Quando parliamo di ricerca non possiamo non introdurre il concetto di paradigma.
Nel 1962 Thomas Kuhn pubblica l’opera “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, in cui rifiuta la concezione tradizionale della scienza come accumulazione progressiva di nuove scoperte, affermando che in certi momenti (detti rivoluzionari) si interrompe il rapporto di continuità con il passato e si inizia un nuovo corso, in modo non completamente razionale.
Il passaggio da una teoria ad un’altra è così globale e ha tali conseguenze che Kuhn lo chiama rivoluzione scientifica.
Il paradigma è una prospettiva teorica individuata e condivisa dagli scienziati. È costruita su acquisizioni antecedenti e guida la ricerca rispetto alla scelta dei fatti considerevoli da studiare, alla formulazione delle ipotesi e ai metodi e tecniche di ricerca utili.
Senza un paradigma una scienza non ha né direzioni né norme di scelta, poiché tutti i criteri, i problemi e le tecniche diventano in ugual modo rilevanti. Il paradigma è una sorta di guida che fornisce agli scienziati un modello e le indicazioni per costruirlo. Potremmo definire il paradigma come un qualche cosa di più ampio di una teoria: è una visione del mondo, una griglia di lettura che precede l’elaborazione teorica.
Possiamo individuare quattro paradigmi fondamentali che hanno indirizzato la ricerca sociale:
La radicale differenza tra questi paradigmi emerge dalle risposte che essi danno alle domande principali a cui si trova di fronte la scienza sociale (Mannetti, 2000; Murray et al., 2001; Lincoln and Cuba, 2000):
Il positivismo ha dominato il panorama, delle scienze fisiche e sociali, per circa 400 anni.
Il paradigma positivista parte dal presupposto che esiste una realtà esteriore regolata da leggi e meccanismi naturali statici che la ricerca può aiutare ad individuare. La veridicità di un’affermazione scientifica può essere appurata attraverso la comparazione delle affermazioni teoriche con i “fatti” considerati oggettivi e neutri, ovvero indipendenti dalle teorie.
Il paradigma positivista annuncia che il rapporto tra ricercatore ed oggetto di studio sia indipendente: l’investigatore non deve influenzare e non deve essere influenzato dall’oggetto di studio.
Il paradigma positivista si muove, metodologicamente, sostenendo il metodo sperimentale: vengono formulate delle ipotesi che saranno sottoposte ad accertamento empirico, seguendo delle norme che escludono alcun imprevisto che non rientri in quelle che sono le variabili indipendenti manipolate dal ricercatore.
Preferenza per approcci quantitativi.
Il neopositivismo (indicato anche con il termine di postpositivismo da Lincoln e Guba – 2000) rappresenta una versione, limitatamente modificata, del positivismo per fronteggiare alle critiche avanzate.
Il paradigma neopositivista sostiene che esiste una realtà esterna che, però, può essere conosciuta solo in modo imperfetto. Cook e Campbell (1979) parlano di conoscenza approssimata, mai perfetta, della realtà .
Il paradigma neopositivista seppur tende verso un limite ideale che mira ad un dualismo e ad un’oggettività nella relazione tra ricercatore ed oggetto di studio, è consapevole dell’impossibilità del raggiungimento di tale meta.
Il paradigma neopositivista sostiene la necessità di adottare strategie multiple e diversificate per falsificare le ipotesi.
Predilezione per il metodo sperimentale ma apertura agli approcci qualitativi.
I sostenitori di questo paradigma condividono le assunzioni del realismo critico del neopositivismo ma sottolineano anche l’importanza della realtà storica.
I teorici critici dichiarano l’impossibilità di teorizzare l’indipendenza fra ricercatore ed oggetto studiato. La scelta dell’oggetto di studio e i risultati delle esplorazioni non possono non essere influenzati dal ricercatore e da quanti sono coinvolti nell’indagine. Infatti, questa posizione mette in discussione l’esatta separazione tra realtà studiata e processo di conoscenza mettendo in risalto come la ricerca costituisca anche un’azione di intervento sulla realtà che studia.
I teorici critici evidenziano l’indagine come una transazione e un dialogo tra lo studioso e gli oggetti studiati. In altre parole, i fautori delle teorie critiche ritengono che, in alcuni casi, l’interazione tra ricercatore e uno specifico gruppo di soggetti è elemento di valutazione, è il vero obiettivo dell’indagine.
Il costruttivismo si basa sull’assunzione secondo cui esistono molte realtà .
Per i costruttivisti, la realtà è guardata come una costruzione mentale fondata su fattori sociali e sull’esperienza personale. Le differenti realtà sono confrontabili unicamente in termini di complessità e sofisticazione e sono soggette a cambiamenti. Inoltre, i costruttivisti sostengono l’interazione tra soggetti studiati e ricercatore affermando che i risultati emergono nel corso di tale interazione.
Le diverse costruzioni di realtà devono essere sottoposte a procedure interpretative e paragoni dialettici al fine di giungere ad una nuova costruzione della realtà che sarà differente rispetto alle originarie realtà del ricercatore e degli individui stessi che partecipano alla ricerca.
«Con riferimento alle assunzioni ontologiche ci si muove dal realismo ingenuo del positivismo al realismo critico del neopositivismo, al realismo storico della teoria critica per arrivare al relativismo del paradigma costruttivista.
Con riferimento alle assunzioni epistemologiche si passa dal dualismo e oggettivismo del positivismo, al dualismo e oggettivismo modificato del neopositivismo, al transazionismo della teoria critica fino al transazionismo e soggettivismo estremo che caratterizza il costruttivismo.
Con riferimento alle assunzioni metodologiche, si passa dai metodi sperimentali finalizzati alla verifica delle ipotesi tipici del positivismo, ai metodi sempre sperimentali ma arricchiti da tecniche qualitative e finalizzati alla falsificazione delle ipotesi tipici del neopositivismo, ai metodi dialogico-dialettici della teoria critica, fino ai metodi ermeneutico-dialettici del costruttismo» (Mannetti, 2000).
Quando si tratta di combinare i criteri della ricerca di base con le esigenze della ricerca sul campo si parla di ricerca naturalistica. Più avanti (lezione 17) vedremo come essa viene declinata in psicologia di comunità .
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Mannetti, L. (2000). Strategie di ricerca in psicologia sociale. Carocci.
Nelson, G., & Prilleltensky, I. (2005). Community Psychology: In pursuit of liberation and well-being. New York: Palgrave/Macmillan.