Al centro dell’interpretazione critico-filosofica del testo biblico sta l’essere sensibile e intelligibile, ragionevole e finito, sorpreso non in un’assoluta sicurezza e purezza metafisiche, ma nel suo faticoso divenire: nel suo, cioè, assumere le forme temporali, «schematizzate», proprie di una ragione tragicamente esposta ai rischi della «parvenza trascendentale» ed esistente, perciò, in una condizione di sproporzione tra la sempre necessaria impotenza, noumenicamente garantita, a superare il confine sicuro e certo del «territorio dell’intelletto puro» e le altrettanto insopprimibili necessità pratiche del «pensare» che sollecitano a porre la problematica, sempre contrastata esigenza di unità etico-razionale: «(…). Ma in qualche luogo ci deve pur essere una sorgente di conoscenze positive, che appartengano al dominio della ragion pura, e che, pur dando luogo — per equivoci — a errori, costituiscano lo scopo cui tende ogni impegno della ragione. A quale causa, altrimenti, si dovrebbe far risalire il desiderio infrenabile di porre saldamente il piede al di là dei limiti dell’esperienza?». Tale luogo è «l’uso pratico della ragione» (Kant, CRP, pp. 50, nota e sgg., 264, 301 e sgg., 601, 602).
Nel suo uso pratico la ragione è fondazione della legislazione universale, garantita dalla capacità di autoprogettazione razionale dell’individuo, impegnato, proprio nella sua riconosciuta disposizione alla personalità, ad agire razionalmente per ordinare il divenire delle proprie e delle altrui azioni, condizionate e finite, al criterio di un’universalità non estranea alle stesse azioni: «Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale» (Kant, Fondazione, p. 79). Eppure, l’elevazione dell’io al Noi, dell’uomo all’Umanità non risulta garantita fino in fondo dall’attività legislatrice dell’io. Quest’ultima, infatti, per le «timidità veramente tragiche» e le deliberate «perplessità» teoretiche di Kant – limitatosi a fare «l’inventario della finitezza essenziale del soggetto», l’«analisi delle (sue) capacità puramente mentali» – non può trovare il collegamento tra ragion pura e ragion pratica, tra gnoseologia ed etica, due contrastanti «orientamenti» (Capograssi, Analisi, p. 50 e Piovani, Linee, pp. 114, 116, 117, 118).
Il passaggio dalla teoria alla prassi, dalla Critica della ragion pura alla Critica della ragion pratica, può essere legittimato solo attraverso la mediazione che il finalismo offre in base a una considerazione interna e costitutiva dell’etica, visto che questa ultima, come ha lucidamente scritto Ernst Troeltsch, da un lato, in quanto etica dell’imperativo categorico, «sottrae l’etica al dominio del naturale, del relativo e dell’utile presentandola come dottrina della determinazione necessaria a priori della volontà soggettiva»; dall’altro, in quanto «etica dello scopo», esalta il «fine della formazione della personalità nel duplice senso della personalità sociale e di quella individuale» (Troeltsch, Problemi, pp. 140-158).
E. Troeltsch. Fonte:Wikimedia
Nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785), dove la problematica elaborazione delle formule dell’imperativo categorico può essere interpretata come «una specie di lotta per l’egemonia teoretica tra ragione e azione» (Piovani, Princìpi, p. 130), una significativa utilizzazione del testo biblico consente di sottolineare l’importanza dei contributi che il criticismo morale offre alla costruzione di una filosofia «critica» della storia, alla ridefinizione dei rapporti tra libertà noumenica e libertà etica, tra legislazione universale e fondazione dell’uomo come attiva, responsabile personalità.
Come testimoniano «i passi della Scrittura in cui si comanda di amare il prossimo, perfino il proprio nemico», l’azione dell’uomo, dell’essere ragionevole ma esposto anche alle tentazioni sensibili dell’amore «patologico» e non «pratico», per poter essere buona praticamente dev’essere compiuta per dovere, sottratta ad ogni inclinazione eteronoma (Kant, Fondazione, p. 55). Essa, così, è ricondotta ai veri «princìpi dell’azione» nella purezza universale e insondabile di un dover essere che rischia, però, di porre giuridicamente più che eticamente, il criterio della vita morale in una norma universale categorica, rigidamente costrittiva di tutto ciò che è individuale.
La «vittoria del razionalismo» e del «rigorismo puro» è solo «apparente», perché essa non disconosce il senso della storicità effettiva, il valore non meramente accessorio della sensibilità storica (Troeltsch, La storia, pp. 146-147). Nell’uomo che agisce nella storia per rispettare il valore della propria e dell’altrui personalità, i «princìpi» contenuti nell’uso pratico della sua ragione non determinano nessuna azione in senso assoluto, perché essi sono e restano quelli della «possibilità dell’esperienza, cioè di azioni che, in conformità a precetti morali, potrebbero aver luogo nella storia degli uomini». La ragione, che anche nel suo uso pratico «deve e può effettivamente avere un suo influsso nel mondo sensibile», non è l’esito di un’intuizione intellettuale, isolata ed esonerata dalle relazioni con le ragioni degli altri (Kant, CRP, pp. 608, 609). È una ragione essenzialmente umana, dinamicamente impegnata sul piano dell’azione a farsi razionale, senza obbedire a modelli ontologicamente precostituiti, senza sacrificare il contenuto dell’azione, il suo movente storico-sensibile.
L’annullamento della tensione storicizzante che fa della concreta azione umana il vero, autentico motore della vita morale deve restare, secondo Kant, un «ideale di perfezione che nessuna creatura è in grado di raggiungere». Un «ideale» che, dal punto di vista critico, serve solo da prototipo, per favorire un ininterrotto e inesauribile processo di storicizzazione dell’«intenzione morale». Questa, nell’essere finito in cui «la costituzione soggettiva del libero arbitrio non si accorda di per sé con la legge oggettiva della ragion pratica», è sempre e solo «un’intenzione morale in lotta, non la santità del presunto possesso di una perfetta purezza delle intenzioni della volontà» (Kant, CRPratica, pp. 160, 170, 222, 226, 227).
Come sul piano teoretico l’inattingibilità costitutiva del non fenomenico, dell’idealità dell’idea non mortifica l’effettiva storicità esistenziale, ma regge il processo di «umanizzazione» e di «storicizzazione» del conoscere, così nel mondo etico solo l’inconoscibilità della cosa in sé, solo il noumeno impedisce di celebrare la perfetta assolutizzazione dell’individuale, «costretto a rifugiarsi là dove non dovrebbe» (Piovani, Linee, p. 118). Perciò, nell’uomo, essere che «se vuole realizzarsi anziché distruggersi deve autoprogettarsi razionalmente», il primato della ragion pura pratica è il primato di una ragione «pur sempre finita, quindi problematica rispetto agli esiti dei suoi progetti». È il primato, cioè, di «una disposizione in lotta con altre, non l’unica signoreggiatrice della storia» (Chiodi, Introduzione, p. 25) che rischia di lasciarsi sfuggire «tra l’io formale, originato dall’universale ‘umanità in ogni uomo’, e la singola azione, l’intera personalità differenziata, determinata mediante le sue qualità» (Simmel, Kant, p. 167).
G. Simmel. Fonte: Wikimedia
1. Eugenio Garin e il problema dell'«unità» nella Storiografia filosofica
2. Garin, Paci e l'«antifilosofia»
3. Da Garin a Piovani: le Osservazioni preliminari a una Storia della filosofia
6. Ragione, natura umana e storia nella considerazione biblico-congetturale delle origini
7. Storia dell'uomo: ragione e libertà
8. Filosofia della storia e criticismo
9. Formalismo etico e storicità, finalismo e antropologia dal punto di vista pragmatico
10. Insocievole socievolezza e interpretazione teleologica della storia umana
11. I limiti e gli esiti della teleologia «critica» della storia
12. L'interpretazione del testo biblico tra filosofia della storia e filosofia della religione
13. I problemi di teodicea e l'interpretazione «analogica» della sacra Scrittura
14. Fede, lealtà e sincerità nell'interpretazione del libro di Giobbe
15. Storicità della testimonianza biblica e fede religiosa pura
G. Capograssi, Analisi dell'esperienza comune, Roma 1930.
P. Chiodi, Introduzione a I. Kant, Critica della ragion pura, Torino 1967.
I.Kant, Critica della ragion pratica (1788), tr. it. in Id., Scritti morali.
Id., Critica della ragion pura, tr. it. di G. Colli, Torino 1967 (nuova ed., Milano 1976).
Id., Fondazione della metafisica dei costumi (1785), tr. it. in Id., Scritti morali.
P. Piovani, Linee di una filosofia del diritto, Padova 1958 (una nuova edizione di quest'opera come dei Principi e di Oggettivazione [cfr. qui infra], è in corso di pubblicazione presso la casa editrice milanese “RCS libri”).
Id., Princìpi di una filosofia morale, Napoli 1972.
G. Simmel, Kant. Sedici lezioni (1903), tr. it. di G. Nirchio, Padova 1953 (poi, a cura di A. Marini e A. Vigorelli, Milano 1999).
E. Troeltsch, Problemi fondamentali dell'etica (1902), tr. it. in Id., Etica,
religione, filosofia della storia, a cura di G. Cantillo, Napoli 1974.
1. Eugenio Garin e il problema dell'«unità» nella Storiografia filosofica
2. Garin, Paci e l'«antifilosofia»
3. Da Garin a Piovani: le Osservazioni preliminari a una Storia della filosofia
6. Ragione, natura umana e storia nella considerazione biblico-congetturale delle origini
7. Storia dell'uomo: ragione e libertà
8. Filosofia della storia e criticismo
9. Formalismo etico e storicità, finalismo e antropologia dal punto di vista pragmatico
10. Insocievole socievolezza e interpretazione teleologica della storia umana
11. I limiti e gli esiti della teleologia «critica» della storia
12. L'interpretazione del testo biblico tra filosofia della storia e filosofia della religione
13. I problemi di teodicea e l'interpretazione «analogica» della sacra Scrittura
14. Fede, lealtà e sincerità nell'interpretazione del libro di Giobbe
15. Storicità della testimonianza biblica e fede religiosa pura
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