Ogni individuo si inscrive nel suo sistema di valori e nella organizzazione
socio-relazionale della sua vita.
La vita di ogni singolo soggetto si inscrive in quella che è l’organizzazione sociale dei tempi di lavoro e di svago, delle opportunità di lavoro presenti nei contesti di appartenenza, della loro organizzazione ambientale in termini di presenza di spazi verdi, gradevolezza e vivibilità dei paesaggi ambientali e condizioni di abitabilità , nonché relazionalità . Ed ogni contesto assume significati diversi in contesti differenti.
Se superiamo l’ottica individualistica, che ha prevalso a lungo nelle scienze psicologiche, arriviamo ad una definizione che esprime più esplicitamente le interrelazioni tra dimensioni sociali e individuali: «l’identità della persona è l’attualizzazione sociale del senso di sé e della conoscenza di sé» (Amerio, 1988, p.88). Le nostre categorie mentali sono in larga misura costruite nel sociale, così come larga parte di quello che definiamo come disagio psichico e/o disturbo psichico (ivi compreso forme spiccatamente patologiche) ha un origine sociale. Non vi è oggi area della psicologia che non riconosca quest’azione che il sociale ha sui processi psicologici in senso lato» (Amerio, 2000).
Proseguendo …
«se noi affermiamo che il sociale contribuisce a costruire l’individuo (la sua psiche, i suoi fini e le sue speranze, nonché i suoi problemi, disagi e disturbi) dobbiamo anche aver chiaro che il sociale non è un dato ontologicamente posto prima del soggetto, ma piuttosto un prodotto dell’agire umano: qualcosa (cultura, norme, regole, diseguaglianze e squilibri di potere) che l’umanità ha costruito nel corso della sua storia filogenetica, e che per qualche verso, l’individuo umano si trova a costruire nel corso della sua storia ontogenetica» (Amerio, 2000).
Affrontare il tema del rapporto individuo-contesto richiede,infatti, di conoscere sia come nel tempo cambia il modo con cui il soggetto guarda al contesto sia come il contesto si modifica nella lettura che i diversi soggetti ne danno.
La Psicologia sociale studia le articolazioni tra mondo psichico e mondo sociale.
Per Piero Amerio, professore emerito dell’Università di Torino «possiamo definire la psicologia sociale come la disciplina che connettendo l’analisi dei processi psicologici degli individui con l’analisi delle dinamiche sociali nelle quali questi sono coinvolti, studia in particolare i modi e le forme con cui l’attività mentale e pratica e i comportamenti si articolano con il contesto sociale» (2007).
La psicologia sociale:
Secondo Palmonari (2002), la psicologia sociale è stata sin dalle origini fondata su solide basi cognitive e, all’inizio degli anni 2000, la cultura socio psicologica, è sempre fortemente caratterizzata dalla scuola nordamericana che tende a considerare la corrente della cognizione sociale (social cognition) come l’asse portante della disciplina.
Tuttavia, nella disciplina, oggi, gli elementi fondanti del rapporto individuo e società sono analizzati anche alla luce dei più recenti e innovativi approcci di pensiero.
La psicologia sociale nell’ approccio evoluzionistico fa riferimento a quei contributi dell’etologia allo studio del comportamento umano che enfatizzano i continui processi d’interazione organismo-ambiente durante tutto l’arco vitale. Il focus è su propensioni innate che interagiscono continuamente con l’ambiente (Attili, 2000).
Recenti approfondimenti di Arcuri (2006) pongono in evidenza le implicazioni delle neuroscienze sul comportamento sociale, evidenziando come con questo approccio si apre una prospettiva di mente incorporata.
Un ulteriore filone di pensiero focalizza invece le determinanti culturali nella costruzione dell’interazione tra individuo e società (Mantovani, 2008).
Nella più ampia famiglia della psicologia sociale, intorno agli anni ‘70 del secolo scorso, ha iniziato a prendere corpo un approccio definito “psicologia di comunità ” che si caratterizza per teorie, metodologie e strumenti mirati all’intervento nel sociale. La sua visione si sostanzia nella promozione delle risorse spontanee, lo sviluppo della partecipazione, l’empowerment individuale e collettivo, e in azioni per il cambiamento mirato all’ottenimento del benessere dei singoli e delle collettività .
Nel far riferimento ai contesti sociali, la psicologia di comunità fa propria la definizione di Tönnies in relazione ai contesti sociale e ambientali indagando gli elementi che favoriscono la costruzione di legami e di benessere collettivo.
Tönnies distingue tra comunità e società . L’una, Gemeinchaft, in cui i vincoli sono basati su “un modo di sentire comune e reciproco” con un condiviso patrimonio valoriale e l’altra, Gesellschaft, ove il contratto e la certezza del diritto definiscono le regole comuni.
Differenza ancor meglio definita da Weber nella distinzione tra comunità , nel senso di appartenenza affettiva, valori e scopi comuni, e società , dove il legame è stabilito statutariamente e si ha una comunità di interessi razionali.
La psicologia di comunità propone:
La psicologia di comunità , che trova collocazione nello studio delle interazioni che agiscono nel rapporto tra individuo e processi comunitari, attribuisce centralità agli elementi aggreganti, radicati e iscritti nelle relazioni umane, che prescindono da regole societarie codificate.
La sfida è unire lo psicologico al sociale senza confonderne i livelli e senza passare dal determinismo individualistico a quello sociologistico.
L’ambito della psicologia di comunità consente di intravedere nuovi sbocchi lavorativi per lo psicologo: dalla formazione e promozione di sviluppo al lavoro clinico nel sociale, dall’intervento nel volontariato/imprese sociali al management delle comunità .
La sempre maggiore richiesta di processi formativi attivi e partecipati offre spazi a coloro che acquisiscono un background formativo in psicologia di comunità .
La figura del formatore acquista oggi nuova definizione: è in grado di facilitare il lavoro in piccoli gruppi, gestire workshop e T-group, sviluppare esercitazioni partecipate, leggere la domanda e finalizzare la didattica ai livelli e alle risorse dei formandi.
Come vedremo più avanti, la formazione mirata all’empowerment individuale e di gruppo, la diagnosi di comunità e l’analisi organizzativa sono strumenti specifici che la psicologia di comunità studia e propone per la promozione attiva (empowerment) di risorse individuali e di gruppo, di competenze spontanee e l’accrescimento dei livelli di autostima.
La letteratura internazionale focalizza sempre più la propria attenzione su interventi psicologici in contesti di alta patologia sociale relazionale:
abusi, maltrattamento, alta conflittualità genitoriale e violenza intrafamiliare.
È questo un campo nuovo per la clinica tradizionale e per la prevenzione del disagio psicosociale. In esso trovano crescente applicazione i principi di lavoro di rete a livello interistituzionale, la promozione delle risorse spontanee e, in particolare, il supporto delle competenze genitoriali e la protezione delle vittime creando opportuni spazi di mediazione situazionale.
Tali approcci, hanno un profondo radicamento nell’ intervento per le famiglie e le collettività della psicologia di comunità , da sempre tesa all’empowerment delle risorse spontanee del singolo e dei contesti relazionali e istituzionali, trovando strumenti di intervento anche nella capacità di costituire setting per il contenimento e l’ascolto più specifici della tradizione clinica.
Un’area ulteriore, del tutto nuova e pertanto non ben definita si intravede, a mio parere, in supporto alla attività degli enti locali, in stretta relazione con il volontariato e organismi della società civile.
Lo sviluppo degli studi sulle appartenenze comunitarie e identitarie, nei diversi centri urbani, ha portato a sviluppare metodologie di azioni che possono supportare i processi di partecipazione tra organismi della società civile e le Amministrazioni locali. Si tratta di figure di diversa professionalità competenti nella interrelazione sociale e capaci di promuovere, a livello locale, benessere e qualità della vita in un’area della città (quartiere). Si tratta di interventi e monitoraggio delle politiche sociali effettuate, a cura di psicologi e operatori di diversa formazione, per il miglioramento delle politiche abitative, politiche di welfare e di sviluppo economico, di aree con particolari bisogni.
Lo psicologo di comunità può essere definito “catalizzatore sociale” (Arcidiacono, 2006) in quanto agisce per la promozione della qualità della vita e del benessere dei contesti sociali in cui è attivo e/o interviene.
Che significato ha questa definizione?
Nell’ambito delle città , lo psicologo di comunità ha le competenze relazionali e organizzative per: accelerare e migliorare le relazioni tra abitanti e amministratori; costruire basi condivise per rendere coerenti le visioni strategiche e il pensiero “dell’uomo della strada”, in particolare promuovendo lo sviluppo delle iniziative migliori (best practices); cercare risposte ai bisogni di coloro che vivono di fatto nei luoghi; monitorizzare l’efficienza, l’utilità e la conformità delle misure proposte a breve e a lungo termine.
Essere recettivo ed attivo per aprire e attivare il dialogo con i cittadini, non solo attraverso i media ma mantenendo aperto forme di consultazione e tavoli di concertazione.
In altre parole, lo psicologo di comunità ha le competenze di esperto nel management della comunità ed è capace di agire come catalizzatore delle risorse.
Il termine catalizzatore esprime le funzioni che abbiamo identificato e il ruolo attribuito a questo esperto che fa da “ponte” tra le diverse entità sociali.
Tuttavia sorge una domanda: Chi fa ricorso a questa figura?
Non abbiamo per ora una risposta, ma la psicologia di comunità illustra ad Amministratori e politici i vantaggi che ricava chi fa ricorso alle sue competenze. Attualmente, gli uffici di piano dei grandi Comuni impiegano architetti ed ingegneri e i problemi connessi alla esclusione sociale, isolamento e insicurezza raramente trovano risposte che tengono conto di pianificazione sociale e attivazione di processi di partecipazione e apprendimento sociale.
Il termine catalizzatore esprime le funzioni che abbiamo identificato e il ruolo attribuito a questa figura che fa da “ponte ” tra le diverse istanze ed attori sociali.
Per lui la sfida è riuscire a modificare le relazioni tra gli abitanti e produrre quell’innovazione in grado di affrontare i problemi cronici sviluppando nuove opportunità a livello di città .
In questo scenario, lo psicologo ha un ruolo variegato: aiutare a comprendere l’evoluzione dei processi sociali identificandone problemi e risorse; aiutare ad assicurare l’interazione del sistema internazionale con ciò che emerge ed è attivo a livello locale; entrare più profondamente nelle motivazioni soggettive che sottostanno i processi sociali aiutando a creare comunicazione; diventare strumento per le politiche sociali; essere in grado di identificare i bisogni della comunità e aiutare gli abitanti ad esprimerle e ad essere ascoltati, mediando fra i diversi interessi espressi. Oltre ciò deve essere in grado di dialogare e mediare con i rappresentanti dei cittadini, compresi i diversi soggetti politici. L’attivazione di processi partecipativi è per lui uno strumento di empowerment sociale.
Con il suo aiuto, gli amministratori possono più facilmente individuare i bisogni emergenti e la comunità può agire per esprimere i bisogni dei suoi membri.
Per quanto riguarda le competenze, si delinea la necessità di formare un operatore in grado di leggere i bisogni sociali, dar voce alle esigenze che non trovano voce e ascolto.
Si tratta di competenze d’accompagnamento dell’ente locale, finalizzate all’analisi dei bisogni: il che deve prevedere competenze per conduzione d’interviste, per la negoziazione tra attori sociali, la progettazione partecipata, la facilitazione del lavoro di gruppo, l’attivazione sociale. Sono competenze che vanno sviluppate.
Ritornando alle funzioni d’accompagnamento più specifiche del lavoro sociale rivolto direttamente all’utente, vediamo l’esigenza delle seguenti competenze di base:
Voglio enfatizzare qui l’importanza di apprendere dalla pratica e quindi saper utilizzare le conoscenze che ogni specifica area d’intervento ha sviluppato sui propri protagonisti: bambini, famiglie, donne, tossicodipendenti, anziani, realtà di quartiere e specifici contesti istituzionali.
Tali conoscenze agiscono per dar voce alle esigenze di coloro che non ne hanno.
Proporre accompagnamento sociale significa poi, supportare le risorse e le competenze dei cosiddetti “esclusi”, sofferenti o emarginati. Il dimenticare le persone che sono “dietro i problemi” induce a non scoprire le possibili risorse.
Rinvio alla figura la descrizione visiva, riassuntiva, delle competenze richieste all’operatore dell’accompagnamento nel sociale. La sfida è attivare iniziative che si possono collocare laddove sorge il problema al fine di accompagnare e sostenere la persona nell’affrontarlo. Il concetto di empowerment è una dimensione chiave che si deve radicare in strategie d’intervento efficaci delle diverse professionalità , non è solo uno slogan. Le capacità di relazione e ascolto fanno parte del patrimonio specifico dell’operatore sociale: hanno funzione di ponte e si articolano in negoziazione e mediazione.
Da Perkins: boxA. Modello del processo dove il modello psicosociale induce psicopatologia e alcune concezioni di come contrastare tale processo. (da Dohrenwend, 1978)
Gli eventi catastrofici con esito imprevisto, doloroso e luttuoso, le sciagure di vaste proporzioni, i disastri, attengono alla dimensione umana ed evocano il senso del legame sociale, della coesione ma anche del conflitto interpersonale. Le vicende di un disastro s’inscrivono in una fitta rete di rapporti umani ma gli studi psicosociali s’innescano non tanto sugli agenti che gli danno avvio quanto sulla capacità di risposta dei sistemi sociali minacciati. In essi l’attenzione si sposta a come la comunità costruisce la sua reazione al disastro, vedendo quest’ultimo come un evento collettivo.
Per Lavanco (2003) gli psicologi agiscono all’interno delle comunità e dei contesti per promuovere le capacità di far fronte agli stressors a livello individuale e collettivo. La loro competenza trova, tuttavia, applicazione nell’individuare quegli aspetti sociali, politici e culturali di un assetto comunitario che svolge un ruolo chiave nel determinare il tipo di risposta che le collettività possono fornire nella gestione dell’emergenza.
1. Psicologia sociale e psicologia di comunità : ambiti e peculiar...
2. Gli autori e i modelli di riferimento in psicologia di comunitÃ...
3. Il modello di Murrell e l'intervento
4. La prospettiva ecologica di Urie Bronfenbrenner
5. Psicologia di comunità critica e modelli ecologici di Prillelt...
6. Empowerment
7. Legami di comunità , partecipazione, capitale sociale sostegno,...
8. Intervento e metodi: Gruppo di lavoro – Lavoro di gruppo
9. Swot Analysis e Future Lab's
11. Metodi e profili di comunitÃ
12. Fotodialogo, photovoice e mostre civiche
13. Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM)
14. Costruzione, realizzazione e valutazione di un progetto
15. I paradigmi della ricerca: dalla ricerca sperimentale alla rice...
16. I metodi QUAL- QUANT e i Disegni di ricerca
17. Quadro di riferimento e procedura di ricerca
18. Ricerca-Azione
19. Il contributo dell'approccio etnografico/narrativo e della psic...
20. Osservazione ecologica: agire ed essere nei contesti
21. Il ricercatore, la comunicazione e l'intervista (semi-struttura...
Amerio, P. (1983). Le strade della convivenza: Né assenza di identità né una società senza gruppi: ciascuno dovrebbe aiutare la crescita collettiva e accettare l'identità dell'Altro. In Prometeo, 16, 63, pp. 86-93, Mondadori, Milano.
Amerio, P. (2000). Psicologia di comunità . Il Mulino, Bologna.
Arcuri, L. (2006). Neuroscienza sociale: un possibile percorso per superare le difficoltà del cognitivismo. In Psicologia Sociale, 1, pp. 31-37.
Attili, G. (2000). Introduzione alla psicologia sociale. SEAM, Roma.
Lavanco, G., (2003). Psicologia dei disastri. FrancoAngeli, Milano.
Mantovani, G. (cura di) (2008). Intercultura e mediazione: teorie ed esperienze, Carocci, Roma.
Palmonari, A., Cavazza, N., & Rubini, M. (2002). Psicologia sociale. Il Mulino, Bologna.