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Roberto Delle Donne » 4.Il tardo impero romano e il cristianesimo


Il crollo dell’impero: nascita di un’idea

Solo dal XVIII secolo si comincia a parlare del tardo impero come del periodo di declino del mondo antico:

Edward Gibbon (1776), nella Prefazione alla Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, riconosce nei secoli compresi tra il II e il V un periodo di “straordinario rivolgimento che assoggettò Roma al dominio di un comandante goto”.

In anni più recenti, Frank William Walbank ha definito il periodo di dissoluzione dell’impero romano come una “tremenda rivoluzione” (The Awful Revolution, Liverpool 1946 e 1969), caratterizzata dalla parabola discendente di una grande civiltà.

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Approfondimenti:

E. Gibbon (1737-1794), The History Of The Decline And Fall Of The Roman Empire (1776-1788)

Arnaldo Momigliano, F.W. Walbank, in “The Journal of Roman Studies“, Vol. 74. (1984), pp. non numerate:

  • accessibile, in ateneo, in Jstor

Il crollo dell’impero: fortuna di un’idea

Il crollo dell’impero di Roma, che per alcuni secoli aveva rimescolato civiltà e popoli, dal Reno all’Eufrate, dal Danubio alle Sirti, ha rappresentato fino ai decenni successivi alla seconda guerra mondiale l’ “archetipo di ogni decadenza” (Momigliano), in cui la cultura occidentale si è specchiata per trovare conferma di nuove grandezze, per esaltare o condannare “razze” e popoli contrapposti, per esorcizzare le paure del presente.

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Cartografia:

Touring club italiano, Atlante storico del mondo, Milano 1997, pp. 28-29: Basso impero e cristianesimo

Approfondimenti:

Arnaldo Momigliano, La caduta senza rumore di un impero nel 476 d.C. (1973), in Idem, Sesto Contributo alla Storia degli Studi Classici, I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1980, pp. 159-65

Basso impero e cristianesimo (versione PDF in “Materiali di supporto”)

Basso impero e cristianesimo (versione PDF in "Materiali di supporto")


Il crollo dell’impero: il 476

Anche la data del 476 come anno convenzionale della morte di Roma, in seguito alla deposizione di Romolo Augustolo imposta da Odoacre, ha un valore ideologico.

Tralasciando alcuni sporadici precedenti, come quello di Bernardo Giustinian (Venetorum Historiae, 1492), tale data si è imposta nella manualistica con la storiografia tedesca dell’Ottocento.

L’enfasi storiografica sulla portata ideale del 476 incominciò di fatto solo con Ferdinand Gregorovius, che nella Storia della città di Roma nel medio evo (1857) canonizzò la coincidenza fra l’abdicazione dell’Augustolo e l’estinzione dell’impero. Tale crisi avrebbe consentito l’affermarsi nella storia dei princìpi di libertà propri del germanesimo.

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Approfondimenti:

Salvatore D’Elia, Il basso impero nella cultura moderna dal Quattrocento ad oggi. Napoli 1967

Alexander Demandt, Der Fall Roms. Die Aulösung des römischen Reiches im Urteil der Nachwelt, München 1984

Il crollo dell’impero: il 476 e Bisanzio

Il 476 fu comunque una cesura di carattere istituzionale, giacché in Occidente non vi furono più imperatori romani; fu inoltre relativa alla sola Parte Occidentale dell’impero.

Proiettare tale discontinuità sull’intero mondo romano significherebbe introdurre nella considerazione della storia una prospettiva eurocentrica, intesa a fare dell’Occidente il metro di ogni esperienza storica.

A Bisanzio, gli imperatori “romani” ignorarono infatti la crisi dell’Occidente e continuarono a esaltare la grandezza imperitura dell’impero, divenuto cristiano, per quasi altri mille anni, fino a quando Costantinopoli non venne conquistata dalle forze di Maometto II nel 1453.

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Approfondimenti:

Eurocentrismo, in Dizionario di storiografia, Milano, Paravia-Bruno Mondadori 1996.

Lellia Cracco Ruggini, Come Bisanzio vide la fine dell’impero d’Occidente, in La fine dell’impero romano d’Occidente, Roma 1978.

Il crollo dell’impero: la consapevolezza dei contemporanei

Anche in Occidente, la consapevolezza dell’avvenuto mutamento istituzionale si diffuse oltre un cinquantennio dopo gli avvenimenti del 476, ai tempi della riconquista giustinianea dell’Italia.

Negli ultimi decenni del V secolo gli uomini erano invece abituati alle prolungate vacanze del trono imperiale.

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Approfondimenti:

Sante Mazzarino, La fine del mondo antico. Le cause della caduta dell’impero romano, Milano 1959

Il mito della decadenza di Roma

La decadenza di Roma era nondimeno stata un mito e, a tratti, un’ossessione di remote origini, cresciuta insieme alla stessa grandezza di Roma e già presente in Polibio e in Sallustio, in Cicerone, in Livio e in Lucrezio.

Col diffondersi del cristianesimo e con l’età di Costantino le interpretazioni religiose della storia e della crisi vennero a polarizzarsi in contrapposte visioni provvidenzialistiche, cristiane o pagane che fossero.

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Approfondimenti:

L’Apocalisse di Giovanni (Ap. 14,8; 17-18) fu intesa da molti esegeti, dal II secolo in poi, quale preannuncio della morte di Roma.

François Paschoud, La doctrine chrétienne et l’idéologie impériale romaine, in L’Apocalypse de Jean. Traditions exégétiques et iconographiques, Genève 1979, pp. 31-72.

Il sacco di Roma del 410

Aveva, ad esempio, suscitato enorme emozione il sacco di Roma condotto nel 410 dai Visigoti di Alarico – come testimonia una celebre lettera di Gerolamo a Principia.

I pagani attribuirono l’immane evento all’indifferenza del Dio ingiusto e impotente dei cristiani, inferiore alle antiche divinità, inducendo Agostino di Ippona a controbattere “alle loro calunnie” con l’imponente teologia della storia della Città di Dio.

Su invito di Agostino, Paolo Orosio compose un compendio della storia universale, dalla creazione all’età contemporanea (Historia adversus paganos libri septem), per mostrare che le sventure del presente non erano da attribuire all’abbandono del paganesimo per il cristianesimo, giacché tutta la storia passata, sia di Roma sia di altre genti, appariva costellata di distruzioni, massacri, delitti, pestilenze, terremoti, incendi e smisurate tragedie.

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Approfondimenti:

Gerolamo, Lettere, 6, 127, in Antologia delle fonti altomedievali, a cura di Stefano Gasparri e Fiorella Simoni (Reti medievali. Didattica 2000)

Aurelius Augustinus, De Civitate Dei, 1, 1, in Corpus Christianorum. Series Latina XLVII/XIV, 1 et 2, ed. B. Dombart/A. Kalb, Turnhout 1955, (Biblioteca Augustana)

Idem, Retractationes 2, 69

Paolo Orosio, Le Storie contro i pagani, FV, VII, 39-40, in Antologia delle fonti altomedievali cit.

La crisi dell’impero e dei suoi valori

Oggi, molti storici interpretano la caduta dell’impero d’Occidente come l’esito di un lungo processo, già avviato con la grande crisi militare, finanziario-monetaria, produttiva e sociale del III secolo.

Tale crisi avrebbe investito anche le idealità e i valori su cui si era basata la grande costruzione sovranazionale dell’impero, spezzando il nesso tra politica e religione pagana.

La religione venne così a sganciarsi dai riti, per divenire sempre più un fenomeno individuale ed emotivo.

Si affermarono quindi, anche in Occidente, soprattutto negli eserciti, culti orientali: Gran Madre, Mitra, dio Sole, Iside e Osiride.

Lo stesso culto imperiale dovette trovare nuove basi per continuare a svolgere la sua funzione di legittimazione del potere.

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Approfondimenti:

Elio Lo Cascio, La crisi dell’organismo imperiale, in E. Gabba, D. Foraboschi, D. Mantovani, E. Lo Cascio, L. Troiani, Introduzione alla storia di Roma, Milano, LED, 1999, pp. 393-418

La diffusione del cristianesimo

In questo clima culturale, anche il cristianesimo si diffuse nei territori dell’impero e nel suo mondo eminentemente urbano.

La cultura delle élites cittadine, con i suoi ideali di equilibrio intellettuale e morale, costituì un terreno fertile in cui si radicò la nuova religione.

Tale cultura, fortemente partecipe delle varie correnti spirituali e filosofiche greco-ellenistiche, contribuì alla sistemazione dottrinale del cristianesimo.

L’estrazione sociale dei vescovi da quelle stesse famiglie aristocratiche da cui provenivano anche gli amministratori delle curie cittadine, se non le élites di governo dell’impero, favorì il consolidamento dell’assetto organizzativo della chiesa, che venne di fatto ad aderire ai quadri amministrativi dell’impero.

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Approfondimenti:

Giovanni Tabacco, Profilo di storia del medioevo latino-germanico, Torino 1996, Cap. II. Le premesse antiche della potenza ecclesiastica medievale (distribuito in Reti medievali)

Guido Clemente, Cristianesimo e classi dirigenti prima e dopo Costantino, in La parte migliore del genere umano. Aristocrazie, potere e ideologia nell’occidente tardoantico, a cura di S. Roda, Torino 1996 (distribuito in Reti medievali)

Attese escatologiche e tendenze istituzionali

Con la progressiva istituzionalizzazione del Cristianesimo, segnata dalle due celebri date del 313 (Editto di Milano di Costantino) e del 380 (editto Cunctos populos di Teodosio), viene limitato lo spazio delle tendenze rigoriste ed escatologiche, protese verso il ritorno di Cristo e la fine dei tempi, soprattutto sulla base dell’Apocalisse di Giovanni.

Tali tendenze non spariscono mai del tutto, giacché attraversano tutto il pensiero religioso del medioevo; diventano però minoritarie, perlopiù ridotte a “coscienza critica” dell’ordinamento ecclesiastico.

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Approfondimenti:

L’Editto di Milano ci è giunto nei rescritti emanati da Licinio, incorporati nelle opere di Lattanzio ed Eusebio di Cesarea:

Eusebio, Ekklesiastiké Historía, libro X, in Antologia delle fonti altomedievali, a cura di Stefano Gasparri e Fiorella Simoni (Reti medievali. Didattica 2000)

Editto Cunctos populos in Codice Teodosiano, XVI, 1, 2 (27 febbraio 380), in Antologia cit.

Sedi episcopali e dottrina cristiana

L’istituzionalizzazione del cristianesimo non comportò però né la costruzione di una struttura associativa organicamente e gerarchicamente ordinata, giacché solo nel corso del IV secolo cominciò ad affermarsi la preminenza di alcune sedi metropolitiche (Milano, Aquileia, Ravenna, Roma, Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria), né l’immediato superamento di un sostanziale pluralismo dottrinario.

Anzi, le controversie teologiche proliferarono in seguito alla diffusione del cristianesimo nel bacino del Mediterraneo.

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Approfondimenti:

Cristina La Rocca, Cristianesimi, in Storia medievale, Roma, Donzelli editore, 1998, pp. 113-139.

Le dispute cristologiche

Il successivo problema che divise e assillò per secoli gli intellettuali cristiani e i semplici fedeli fu quello della natura della persona del Messia, del rapporto tra divinità e umanità in Cristo.

Si contrapposero la scuola di Antiochia, attenta all’umanità di Cristo, e quella di Alessandria, protesa a salvaguardare la fede nella divinità di Cristo.

Il Concilio di Efeso (431) condannò le tesi antiochene, ma la disputa non si esaurì e con lo Henótikon (482) emanato dall’imperatore Zenone si giunse a uno scisma trentennale tra Costantinopoli e Roma.

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Approfondimenti:

Il vescovo alessandrino Cirillo comunica in una lettera la condanna delle tesi antiochene a Efeso, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica).

Sui disordini seguiti allo scisma ci informa lo storico Evagrio: Storia ecclesiastica, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica).

Le controversie trinitarie

Tra i primi problemi dottrinari che impegnarono i cristiani vi fu il rapporto tra Dio Padre e il Figlio; in altri termini, la possibilità di conciliare la fede in Cristo con l’unicità di Dio.

In età costantiniana il prete Ario di Alessandria sostenne che Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del padre ed era a lui subordinato. Anche se tale eresia venne condannata dal Concilio di Nicea (325), essa di diffuse tra i germani in seguito alla predicazione di Ulfila.

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Approfondimenti:

Sulla bibbia di Ulfila si veda la voce Bibbia gotica, in Wikipedia

Sul Concilio di Nicea si legga la lettera sinodale riportata nella Ekklesiastiké Historía di Socrate, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica)

Codex Argenteus, Uppsala

Codex Argenteus, Uppsala


Il monachesimo

La diffusione del cristianesimo nelle aree meno urbanizzate d’Europa e nelle campagne fu particolarmente lenta e venne realizzata soprattutto da monaci.

Il monachesimo nacque in Oriente, e da qui la sua fama si diffuse in Occidente anche grazie alle opere di Atanasio e Gerolamo.

Nel IV secolo ebbe poi un forte impulso in Gallia, per merito di Martino di Tours, e in Africa settentrionale, ad opera di Agostino di Ippona.

Va poi menzionato il monachesimo irlandese, che con Brandano e Colombano (fondatore di numerosi monasteri in patria e fuori di essa) si ispirò a una regola fortemente impregnata di ascetismo e di accentuato slancio missionario.

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Approfondimenti:

Su Martino di Tours si veda la testimonianza di Sulpicio Severo, Vita di Martino, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica).

Il monachesimo benedettino

L’esperienza monastica destinata a divenire modello dominante fu quella benedettina, che esprimeva forme moderate di vita cenobitica, un equilibrato rapporto tra vita attiva e vita contemplativa e non metteva in discussione il ruolo dei vescovi nell’amministrazione del territorio.

Nel corso del Novecento alcuni studi hanno riesaminato il problema dei rapporti tra la regola benedettina e le precedenti regole, tra cui le Regole di Basilio e soprattutto la cosiddetta Regola del Maestro.

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Approfondimenti:

Benedetto da Norcia, Regola, FV, 48, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica).

Salvatore Pricoco, Introduzione, in La Regola di San Benedetto e le regole dei Padri, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori, 1995.

Cristianizzazione e tradizione pagana

Il rapporto tra cristianizzazione e tradizione pagana non va però letto in una prospettiva evoluzionista e trionfalistica, volta a ritrovare le tracce del successo progressivo e inarrestabile del cristianesimo sul paganesimo.

E ciò non solo perché vaste aree d’Europa e le gentes che vi vivevano non vennero raggiunte dal cristianesimo, ma anche perché, persino nel cuore dell’impero ormai cristianizzato, i potentes, pagani o cristiani che fossero, coltivavano e condividevano una cultura fortemente nutrita di espressioni simboliche che poco o nulla dovevano al cristianesimo.

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Approfondimenti:

Peter Brown, La formazione dell’Europa cristiana. Universalismo e diversità, Roma-Bari, Laterza, 1995

Peter Brown, Il sacro e l’autorità. La cristianizzazione del mondo romano antico, Roma, Donzelli, 1995

Il tardo antico: origini di un concetto

Oggi molti storici, per quest’età in bilico tra antichità e medioevo, preferiscono parlare di “tardo antico” (Spätantike), riprendendo un’espressione che era stata già di Jacob Burckhardt (L’età di Costantino il Grande, 1853) e poi dello storico dell’arte Alois Riegl (Die spätrömische Kunstindustrie nach den Funden in Österreich-Ungarn, 1901).

Se per alcuni storici il tardo antico andrebbe dal IV al V secolo (Cameron), per altri si estenderebbe tra il 284 e il 602 (Jones), oppure tra il 200 e il 600 (Marrou) e persino tra Marco Aurelio e Maometto (Brown).

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Approfondimenti:

Jacob Burckhardt, in Dizionario di storiografia, Milano, Paravia-Bruno Mondadori, 1996

Averil Cameron, Il tardo impero romano, tr. it. Bologna, il Mulino, 1995

Peter Brown, Il mondo tardo antico, trad. it. Torino, Einaudi, 1974

Andrea Giardina, Esplosione di tardoantico, in “Studi storici” 40, 1999, pp. 157-180

“Studi Storici”, 45, 2004, sezione monografica sul tardo antico curata da Elio Lo Cascio

Il tardo antico: peculiarità di un concetto

Se in passato gli studiosi ricorrevano ai termini crollo e caduta per riferirsi all’improvviso cedimento politico dell’impero, culminato negli avvenimenti del 476, mentre con le parole declino, decadenza, tramonto, crisi e fine sottolineavano il lento e progressivo deterioramento di una civiltà, oggi molti storici preferiscono le espressioni trasformazione, transizione e processo, fermando l’attenzione sui fenomeni storico-culturali di lungo e lunghissimo periodo.

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Approfondimenti:

Per cogliere tale carattere dell’idea di tardo antico si legga la lezione tenuta all’università di Pisa, per il conseguimento della laurea honoris causa, da:

Peter Brown, Agostino vescovo alla luce di nuovi documenti. In particolare, si noti l’uso del termine “processo”.

Il tardo antico: articolazione cronologica

Il tardo antico sarebbe un’epoca di lente “trasformazioni”, sostanzialmente delimitata da due periodi di transizione:

  1. un primo, compreso tra gli anni 220 e 280, caratterizzato dall’assorbimento nel mondo romano del Cristianesimo e delle popolazioni germaniche, dalla divinizzazione dell’imperatore, dalla militarizzazione dell’impero e dall’irrigidimento delle gerarchie sociali;
  2. un secondo periodo, che va dal 550 al 640, segnato dalle epidemie di peste bubbonica, dal fallito tentativo di restaurazione imperiale ad opera di Giustiniano e dall’espansionismo islamico.

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Approfondimenti:

Aldo Schiavone, Il mondo tardoantico, in Storia medievale, Roma, Donzelli editore, 1998, pp. 43-64

Andrea Giardina (a cura di), Società romana e impero tardoantico, Roma-Bari, Laterza, 1986, 3 vol.

Tardo antico e medioevo

L’epoca tardo antica avrebbe, per un verso, caratteri autenticamente antichi; per un altro, rappresenterebbe il periodo in cui vengono gettate le solide fondamenta del medioevo, soprattutto grazie alla formazione della chiesa cristiana e alla cristianizzazione dello stato, della società e della vita culturale.

Per gli alfieri del “tardo antico” il passaggio dall’antichità al medioevo avverrebbe nel VI-VII secolo, se non nel VII-VIII, grosso modo all’altezza cronologica di Maometto e di Carlo Magno.

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Approfondimenti:

Aldo Schiavone, La Storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno, Roma-Bari, Laterza, 1996.

Continuisti e discontinuisti

A tale prospettiva, sostanzialmente incentrata sulle lente trasformazioni intervenute nel corso di molti secoli, si è contrapposta, negli ultimi due decenni, un’interpretazione discontinuista, volta a sottolineare i molteplici effetti determinati dal crollo istituzionale dell’Impero.

Muovendo dalla considerazione che la struttura istituzionale rappresentava nell’antichità un elemento fondamentale di determinazione e di condizionamento delle forme e dei livelli dello scambio e della circolazione dei beni, alcuni storici hanno sostenuto la totale coincidenza tra la dissoluzione dello stato romano e la successiva crisi economica dei modi e dei livelli dell’attività produttiva.

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Approfondimenti:

Giuseppe Petralia, A proposito dell’immortalità di «Maometto e Carlomagno» (o di Costantino), in “Storica”, I/1 (1995), pp. 37-87

Verso l’alto medioevo

Sulla scia di Karl Polanyi, veniva così riconosciuta la radicale diversità dell’economia monetaria antica, dominata dal ciclo e dalla presenza dello stato collettore e distributore di risorse e di moneta, e la moderna economia monetaria, in cui si integrano e si confrontano, in un mercato astratto, la moneta come strumento di scambio e le leggi della domanda e dell’offerta.

Solo con la crisi istituzionale dell’impero si sarebbe quindi aperta la strada alla nascita dell’economia dell’Occidente, in cui scambi, moneta e città erano ormai stretti da un nesso qualitativamente nuovo rispetto all’antichità.

Torneremo su questi problemi nelle prossime lezioni, dopo aver presentato l’Occidente romano-barbarico e l’espansione islamica.

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Approfondimenti:

Per il significato dei termini economici (ciclo, mercato ecc.) si può consultare gratuitamente: Dizionario economico online, Simone editore.

Su Karl Polanyi si veda:

Polanyi Karl, in “Rivista della Scuola superiore dell’economia e delle finanze“, Strumenti di ricerca > Biografie

Karl Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi Paperbacks 1980

I materiali di supporto della lezione

Bibliografia della quarta lezione

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