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Fabrizio Lomonaco » 11.I limiti e gli esiti della teleologia «critica» della storia


L’integrazione dell’osservazione causale con quella teleologica

La mediazione che il finalismo elabora per riferire il complesso dei dati dell’«esperienza» a un ordine che in essa non può «apparire», è destinata a rivelarsi esterna ai termini da mediare e a sancire, perciò, «l’abisso senza fondo tra il casuale e il necessario», tra l’individuo e la specie morale, tra la «conoscenza storica» (cognitio ex datiis) e la «conoscenza razionale» (cognitio ex principiis, Kant, Recensioni, p. 165 e Id., CRP, p. 625). A ben vedere, infatti, mantenuto criticamente distinto dal mondo noumenico, pensabile solo dal punto di vista etico-razionale, il mondo dell’«esperienza» sensibile, conoscibile solo teoreticamente attraverso la connessione meccanico-causale dei fenomeni, indica soltanto la necessità teoretica dell’integrazione dell’osservazione causale con quella teleologica.

La nozione di una causa intelligente del mondo e la «massima unità sistematica»

Occorre servirsi della nozione (soggettiva) di una causa intelligente del mondo («saggezza artistica»), per raggiungere la «massima unità sistematica dell’uso empirico della nostra ragione» e «assumere tutto ciò che può in qualche modo far parte della connessione dell’esperienza possibile, come se (…) l’insieme di tutti i fenomeni (il mondo sensibile stesso) avesse, fuori di sé, un unico fondamento, supremo e onnisufficiente, cioè una ragione, per così dire autosufficiente, originaria e creatrice, in rapporto alla quale noi disponiamo ogni uso empirico della nostra ragione nella sua massima estensione, come se gli oggetti provenissero da quel prototipo di ogni ragione» (Kant, CRP, pp. 525- 526).

La natura in generale come totalità teleologica, pensata in base al concetto di «fine ultimo»

L’«uso empirico» della ragione non fornisce alcun motivo per giustificare la finalizzazione di tutte le disposizioni naturali e del divenire in generale su cui è fondata la considerazione filosofico-teleologica della storia. Tale finalizzazione è, infatti, possibile solo sul presupposto che la natura in generale venga intesa come totalità teleologica: pensata, cioè, in base al concetto di fine ultimo. Questo non è un principio regolativo della valutazione di connessioni teleologiche entro la natura al fine della sua conoscenza teoretica, ma l’unico e ultimo criterio cercato fuori della natura, prescritto incondizionatamente per dare senso e valore all’uso pratico della ragione, al tipo di uomo e di mondo che essa tenta razionalmente di legittimare.

L’ideale del Sommo Bene a fondamento della determinazione del «fine ultimo» della ragion pura

Senza il riferimento «all’ideale del sommo bene, come fondamento della determinazione del fine ultimo della ragion pura», come garanzia della coincidenza dei fini richiesti dalla legge morale con la connessione teleologica di tutte le cose, il mondo per l’uomo risulterebbe teoreticamente conoscibile nelle sue parti, ma impensabile nella sua unità, incomprensibile in base ai princìpi della filosofia critica. Esposto inevitabilmente a insoddisfazioni e a tensioni profonde dai limiti della sua stessa ragione, l’uomo, per poter ritenere, dal punto di vista etico-razionale, sensata e libera la sua esistenza, deve aver fiducia in Dio, perché «in mancanza di un Dio e di un mondo, che non possiamo ora vedere ma in cui speriamo le idee splendenti della moralità sono, certo, oggetto di approvazione e di consenso, ma non sorgenti di decisioni e di azioni (…)» (Kant, CRP, pp. 606, 612).

«Fede morale» in Dio e certezza pratica

L’uomo ha bisogno di una certezza pratica che non nasce dall’opinare, dal sapere o dal credere teoretico, ma da una «fede morale» in Dio, i cui «attributi naturali» non servono per incrementare la conoscenza speculativa (die Erweiterung der theoretische Erkenntnis), ma per «assicurare a quelli morali un’efficacia maggiore». «Una pura fede della ragione è dunque la guida o la bussola che può servire al pensatore speculativo a orientarsi nelle sue escursioni razionali nel campo degli oggetti soprasensibili e all’uomo comune, ma [dotato] d’una ragione (moralmente) sana, e a tracciarsi una via teoricamente o praticamente in perfetta armonia col fine totale del suo destino. E questa fede della ragione è ciò che deve servire di base ad ogni altra fede come a ogni rivelazione» (Kant, CRP, pp. 616-623, Id., Lezioni di etica, pp. 92-93 e sgg. e Id., Che cosa significa orientarsi nel pensare, p. 62).

La finalità del divenire in generale e la giustificazione della natura-Provvidenza

Solo sul presupposto di una fiducia vale la tesi della finalità di tutte le disposizioni naturali e del divenire in generale da cui muove la filosofia kantiana della storia. Solo per tale fede morale si può comprendere come Kant possa definire il «filo conduttore» attraverso la storia una giustificazione della natura (o meglio della Provvidenza)» e adottare nel suo significato etico-razionale lo schema analogico del «come se» (als-ob), prospettato nel mondo dell’esperienza fenomenica soltanto per legittimare la conoscenza speculativa e garantire unità e senso teoretici all’indagine del Naturforscher: «Se poi ci limitiamo a considerare per ogni dove da un lato la costituzione civile con le sue leggi, dall’altro i rapporti tra gli Stati (…) si scoprirà, come io credo, un filo conduttore, che (…) può giovare (…) anche (e ciò non si può fondatamente sperare senza il presupposto di un disegno della natura) (…) ad aprire una visione confortante dell’avvenire, nella quale la specie umana apparirà in lontananza come se avesse finalmente raggiunto quella condizione di vita in cui tutti i germi posti in essa dalla natura potranno conseguire un perfetto sviluppo e la sua destinazione qui sulla terra sarà pienamente adempiuta» (Kant, Idea, pp. 137-138).

La «fede morale» e l’«ideale» nella sua noumenica inattingibilità regolativa

Anche dagli esiti della riflessione sul significato e sulla legittimità filosofico-teleologica della storia è possibile riconoscere la compatibilità profonda tra criticismo e storicità, tra coscienza trascendentale e coscienza umana, entrambe interessate e impegnate a salvaguardare il senso della razionalità dell’esistenza storica da ogni perfetta assolutizzazione che il criticismo kantiano non può celebrare, perché rispettoso, così in campo gnoseologico come in quello etico, dell’«individuo» concepito come valore supremo. Oggetto della «fede morale» dell’umana ragione non è un essere che produce necessariamente l’accordo tra felicità e virtù, tra condizionamento naturale e finalità morale, ma un «ideale» che, nella sua perenne, noumenica inattingibilità regolativa, «porta a conclusione e a coronamento l’intera conoscenza umana» (Kant, CRP, pp. 507, 603-604).

La fiducia in Dio contro ogni sentimentalismo fanatico e «sofisticheria» teoretico-speculativa

L’ideale garantisce solo la possibilità di pensare praticamente alla necessità dell’accordo tra mondo naturale e finalità morale, lasciando che a tale fine aspiri l’uomo stesso nell’agire secondo massime etico-razionali. Perciò la fiducia dell’uomo in Dio contrasta ogni forma di sentimentalismo fanatico e di «sofisticheria» teoretico-speculativa. Essa è l’adesione data direttamente dall’uso pratico della sua ragione a quegli «oggetti» e «problemi» che esaltano e insieme tutelano nel mondo il senso della sua libera, responsabile condotta: «Lo scopo finale a cui tende la speculazione della ragione nel suo uso trascendentale concerne tre oggetti: la libertà del volere, l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. In ordine a ognuno di essi, l’interesse speculativo della ragione è assai limitato (…). Ma questi sono a loro volta subordinati a un fine più remoto, e cioè a che cosa sia da fare se il volere è libero, se esiste un Dio e un mondo futuro. E siccome ciò concerne il nostro atteggiamento di fronte al fine supremo, lo scopo ultimo della natura, saggia e piena di cura nei nostri riguardi nell’atto di costituire la nostra ragione, era volto propriamente solo al mondo morale» (Kant, CRP, pp. 507, 603-604 e Id., Lezioni di etica, pp. 100 e sgg., 111-114).

I materiali di supporto della lezione

I.Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare (1786), tr. it. di M. Giorgiantonio, Lanciano 1930, poi anche in Id., Scritti sul criticismo, Roma-Bari 1991.

Id., Critica della ragion pura, tr. it. di G. Colli, Torino 1967 (nuova ed., Milano 1976).

Id., Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), tr. it. in Id., Scritti politici.

Id., Lezioni di etica (1924), tr. it di A. Guerra, Bari 1971.

Id., Recensioni di J.G. Herder, Idee per la filosofia della storia dell'umanità (1784-1785), tr. it. in Id., Scritti politici.

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