desiderio di qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’appartenenza al sesso opposto).
Nei bambini il disturbo si manifesta con quattro o più dei seguenti sintomi:

  1. desiderio ripetutamente affermato di essere, o insistenza sul fatto di essere dell’altro sesso
  2. nei maschi, preferenza per il travestimento o per l’imitazione dell’abbigliamento femminile, nelle femmine, insistenza nell’indossare solo tipici indumenti maschili
  3. forti e persistenti preferenze per i ruoli del sesso opposto nei giochi di simulazione, oppure persistenti fantasie di appartenere al sesso opposto
  4. intenso desiderio di partecipare ai tipici giochi e passatempi del sesso opposto
  5. forte preferenza per i compagni di gioco del sesso opposto

Negli adolescenti e negli adulti l’anomalia si manifesta con sintomi come desiderio dichiarato di essere dell’altro sesso, farsi passare spesso per un membro dell’altro sesso, desiderio di vivere o di essere trattato come un membro dell’altro sesso, oppure la convinzione di avere sentimenti e reazioni tipici dell’altro sesso.

Criteri diagnostici del DSM IV per il disturbo dell’identità di genere (B-C-D)

B. Persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso.
Nei bambini l’anomalia si manifesta con uno dei seguenti sintomi: nei maschi, l’affermazione che il proprio pene o i testicoli li disgustano, o che scompariranno, o affermazione che sarebbe meglio non avere il pene, o avversione verso i giochi di baruffa e rifiuto dei tipici giocattoli, giochi e attività maschili, nelle femmine, rifiuto di urinare in posizione seduta, affermazione di avere o che crescerà loro il pene, o affermazione di non volere che crescano le mammelle o che vengano le mestruazioni, o marcata avversione verso l’abbigliamento femminile tradizionale.
Negli adolescenti e negli adulti, l’anomalia si manifesta con sintomi come preoccupazione di sbarazzarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie o secondarie (per es. richiesta di ormoni, interventi chirurgici, o altre procedure per alterare fisicamente le proprie caratteristiche sessuali, in modo da assumere l’aspetto di un membro del sesso opposto) o convinzione di essere nati nel sesso sbagliato.
C. L’anomalia non è concomitante con una condizione fisica intersessuale.
D. L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento.

Configurazione familiare nel bambino con DIG

L’inizio del disturbo compare in una fase in cui esiste un notevole impulso per lo sviluppo di un senso del Sé autonomo e separato dalla madre, ma prima dello stabilirsi di un senso relativamente stabile del genere. Dal punto di vista eziologico ansia, depressione o vissuti pluritraumatici (nella prospettiva dell’attaccamento si evidenzia proprio la ripercussione di esperienze traumatiche genitoriali sulla traumaticità dello sviluppo infantile) si intersecano probabilmente su una condizione temperamentale particolare, in un periodo sensibile dello sviluppo. Generalmente si tende a ricondurre il DIG nel maschio ad una configurazione familiare specifica che vede la presenza emotiva e fisica eccessiva delle madri ed un’assenza del padre. Facilmente, però, tale condizione appare riconducibile ad una perdita subita dal bambino rispetto alla disponibilità affettiva della madre. Talvolta ci si riferisce ad una depressione materna, sicché la madre appare presente fisicamente ma psichicamente assente, affettivamente non disponibile, vuota e insoddisfatta rispetto alla propria femminilità (spesso donne virili). Alla perdita il bambino risponderebbe con l’attivazione di una modalità imitativa che tende a ripristinare lo stato di indifferenziazione, dove mancano il distacco e il riconoscimento di sé e dell’altro. Naturalmente, però, nello strutturarsi di queste condizioni assume un peso considerevole lo psichismo genitoriale e così la fantasmatica implicita nella relazione e nel desiderio del figlio (sostituto di un figlio del sesso opposto morto, completamento di sé) da parte dei genitori. Tale condizione infatti può avere anche chiare valenze riparatorie rispetto alle fantasie genitoriali.

Configurazione familiare nella bambina con DIG

Solo recentemente si è approfondito il discorso del DIG nelle bambine, evidenziando una diversa configurazione familiare (dal momento che la separazione e la morte psichica della madre solleciterebbero una generica ansia da separazione o diverse modalità difensive nella bambina): ad un padre aggressivo corrisponderebbe una madre svalutante e svalutata, sicché la bambina andrebbe ad identificarsi col padre aggressore sia come tentativo di protezione per sé e per la madre (identificazione con l’aggressore), sia perché impossibilitata ad identificarsi con un femminile materno svalutato e che, oltretutto, appare debole e minacciato. In ogni caso il costo di queste strategie difensive è molto elevato tanto più che, spesso, queste modalità presuppongono la strutturazione di un falso sé (Winnicott, 1954) che ostacola la possibilità di sentirsi reali.
La presenza di un DIG nell’infanzia può predisporre ad una maggiore possibilità di sviluppare una tendenza omosessuale rispetto alla popolazione generale, ma ciò non sembra ancora poter essere confermato da studi longitudinali.

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