Il vero valore dell’esistenza umana non si identifica con il passivo godimento dei beni, con la ricerca dell’oziosa felicità. Si fonda, invece, sul senso autentico dell’azione, lontano da ogni pigrizia, da ogni «vano rimpianto» per una vita esente da cure e variata solo da «giochi infantili, in una fantasticante indolenza». Un rimedio ai dolori e alle pene prospettate dalla considerazione (teoretica) dei mali che travagliano il mondo va, perciò, cercato dentro e non fuori la storia dell’uomo per il quale è un dovere aver fiducia nella storia ed essere soddisfatto della Provvidenza. Questa, impedendogli di «attribuire le proprie colpe a una colpa originaria dei suoi progenitori», lo invita a «contribuire per la sua parte e secondo le sue forze» al lento, ma progressivo miglioramento del genere umano (Kant, Congetture, pp. 208, 210-211).
Un miglioramento è possibile rilevarlo solo interpretando il corso generale del mondo filosoficamente, non per smentire la «storia propriamente detta, concepita in maniera puramente empirica», ma per regolare e ordinare teleologicamente i dati dell’«esperienza» storico-fenomenica secondo il «filo conduttore a priori». Introdotto dal disegno della «natura (o meglio della Provvidenza)», esso contribuisce a scoprire se l’esperienza «riveli qualcosa di un siffatto andamento del disegno della natura (…), solo qualche piccolo dettaglio (…), anche i deboli indizi dell’avvicinamento [a questa età cosi felice] (…) per noi molto importanti» (Kant, Idea, pp. 134-135).
La scoperta del senso della storia, di tutti i suoi necessari, ineliminabili contrasti è, dunque, scoperta di un libero, cosciente, responsabile impegno dell’uomo, essere ragionevole e finito, interessato a orientarsi verso scopi futuri non assoluti o definitivi, ma assegnati come razionalmente possibili e praticamente efficaci. E tutto nella speranza «che, dopo qualche crisi rivoluzionaria di trasformazione, sorga finalmente quello che è il fine supremo della natura, cioè un generale ordinamento cosmopolitico, che sia la matrice, nella quale vengano a svilupparsi tutte le originarie disposizioni della specie umana» (Kant, Idea, pp. 136, 138).
La riflessione filosofica pone insieme alla questione del fine quella relativa all’identificazione globale, alla totalizzazione della storia. Tuttavia, se il fine postulato è solo praticamente sperato e non teoreticamente oggettivabile, cioè rappresentabile, il progetto di finalizzazione di tutte le disposizioni naturali e del divenire in generale, la cui «necessità» è colta nel «canone della ragion pura» dalla religione proprio nel segno della speranza, non totalizza la storia, non ne rappresenta la fine. A ben vedere, il problema dell’identificazione del fine del divenire storico con la sua stessa fine è un problema posto da Kant ma destinato a rimanere significativamente insoluto.
Il senso della «storia generale dal punto di vista cosmopolitico» (allgemeine Geschichte in weltbürgerlicher Absicht) resta qualcosa di non necessario, di possibile nell’ordine dei fatti e di ideale nell’ordine dei progetti: termine che ricorre nel significato critico di «una perfezione a cui l’uomo può sempre più avvicinarsi ma che non può mai raggiungere interamente» (Kant, Antropologia, p. 621). Sarà compito dell’idealismo postkantiano (a partire da Fichte) risolvere tale tensione e ricondurre la «differenza» dall’irraggiungibile «ideale» in seno all’«identità» perfetta nel regno dell’assoluto definitivamente instauratosi.
Nella «filosofia» kantiana della storia l’aporetica ma ineludibile compresenza di due incompatibili tendenze, l’una affermazione dell’«esigenza» della totalizzazione dal punto di vista etico-razionale, l’altra negazione della stessa dal punto di vista teoretico, resta il segno di un non risolvibile dualismo tra fenomeno e noumeno, tra intelligibile e sensibile, tra necessità e libertà. Dato il quale, però, l’«esigenza» di totalizzazione diviene l’orizzonte in cui risulta possibile l’identificazione dell’effettiva storicità di ogni realtà della e nella storia. Quest’ultima non implica alcun atto o stato «perfetto», perché ha la propria autenticità nell’essere perennemente aperta a ulteriori e mai definitivi progetti.
Come in campo gnoseologico l’inconoscibile cosa in sé (il noumeno) non può essere eliminata, perché serve a impedire ogni assolutizzazione e a garantire significato al conoscere fenomenico, così solo all’interno dell’orizzonte della totalità, dell’«esigenza» critica dell’identificazione del differire visibile, la storia ha senso. Solo così essa risulta comprensibile quale perenne divergere dall’«ideale». Irriducibile a forme di totalizzazione assoluta e perfetta, è storia inconclusa dell’essere finito e ragionevole, collocato nell’universo del divenire e, insieme, appartenente al mondo dei valori etico-razionali in base ai quali egli deve tendere a identificare il differire della storia, ad attribuirle criticamente senso nel pensiero.
Nel periodo immediatamente posteriore all’elaborazione dei saggi di filosofia della storia degli anni Ottanta, ad avvalorare la portata di tale elaborazione, sottesa all’interrogazione fondamentale sul destino finale del mondo, è ancora l’interpretazione del testo biblico. È un «imperituro filo conduttore (der Leitfaden) di vera saggezza, col quale non soltanto si accorda una ragione che compia la propria speculazione, ma dal quale la ragione riceve anche una nuova luce riguardo a ciò che, pur avendo misurato tutto il proprio campo, rimane ad essa ancor sempre oscuro e di cui ha pur bisogno di essere informata» (Kant, Lettera a Stilling, p. 62).
1. Eugenio Garin e il problema dell'«unità» nella Storiografia filosofica
2. Garin, Paci e l'«antifilosofia»
3. Da Garin a Piovani: le Osservazioni preliminari a una Storia della filosofia
6. Ragione, natura umana e storia nella considerazione biblico-congetturale delle origini
7. Storia dell'uomo: ragione e libertà
8. Filosofia della storia e criticismo
9. Formalismo etico e storicità, finalismo e antropologia dal punto di vista pragmatico
10. Insocievole socievolezza e interpretazione teleologica della storia umana
11. I limiti e gli esiti della teleologia «critica» della storia
12. L'interpretazione del testo biblico tra filosofia della storia e filosofia della religione
13. I problemi di teodicea e l'interpretazione «analogica» della sacra Scrittura
14. Fede, lealtà e sincerità nell'interpretazione del libro di Giobbe
15. Storicità della testimonianza biblica e fede religiosa pura
I.Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), tr. it., in Id., Scritti morali.
Id., Congetture sull'origine della storia (1786), tr. it. in Id., Scritti politici.
Id., Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), tr. it. in Id., Scritti politici.
Lettera del 1° marzo 1789 di I. Kant a H.J. Stilling, poi in Kant's Handschriftlicher Nachlass. Vorarbeiten una Nachträge, in KGS, vol. XXIII, tr. it. di V. D'Agostino e G. Piccoli in E. Kant, Lettere, a cura e con introduzione di A. Pastore, Torino 1925, poi anche in I. Kant, Epistolario filosofico. 1761-1800, a cura di O. Meo, Genova il melangolo, 1990.
1. Eugenio Garin e il problema dell'«unità» nella Storiografia filosofica
2. Garin, Paci e l'«antifilosofia»
3. Da Garin a Piovani: le Osservazioni preliminari a una Storia della filosofia
6. Ragione, natura umana e storia nella considerazione biblico-congetturale delle origini
7. Storia dell'uomo: ragione e libertà
8. Filosofia della storia e criticismo
9. Formalismo etico e storicità, finalismo e antropologia dal punto di vista pragmatico
10. Insocievole socievolezza e interpretazione teleologica della storia umana
11. I limiti e gli esiti della teleologia «critica» della storia
12. L'interpretazione del testo biblico tra filosofia della storia e filosofia della religione
13. I problemi di teodicea e l'interpretazione «analogica» della sacra Scrittura
14. Fede, lealtà e sincerità nell'interpretazione del libro di Giobbe
15. Storicità della testimonianza biblica e fede religiosa pura
I podcast del corso sono disponibili anche tramite Feed RSS.