Douglass Price-Williams, nel 1978, è stato uno dei primi a proporre il termine di cultural psychology ma è stato Jerome Bruner ad avere un ruolo considerevole nel superamento della concezione computerizzata della mente, restituendo alla psicologia il concetto di cultura.
Vi è una circolarità dinamica fra mente e cultura per cui nel momento in cui l’uomo costruisce il proprio sé, interiorizzando i simboli del sistema culturale, parallelamente concorre al cambiamento della cultura stessa mediante il proprio intervento interpretativo che è intersoggettivo poiché si manifesta nella comunicazione con gli altri sé.
Costruzione, interpretazione e intersoggettività sono, pertanto, concetti fondamentali della psicologia culturale.
Bruner, per di più, ha restituito al “dire” e al “fare” il merito di un’unità funzionale in cui l’uno è imprescindibile dall’altro. E quello che unisce il “dire” e il “fare” sono le intenzioni che sottostanno un agito e che si rivelano sotto forma di pensiero narrativo più o meno consapevole.
Inoltre, per tali motivi, Bruner afferma che la psicologia popolare è alla base della psicologia culturale. L’autore ha operato così una sorta di “riumanizzazione” della psicologia.
La psicologia culturale è soggetta a diverse interpretazioni e due sono le principali correnti riconoscibili.
La prima:
di matrice principalmente americana, parla di studio delle diversità culturali nel comportamento psicologico (per questa definizione, però, si predilige il termine “psicologia interculturale“).
La seconda:
principalmente di origine europea, intende lo studio del rapporto di natura psicologica (quindi sia affettivo che cognitivo) che l’individuo elabora ed intrattiene con la propria cultura.
La psicologia culturale rappresenta una direzione interessante nell’ambito delle scienze umane. Essa è fondata sull’idea di un rapporto tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti mediante i quali gli individui si relazionano tra loro e con il mondo (Mazzara, 2007).
Quando si parla di psicologia culturale non si possono tralasciare concetti quale gli artefatti, la mediazione e il realismo mediato.
Il concetto di artefatto porta con sé quello di mediazione.
Gli artefatti erano considerati degli strumenti materiali (Lev Vygotskij) attraverso i quali gli individui interagiscono con l’ambiente ma non si tardò a includere anche una visione non solo materiale (Mike Cole) degli artefatti:
“Gli artefatti culturali sono ideali e materiali nello stesso tempo. Sono ideali nel senso che contengono in forma codificata le interazioni di cui erano parte in precedenza e che ora mediano nel presente. Sono materiali per il fatto che sono incorporati in artefatti” (Cole, 1995, p. 28).
Un esempio di artefatto che sostiene tutti gli altri e che per tale motivo ha una funzione particolare, in quanto ha la “mansione” di mediatore, è il linguaggio, inteso come azione sociale.
Il linguaggio è una sorta di meta-artefatto che costruisce, stabilizza e delimita la nostra esperienza (Mantovani, 2007), Alessandro Duranti scrive che “è la possibilità di connettere il passato al futuro che rende il linguaggio così potente per l’homo sapiens. E tale connessione è resa possibile dalla narratività . Il raccontare si proietta sia nel passato, attingendo alle esperienze nostre e altrui, che nel futuro, fornendoci l’abilità di predire, pianificare, immaginare, e quindi inventare. Le connessioni che il linguaggio permette di fare tra le realtà più diverse svolgono un doppio ruolo per gli individui. Da una parte ci aiutano a sostenere la sensazione di una fondamentale coerenza del nostro io, nonostante i cambiamenti sia rapidi (da una situazione ad un’altra) che lenti (da un’età ad un’altra) di comportamenti, credenze, e valori che caratterizzano qualsiasi biografia umana. Dall’altra, quelle stesse connessioni ci permettono di appartenere ad un mondo sociale complesso abitato da altri individui, in parte uguali e in parte diversi da noi” (Duranti, 2003, p. 47).
Che cosa vuol dire mediazione? Per spiegare cosa si intende per mediazione, Gregory Baterson utilizza questo esempio:
“immaginiamo che io sia cieco e usi un bastone. Per camminare devo toccare le cose: tap, tap, tap. In quale punto del bastone incomincio io? Il mio sistema mentale finisce all’impugnatura del bastone? O finisce dove finisce la mia pelle? Incomincia a metà del bastone? Oppure sulla punta?” (Bateson, 1972, p. 459).
“Il cieco conosce ‘attraverso’ il bastone, ‘per mezzo’ di esso: il bastone ‘media’ la relazione tra il cieco e la strada. ‘Mediare’ significa ‘rendere accessibile’ all’esperienza, e nello stesso tempo ‘limitare’, ‘vincolare’ l’esperienza in un certo modo. È grazie al bastone che il cieco conosce la strada, ma il cieco conosce la strada nei limiti e secondo le modalità che il bastone gli rende disponibili. Un altro aspetto importante del concetto di mediazione è che essa mette in discussione l’opposizione fra ‘dentro’ e ‘fuori’, fra mente e ambiente. Il bastone è sia «dentro» che «fuori» rispetto alla mente del cieco; esso media fra la mente e la strada” (Mantovani, 2007).
Il realismo mediato, invece, consiste nel cogliere la realtà da un punto di vista mio/nostro. Ciò vuol dire che siamo dentro la realtà , operiamo in essa, la modifichiamo e ne siamo modificati (Mantovani, 2003a). “Un plus, non un minus di realismo perchè nella ‘realtà ’ siamo compresi anche noi come attori sociali” (Mantovani, 2007).
S’intende con riflessività :
1) La riflessione che gli attori possono sviluppare intorno alle pratiche che sono adottate in un dato contesto e alle teorie implicite che le sottendono: “procedura euristica condivisa e condivisibile all’interno di un tessuto socio relazionale” (Striano, 2006, p.16).
2) Per l’antropologia culturale e il costruzionismo sociale un metodo che mostri come la realtà sia intersoggettivamente costruita (First order approach to reflexivity, Steier, 1991).
3) Una posizione radicale che riconosce il ruolo che i ricercatori stessi assumono nei processi di costruzione della realtà indagata (Second-order approach to reflexivity, Steier, 1991).
La riflessività è descritta da Mantovani non come un’autoanalisi, ossia una consapevolezza raggiunta in isolamento, il risultato di un monologo, ma l’effetto di un dialogo che momento per momento colloca il problema nel contesto sociale evidenziando il fatto che esistono molti modi di costruire il problema e studiarlo. È dunque attraverso il confronto con i partecipanti che il ricercatore diventa consapevole delle scelte teoriche e metodologiche che lo guidano, intendendo però con partecipanti tutti quelli che partecipano all’azione in diverse aree di ampiezza della medesima, «anzitutto il gruppo di ricerca e le persone che sono direttamente coinvolte in essa. In secondo luogo le persone a cui la ricerca verrà riferita, che la discuteranno, che ne accetteranno o respingeranno i risultati: i colleghi dei ricercatori [...]. In terzo luogo le comunità più ampie, come la comunità scientifica e professionale degli psicologi, quella degli insegnanti e così via. In quarto luogo i media e le istituzioni che in qualche modo, anche indiretto, ne leggono e commentano i risultati, talvolta le finanziano, qualche volta persino le tengono nelle loro decisioni» [Mantovani, 2010] (Arcidiacono, 2010).
La riflessività comporta l’esigenza di costruire una memoria storica di ogni conoscenza transitoria.
Da qui deriva l’esigenza di descrivere i diversi passaggi del processo e la cura del fare questo come momento non accessorio ma costruttivo dell’atto scientifico. A tal fine vengono utilizzati differenti metodi e strumenti:
Il foto voice centra la sua attenzione sul dare voce all’esperienza e ai vissuti dei diversi attori sociali, mentre il foto dialogo, cerca piuttosto di costruire l’interazione tra i partecipanti attraverso la discussione dei materiali fotografici presentati dai diversi attori sociali (Arcidiacono, 2010).
«La mostra civica è infine un nuovo procedimento di partecipazione del cittadino, strumento e catalizzatore per la soluzione dei problemi sociali attraverso la partecipazione. In essa l’uso delle immagini viene utilizzato per la costruzione di capitale sociale ed empowerment (Böhm et al., 2008). Tale strumento prevede che il cittadino possa esporre le proprie opinioni personali in forma di frammenti di intervista, assieme a fotografie di sé e di luoghi del quartiere per lui significativi. Lo scopo della mostra cittadina è quello di rilevare opinioni, fini e motivazioni di gruppi di interesse – ad esempio quelli degli abitanti di un quartiere, dell’amministrazione, di investitori privati – e rendere possibile un dialogo pubblico su tali temi» (Arcidiacono & Legewie, 2010).
Le foto riproducono i “posti” indicati come significativi, in relazione alla storia personale e alla qualità della vita nel quartiere: esse rappresentano i luoghi più spesso menzionati, perché belli e significativi o brutti e particolarmente negativi.
Il parametro di valutazione per la raccolta di foto segue, in ogni soggetto, un criterio personale, ma l’insieme delle immagini proposte narra i luoghi cogliendo le emozioni e i sentimenti che suscitano, in una sorta di traccia visiva corale delle rappresentazioni mentali.
La mostra, il catalogo, i pannelli, il video, etc., indagando le rappresentazioni degli abitanti sono tesi a trovare le strategie di superamento di problemi, che pur essendo sotto gli occhi di tutti, non costituiscono però, nei fatti, oggetto di interesse attivo (Arcidiacono, 2010).
L’attenzione alla ricerca azione riattualizza un dibattito epistemologico falsamente superato tra ottica nomotetica e ottica ideografica (Amerio, 2000a). La metodologia della ricerca-azione è infatti interessata agli aspetti storicizzati, singolari e unici di quel contesto e di quel gruppo sociale (dunque, l’idios) tenendoli insieme alle continuità , ciclicità e ridondanze (dunque il nomos) che prendono forma in quel contesto, per quel gruppo e che i metodi di ricerca consentono di sistematizzare in set di conoscenza. (Novara et. al, 2008). La ricerca-azione mette così il ricercatore in salvo da tentazioni riduzioniste attraverso due innovazioni epistemologiche: mettere in rilievo la forza rivelatrice della conoscenza “tacita”, che essenzialmente scaturisce dall’esperienza diretta e cogliere le risultanze del circuito di riflessività tra oggetto e soggetto della conoscenza (Amerio, 2000; Mruck et. al, 2003). In questo senso, l’osservazione partecipata dell’esperienza vissuta è il modo per accedere al dominio dell’identità di un contesto di vita. La conoscenza tacita prende forma in una struttura narrativa che nella relazione scopre il suo miglior vettore e questo il più delle volte corrisponde già ad un intervento sul campo (Novara et. al, 2008). Secondo il principio della riflessività , un ricercatore è un soggetto che entra in una relazione particolare con l’oggetto di ricerca, sia esso un altro soggetto che un evento (Mruck et al., 2003).
La priorità è stabilire un contesto di ricerca che appartenga allo stesso tempo al ricercatore, al committente e al destinatario. Prendendo ad esempio la ricerca sviluppata nei contesti locali vediamo che necessita anzitutto definire:
Per saperne di più: Arcidiacono, C., & Procentese, F. (2010). Participatory research into community psychology within a local context. Global Journal of Community Psychology Practice, 1(2).
Definizione del problema: qual’è l’area da approfondire e in relazione a questo sviluppare una griglia per interviste individuali e/o di gruppo, la ricerca o l’eventuale produzione di testi mirati sul tema indagato.
Focalizzazione dell’obiettivo: nel corso della ricerca le domande di ricerca si modificano in relazione alle risposte avute (o non avute) e gli obiettivi di ricerca divengono più specifici. Il che potrebbe comportare modifiche nel piano di reclutamento dei partecipanti.
Raccolta dati: attraverso le voci più significative per comprendere il tema trattato: persone chiave, e protagonisti ovvero attori interpreti attivi e passivi del tema indagato. Le interviste dettagliate e le osservazioni sono lo strumento per catturare la prospettiva individuale, così come Denzin e Lincoln propongono (1994), ma esse sono altresì lo strumento per dare voce agli attori sociali e dare valore all’esperienza di gruppi e persone come strumento di azione e cambiamento sociale. Punto chiave è l’accurata scelta di chi intervistare (il reclutamento).
Uwe Flick (2004), parla di triangolazione quale criterio guida per la validazione della ricerca qualitativa; il metodo assume qui una dimensione specifica; la triangolazione non è più riferita alle diverse fonti per verificare la veridicità , bensì come strumento che garantisce l’espressione della molteplicità e delle differenze nella descrizione di un fenomeno; abbiamo quindi il riferimento alla molteplicità di fonti, di ricercatori coinvolti e di teorie di riferimento. La funzione del metodo si esplicherà nel consentire la valutazione dei dati ottenuti siano essi convergenti, divergenti o complementari. Distingue ulteriormente tra triangolazione implicita ed esplicita e crea connessioni tra una prospettiva interpretativa strutturale-interazionista e una soggettiva-intenzionale-ricostruttiva; vediamo così che il metodo che nella ricerca naturalistica garantiva la credibilità della ricerca, viene qui ulteriormente applicato trasversalmente alla tipologia dei ricercatori e alla verifica delle teorie utilizzate, diventando lo strumento per dare voce alle diverse letture di un fenomeno, ai diversi protagonisti di un evento. Il contributo di Flick sembra così dirimere la contrapposizione tra chi crede in una realtà esterna “data” e chi invece vede una realtà da interpretare.
TRIANGOLAZIONE
(a) costruzione e finalizzazione progressiva di griglie per le interviste; (b) ev. questionari a carattere quantitativo; (c) raccolta di materiale visivo [fotodialogo]; (d) confronto con la letteratura; (e) confronto con attori e autorità esterne;
modalità di composizione della équipe di ricerca: ricercatori diversi per formazione e presenza di attori sociali.
TEAM BUILDING
Il gruppo di ricerca-azione deve possedere competenze mirate: facilitazione al lavoro di gruppo, negoziazione, assessment di bisogni e risorse.
STEERING COMMITEE
La configurazione di un gruppo d’indirizzo, “tavolo di concertazione” e un gruppo di ricerca che si incontrano regolarmente per scambiare informazioni, sono importanti strumenti di lavoro e veicoli di comunicazione (Nelson & Prilleltensky, 2005, p.250). Serrano-Garcia (1990) raccomanda di avere uno steering committee composto al 51% da membri della comunità per cui e con cui si svolge la ricerca, ciò al fine di garantire la rappresentatività della loro presenza. In situazioni di maggior complessità la letteratura suggerisce di redigere preliminarmente un codice di intenti che possa far superare scetticismo e criticismo nei confronti della ricerca, come ad esempio la carta etica redatta nella ricerca con comunità aborigene del Canada, descritta da Nelson e Prilleltensky (2005, p.251).
ACCURATA DESCRIZIONE DELLE PROCEDURE E DELLE RELAZIONI (RIFLESSIVITÀ)
DISSEMINAZIONE DEI RISULTATI E RICERCA DI COMMITTENZA
Documentare la verità delle persone attraverso le loro parole, affermano Banyard e Miller, diventa un esperienza di empowerment attraverso l’affermazione della realtà di un’esperienza storica di un gruppo e la sua documentazione scritta. Attraverso la trasmissione orale e la pubblicazione si facilita la diffusione ad un pubblico più ampio di queste storie condivise, il che a sua volta porta maggior attenzione e risorse per i bisogni e le esigenze della comunità . Rappaport, in particolare già nel 1995 (p.801) aveva individuato nel metodo narrativo uno strumento che supporta lo sviluppo individuale e delle comunità . Si tratta di una scoperta di nuovi contenuti, ma ancor più di un processo di metacomunicazione che si attiva nell’ascoltare e dare rispetto alle storie di vita delle persone e si trasforma in un esperienza che cambia il ruolo della relazione e crea un rapporto di compartecipazione condivisa tra ricercatore e “soggetti” della ricerca.
COMPETENZE MIRATE
Il gruppo di ricerca-azione deve acquisire competenze mirate: facilitazione al lavoro di gruppo, negoziazione, assessment di bisogni e risorse, progettazione partecipata territoriale, team building.
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16. I metodi QUAL- QUANT e i Disegni di ricerca
17. Quadro di riferimento e procedura di ricerca
18. Ricerca-Azione
19. Il contributo dell'approccio etnografico/narrativo e della psic...
20. Osservazione ecologica: agire ed essere nei contesti
21. Il ricercatore, la comunicazione e l'intervista (semi-struttura...
Arcidiacono, C. (2010). Riflessività , processualità , situatività : Parole chiave della ricerca-azione. In F. P. Cpòucci (a cura di), Ricerche di psicologia, numero speciale.
Arcidiacono, C., & Procentese, F. (2010). Dialogo interculturale e approccio ecologico. In B. Mazzara (a cura di), L'incontro interculturale tra difficoltà e potenzialità . Milano: Unicopli Editore.
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Arcidiacono, C., & Tuccillo, F., (a cura di) (2010). Ricerca Interculturale e processi di cambiamento. Metodologie, risorse e aree critiche. Caserta: La Melagrana.
Groppo, M., Ornaghi, V., Grazzani, I., & Carrubba, L. (1999). La Psicologia Culturale di Bruner. Aspetti teorici ed empirici. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Mantovani, G. (2008). Analisi del discorso e contesto sociale. Bologna: Il Mulino.
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