L’industrializzazione inglese costituisce una sfida per l’Europa continentale e, in seguito, per gli Stati Uniti e il resto del mondo. Nella prima metà del XIX secolo, chi ne ha la possibilità tende a copiare il modello inglese, anzitutto importandone le nuove tecnologie.
Ma, rispetto alla sfida, taluni territori partono da posizioni di vantaggio, altri da posizioni di svantaggio.
L’Europa continentale rientra nella prima categoria e, emulando il modello inglese, sviluppa un’industrializzazione abbastanza simile, sebbene adattata ai suoi contesti.
L’Europa orientale, al contrario, ha caratteri storici che le renderanno difficile adottare quel modello e industrializzarsi. Non per questo, tuttavia, potrà ignorare lo sviluppo economico occidentale: non potendo emularlo, ne diventerà dipendente.
Letture:
David Landes, Prometeo liberato. La rivoluzione industriale in Europa dal 1750 a oggi, Einaudi 1978
Sidney Pollard, La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, il Mulino 1984
Processi di industrializzazione investono, nei primi decenni dell’Ottocento, alcune aree del Continente: Belgio, regione di Parigi, valle della Loira, Renania, Westfalia, regione di Berlino, Alsazia, Svizzera, Sassonia, Slesia.
Rispetto al resto dell’Europa, queste aree hanno importanti vantaggi competitivi, in parte accumulati nel corso della loro storia:
L’Europa orientale presenta un quadro sociale non adatto allo sviluppo economico: prevalenza massiccia della campagna sulla città, agricoltura di autoconsumo, contadini-servi, nobiltà refrattaria all’innovazione, scarsi capitali d’investimento, lontananza dai mercati occidentali
Essa risponde comunque alla sfida dello sviluppo che viene da Ovest, ammodernando la propria società: le servitù personali vengono eliminate in Prussia (1807), Impero asburgico (1848), Russia (1861), Polonia (1864). Ma ad avvantaggiarsene sono soprattutto i nobili, ai quali i contadini, in cambio della libertà e per il riscatto delle terre, versano grandi somme di denaro. Questi capitali non verranno utilizzati per investimenti produttivi e, tanto meno, industriali.
Frattanto, la domanda proveniente dall’Europa sviluppata mette in moto scambi commerciali di tipo “coloniale”: le terre orientali esportano in Occidente derrate agricole a poco prezzo, avendone in cambio costosi manufatti. Lo sviluppo si risolve insomma in un fenomeno di dipendenza.
Il punto di partenza dell’industrializzazione dell’Europa orientale è una manifattura poco diffusa e poco produttiva, che aveva spesso utilizzato operai-servi.
Nuclei industriali emergono, nel corso del XIX secolo, anche in questi territori ma sono isole disperse in un contesto rurale ed arretrato: Boemia, Moravia, aree urbane di Praga, Vienna, Varsavia, Pietroburgo, Mosca.
Manca una società che sostenga lo sviluppo, con le sue competenze e i suoi capitali.
Le stesse città, che sono poche, hanno caratteri inadatti all’industrializzazione: San Pietroburgo e Berlino pullulano di impiegati e soldati, più che di borghesie capitalistiche e artigiani.
Anche i simboli dello sviluppo occidentale perdono, nell’Est europeo, il loro carattere innovativo. Le ferrovie, ad esempio, vengono costruite per motivi militari o di prestigio, più che per il mercato; quelle russe sono lente, insicure, non alla portata della tasca dei contadini.
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31. 1914
David Landes, Prometeo liberato. La rivoluzione industriale in Europa dal 1750 a oggi, Einaudi 1978
Sidney Pollard, La conquista pacifica. L'industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, il Mulino 1984