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Fabrizio Lomonaco » 5.Origine e destinazione del genere umano tra ragione, linguaggio e religione da Hamann a Herder: la testimonianza della Bibbia


Eterogeneità tra  le categorie e il molteplice dell’intuizione sensibile

Sul piano teoretico non irrilevanti riserve investivano direttamente le soluzioni proposte dal filosofo di Königsberg per risolvere il problema dell’eterogeneità tra il molteplice dell’intuizione sensibile e le categorie, tra il «linguaggio» delle immagini e quello dell’intelletto nella «sintesi [...] semplice effetto della capacità di immaginazione, di una cieca, ma indispensabile funzione dell’anima, senza la quale non avremmo assolutamente mai una conoscenza, ma della quale siamo coscienti solo di rado [...]; capacità di immaginazione che appartiene alla sensibilità [...] (ma che soprattutto) è un atto di spontaneità [...] una facoltà di determinare a priori la sensibilità [...], un effetto che l’intelletto produce sulla sensibilità, ed è la prima applicazione (al tempo stesso il fondamento di tutte le altre) dell’intelletto agli oggetti dell’intuizione a noi possibile» (Kant, CRP, pp. 131, 185-186).

Lo  «schematismo trascendentale»

L’applicazione delle «categorie» alle «apparenze» avviene, così, per «un’arte nascosta nelle profondità dell’anima umana». Essa è possibile solo se si presuppone uno «schematismo trascendentale», la cui omogeneità al mondo intellettuale e a quello sensibile è garantita dalla «determinazione trascendentale di tempo». Lo «schema» è il presupposto più adeguato del linguaggio, la sua condizione non psicologica (così come era stato per la filosofia inglese del linguaggio del secolo XVII) ma «trascendentale», affidata, cioè, all’«immaginazione pura», distinta da quella riproduttivo-associativa. Lo schema è «un prodotto della capacità di immaginazione [...], un monogramma della capacità pura a priori di immaginazione», mediante cui risulta possibile l’«immagine» che è, invece, un «prodotto della facoltà empirica della capacità produttiva di immaginazione» (Kant, CRP, pp. 203-204).

Kant

Kant


La Metacritica sui purismi della ragione di Hamann

Contro l’impostazione kantiana del nesso sensibilità-intelletto, che rischiava di isolare ragione e linguaggio in un ambiguo formalismo astratto, si erano mosse le osservazioni di Johann Georg Hamann che, nella Metacritica sui purismi della ragione (1784) sviluppava la giovanile critica alla «sanità della ragione» (gesunde Vernunft), a una ratio, cioè, astratta ed estranea alla storicità degli eventi che, invece, si comprendono solo se sottratti a tentativi di conoscenza a priori. La realtà storica, al pari della natura, deve essere considerata come «un libro sigillato, una testimonianza velata, un enigma che non si può risolvere senza arare con un vitello diverso dalla nostra ragione» (Hamann, Memorabili Socratici, pp. 23, 26). Sotto accusa è l’esasperato «purismo» della ragione kantiana che, distinguendo tra sensibilità e intelletto, spontaneità e recettività, investe direttamente il linguaggio, organo e criterio della ragione: «Recettività del linguaggio e spontaneità dei concetti! Da questa doppia fonte dell’equivoco la ragion pura attinge tutti gli elementi del suo censurare e sottilizzare e delle sue soperchierie; produce, con una analisi e una sintesi egualmente arbitrarie, fatte con lievito tre volte stantio, nuovi fenomeni e meteore del mutevole orizzonte» (Hamann, Metacritica sui purismi della ragione, pp. 297-298).

Il potere estetico e logico delle parole

Di contro a una «forzata, impropria, ostinata separazione di ciò che la natura ha messo insieme», è, invece, opportuno esaltare il potere estetico e logico delle parole, il cui significato nasce «dalla connessione di un segno verbale, arbitrario bensì e indifferente a priori, ma a posteriori necessario e immancabile, con l’intuizione dell’oggetto stesso; e per questo ripetuto legame, lo stesso concetto viene, per mezzo così del segno verbale come dell’intuizione, comunicato, impresso e incorporato all’intelletto». Sottolineare tale profonda connessione tra parola e concetto significa, quindi, riconoscere nella sensibilità e nell’intelletto un’unica comune radice; significa riconoscere l’«azione» di un Demostene, la sua energica «eloquenza», necessaria per aprire «gli occhi al lettore da fargli forse vedere eserciti di intuizioni salire nella rocca del puro intelletto, ed eserciti di concetti discendere nel profondo abisso della più tastabile sensibilità» (Hamann, Metacritica sui purismi della ragione, pp. 301-303).

Hamann. Fonte: Helligenlex

Hamann. Fonte: Helligenlex


La  Metacritica  per la Critica della ragion pura di Herder

Come Hamann, anche Herder in Una metacritica per la Critica della ragion pura (1799) muoveva a Kant l’accusa di aver mantenuto separati intelletto ed esperienza (Verstand und Erfahrung), ragione e linguaggio (Vernunft und Sprache): «Nell’uso comune il termine a priori si dà soltanto in riferimento a ciò che segue, solo in relazione ad esso si dice a priori, giacché dal vuoto nulla si conclude [...]. Rendersi indipendenti da se stessi, ossia porsi al di fuori di ogni originaria esperienza interna od esterna, e pensarsi, al di là di se stessi, liberi da tutto ciò che è empirico, questo nessuno può farlo. Si tratterebbe di un prius che viene prima d’ogni a priori, e la ragione umana sarebbe finita prima ancora di cominciare» (Herder, Una Metacritica per la Critica della ragion pura, p. 11).

Le accuse rivolte all’astratto «innatismo» kantiano

Nell’orizzonte della riflessione filosofica sulla storia umana l’accusa rivolta all’astratto «innatismo» kantiano, nel libro IV della parte I delle Idee (1784), conosceva un approfondimento nel libro IX della parte II (1785). Qui al «purismo» della ragione e a ogni forma astratta di razionalità si contrapponeva lo strettissimo nesso tra religione, «la tradizione più antica e più sacra della terra» e linguaggio, «il meraviglioso mezzo per la formazione dell’uomo [...], il carattere distintivo della nostra ragione, mediante il quale soltanto essa assume figura e si propaga [...]. La tradizione religiosa e il sentimento intimo dell’esistenza, che non vuole saperne dell’annientamento, precedono dunque lo sviluppo della ragione, che altrimenti ben difficilmente sarebbe giunta al concetto di immortalità oppure lo avrebbe astratto in modo del tutto inefficace» (Herder, Idee, pp. 112 e sgg., 219 sgg., 224, 245, 246).

Herder. Fonte: Wikimedia Commons

Herder. Fonte: Wikimedia Commons


Herder e la critica della ragione kantiana

Per Herder la ragione esercita una funzione concreta e reale solo se riflette l’unità e la pluralità delle facoltà dell’anima umana, risultando, così, «una raccolta di osservazioni e di esercizi della nostra anima, una somma dell’educazione del nostro genere». La critica alla «ragione kantiana» si rivolge, allora, a un modello di razionalità incapace di riconoscere il carattere specifico della «storia dell’umanità (Humanität)» che è «una catena (Kette) della socievolezza e della tradizione formativa». La «ragione pura», infatti, separata dalla concreta esperienza vissuta, identifica astrattamente l’evoluzione del mondo con il solo, graduale «perfezionamento» della specie, considerando, così, in modo ancor più astratto, il significato complessivo della realtà storica indifferente al destino degli individui, i veri artefici, invece, della formazione di tale significato: «I filosofi hanno innalzato la ragione umana a una potenza pura, originaria, indipendente dai sensi e dagli organi [...]. Se l’uomo ricevesse tutto da sé e tutto sviluppasse indipendentemente da oggetti esterni, allora sarebbe possibile una storia dell’uomo, ma non degli uomini, non dell’intero genere umano [...]» (Herder, Idee, p. 212).

Il problema dell’educazione del singolo e del genere umano

«Certo se qualcuno dicesse che non viene educato l’uomo singolo, ma il genere umano, userebbe un linguaggio per me incomprensibile, perché genere e specie sono soltanto concetti generali, salvo in quanto esistono in esseri singoli [...]»(Herder, Idee, p. 213-214).
A tali riserve Kant rispondeva direttamente nella seconda recensione alle Idee, sempre con molto garbo, riconoscendo i meriti dell’Autore per aver saputo fornire, soprattutto nei libri VI e VII, «argomenti magistralmente ordinati e accompagnati sempre da originali, profondi giudizi». Tuttavia, in polemica con il vecchio discepolo, interessato a esaltare il ruolo della Provvidenza (che ai «fini artificiosi delle grandi società» preferì «la più facile felicità degli individui e risparmiò per quanto poté per secoli le costose macchine statali»), il filosofo di Königsberg ribadiva che essenziali finalità dell’uomo sono soltanto l’«attività e la civiltà sempre crescenti e progredienti [...] il cui più alto grado può essere soltanto il prodotto di una costituzione dello Stato ordinata secondo il concetto dei diritti dell’uomo» (Kant, Recensioni, pp, 168, 173 e sgg.).

L’Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità di Herder

Non è la «felicità» raggiunta nel chiuso recinto di una società ideale ciò che interessa, ma una «destinazione» perseguita con arte forzata, sotto la ferula di un padrone, raggiungibile non dai singoli ma dalla specie umana. Proprio lontano da tale lettura, dalla sottostante idea (illuministica) di progresso rettilineo che non conosce né crisi né decadenze (e che si delinea, perciò, ottimisticamente secondo uno schema astratto, fagocitante il passato a esclusivo vantaggio del presente, quest’ultimo assunto a modello atemporale di giudizio storico), Herder (nell’Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità del 1774) teneva, invece, a riconoscere il significato e il valore di ogni momento dello sviluppo storico. Questo si coglie autenticamente solo attraverso la successione delle diverse «scene» della storia dell’umanità secondo un nuovo principio di «evoluzione» storica; un principio adeguato a comprendere le individualità in una totalità non «totalistica» che nelle sue stesse parti si riconosca e si sviluppi come storica (Herder, Ancora una filosofia della storia, pp. 42, 59, 123-124).

Gli  Antichissimi documenti della specie umana

Dalle tesi herderiane del 1744 nasceva la denuncia degli schemi interpretativi insufficienti alla comprensione storica e la fusione (notata dal Meinecke nel gran libro su Le origini dello storicismo del 1936) dei valori estetico-religiosi, riassunti in un originale concetto di «rivelazione», con una concezione sentimentale-teologica della natura. Una fusione che sostituiva l’antico «meccanicismo» con un moderno «vitalismo», radice del nuovo concetto biologico-vegetativo dell’evoluzione storica. L’interesse herderiano per lo studio dei caratteri dello spettacolo meraviglioso della creazione che si rinnova quotidianamente davanti agli occhi dell’uomo e soprattutto nel suo linguaggio come «rivelazione» di un processo di perenne autocreazione divina, matura negli Antichissimi documenti della specie umana (1774-1776), elaborazione dei precedenti studi compiuti per una Archeologia dell’Oriente (1769).

Herder e il linguaggio biblico del Genesi

Riflettere sui primi capitoli del Genesi significa interpretarli come «documento più antico del genere umano», un’opera storica e originariamente poetica. Il carattere figurato del mondo primitivo non si esaurisce in una semplice rappresentazione fantastica di immagini; si comprende storicamente, perché le stesse immagini di quel mondo sono eventi concreti, fatti «cose». Rivelatosi nel linguaggio biblico del Genesi, autentico documento della storia originaria del genere umano, il messaggio divino, riflettendo l’ordine armonico della creazione nell’unità e pluralità delle sue manifestazioni, diventa un punto di riferimento teorico-storico decisivo per uno studio teso a recuperare l’unità sacra e genetica del linguaggio umano, della realtà storica più in generale, troppo spesso sacrificata in astratte, intellettualistiche formule. Significativa eco di tale denuncia contenevano le Annotazioni al Nuovo Testamento del 1775: « La ragione universale e più potente può essere solo il risultato di tutte le esperienze del genere umano, ed io dubito che essa abbia mai potuto aver luogo sinora [...]. Anche la ragione, anch’essa è formata solo attraverso il succedersi dei tempi [...]. È un gioco opporre la ragione alla rivelazione e trattare la prima come qualcosa di autonomo di contro alla seconda (…)» (Herder, Annotazioni al Nuovo Testamento, pp. 368-369).

Meinecke

Meinecke


Provvidenza ed evoluzione storica, senso della storia e significato dell’universale

Religione e linguaggio, Provvidenza ed evoluzione storica, senso della storia e significato dell’universale si presentano come termini di una tensione autentica del divenire. Essi rappresentano le fonti necessarie per giungere a una nuova «educazione del genere umano», al riconoscimento di una diversa idea di «ragione» che si sviluppi non come generica unificazione di casi singoli, ma quale significato della realtà dinamica delle diverse individualità, concretamente rinnovantesi nella varietà delle storiche situazioni. E in queste affermazioni si consolidava l’adesione herderiana alle tesi di Hamann, anch’egli intollerante agli «abusi» della ragione, soprattutto quando essa pretende addirittura di «rivelare», sostituendosi, così, alla Natura e alla parola divina: «Entrambe le rivelazioni [nella Natura e nella parola] si spiegano e si sostengono vicendevolmente e non possono contraddirsi, per quanto anche lo facciano le interpretazioni fornite in proposito dalla nostra ragione. Piuttosto la contraddizione e l’abuso più grande della ragione si ha se vuole essa stessa rivelare [...]. La scienza della natura e la storia sono le due parti sulle quali riposa la vera religione» (Hamann, Meditazioni bibliche, pp. 47-54).

Sul «linguaggio» della religione in Hamann e Herder

La discussione sul «linguaggio» della religione, sulla costitutiva dimensione «rivelata» del linguaggio umano ispira la critica al razionalismo moderno che concepisce astrattamente il nesso tra linguaggio, natura e storia; nesso, invece, recuperato in una diversa ermeneutica, tesa a sottolineare la dimensione «umana», storica del linguaggio biblico e a esaltare, di contro a quanti ne mortificano il significato, un’originaria sapienza, una serie di conoscenze adeguate alla mentalità dell’epoca primitiva: «Dio ha voluto manifestarsi ad uomini; si è rivelato per mezzo di uomini [...]. Inoltre Dio si è adattato il più possibile e si è abbassato alle inclinazioni e alle idee degli uomini, anzi addirittura ai loro pregiudizi e alle loro debolezze [...]. E un racconto, che doveva essere proporzionato alla mentalità del tempo e in un certo modo collegato con i concetti del tempo mediante i quali egli scriveva, può dare poca soddisfazione a teste che esigono una spiegazione, che antepongono alla verità di un fatto la sua comprensibilità» (Hamann, Meditazioni bibliche, pp. 47-54).

I materiali di supporto della lezione

J. G. Hamann, Meditazioni bibliche (1758), tr. it. in Id., Scritti cristiani, a cura di A. Pupi, Bologna 1975-1977, vol. I (d'ora in poi si cita con Scritti cristiani).

Id., Memorabili Socratici (1759), tr. it. in Id., Scritti cristiani.

Id., Metacritica sui purismi della ragione (1784), tr. it. in B. Croce, La Metacritica dello Hamann contro la critica kantiana (1905), poi in Id., Saggio sullo Hegel, IV ed., Bari 1948.

J. G. Herder, Ancora una filosofia della storia per l'educazione del genere umano (1774), tr. it. di F. Venturi, Torino 1951.

Id., Annotazioni al Nuovo Testamento (1775), tr. it. in F. Lomonaco, La polemica Kant-Herder sull'origine e il destino della storia umana, in «Prospettive Settanta», (1991) pp. 84-85.

Id., Idee per la filosofia della storia dell'umanità (1784-1791), tr. it. di V. Verra, Bologna 1971.

Id., Una metacritica per la Critica della ragion pura (1799), tr. it. di passi scelti, a cura di I. Tani, Roma 1993.

I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. di G. Colli, Torino 1967 (nuova ed., Milano 1976).

Id., Recensioni di J.G. Herder, Idee per la filosofia della storia dell'umanità (1784-1785), tr. it. in I. Kant, Scritti politici.

F. Meinecke, Le origini dello storicismo (1936), tr. it. di M. Biscione, C. Gundolf, G. Zamboni, Firenze 1967.

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