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Roberto Delle Donne » 5.L'Occidente romano-barbarico


I “barbari”

Il termine “barbaro” (dal greco βàρβaρoς) designava in origine, onomatopeicamente, ogni uomo che parlasse una lingua straniera e incomprensibile, simile a un balbettio; dall’età ellenistica cominciò a essere usato per tutte le popolazioni che non erano greche.

I Romani ripresero il termine per definire tutti i popoli che non erano né romani né greci (exterae nationes).

Con il processo di cristianizzazione dell’impero venne usato per indicare tutte le genti “non romane” e “non cristiane”, assumendo, nel corso del tempo, risonanze negative e di disprezzo.

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Approfondimenti:

Giulio Vismara, Barbaren, in Lexikon des Mittelalters, I, München, dtv, 2002, coll. 1434-1436

Charles du Fresne Du Cange, Barbarus, in Glossarium ad scriptores mediae et infimae Latinitatis, Frankfurt a. Main, 1710, Tom. I, coll. 528-530

I “barbari” Germani

Oggi la storiografia utilizza il termine “barbaro” sottolineando la sua accezione neutra e priva di connotati negativi.

Tuttavia, è difficile non notare come determinate scelte lessicali riecheggino dibattiti del passato e giudizi di valore sedimentati nel corso dei secoli: se, ad esempio, gli storici italiani e francesi hanno per lungo tempo usato l’espressione “invasioni barbariche”, i tedeschi hanno sempre preferito parlare di “migrazione dei popoli” (Völkerwanderung).

Gli uni e gli altri storici, anche se di diversa nazionalità, condividevano la convinzione che i Germani avessero un’identità etnica e culturale ben precisa, di lunga durata, che neppure le vicende della storia avevano potuto scalfire.

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Cartografia:

Historical Atlas Resource, Barbarian Migration in Late Antiquity

Approfondimenti:

Walther Pohl, L’universo barbarico, in Storia medievale, Roma, Donzelli editore, 1998, pp. 65-88

Cesare e Tacito

A delineare l’immagine idealizzata e stereotipata dei Germani avevano contribuito, in forme diverse, già Cesare e Tacito.

Cesare, nel De bello Gallico (scritto tra il 58 e il 50 a.C.), aveva insegnato a distinguere tra i Galli, che egli aveva sottomesso, e i Germani, l’insieme dei popoli (gentes) stanziati lungo il Reno e oltre la sua sponda orientale, accomunati da uno stile di vita semplice e guerresco.

Tacito, con efficacia ancor maggiore di Cesare, aveva rappresentato, nel De origine et situ Germanorum liber (circa 98 d.C.), la semplicità e la purezza dei costumi dei Germani, che gli apparivano lontanissimi dalla “corruzione” della civiltà mediterranea e animati dalla stessa moralità che aveva consentito alla Roma arcaica di conseguire importanti successi.

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Approfondimenti:

C. Iulius Caesar, Commentarii de bello Gallico

P. Cornelius Tacitus, De origine et situ Germanorum liber

Giuseppe Albertoni, II. L’Europa delle identità etniche, in Europa in costruzione. La forza delle identità, la ricerca di unità (secoli IX-XIII). Fatti, documenti, interpretazioni, in Reti medievali. Didattica, 2004

Montesquieu

Richiamandosi soprattutto a Tacito, Charles Louis de Secondat barone di Montesquieu, nell’opera De l’Esprit des Lois (1748), esalta nei Germani i costumi semplici, lo spirito guerriero e l’amore per la libertà, attribuendo loro il merito di aver consentito all’Europa, dopo il dispotico impero romano, di riprendere la via verso la moderazione e la libertà.

Tale concezione venne ripresa in Germania, nell’età del Romanticismo, per ritrovare negli antichi Germani i valori comuni e profondi di una nazione culturale che non riusciva a darsi un’unità politica (Herder); poi, con accenti diversi, alla fine dell’Ottocento, per sostenere un’ideologia militarista e antimoderna; infine, durante il nazismo, per sottolineare la superiorità di una razza sulle altre.

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Approfondimenti:

Su Montesquieu si veda l’omonima voce in Dizionario di Storia, Milano, Bruno Mondadori, 1993

Montesquieu, De l’Esprit des Lois, Livre XI, Chapitre VIII

Umberto Roberto, Montesquieu, i Germani e l’identità politica europea, in Libertà, necessità e storia. Percorsi nell’«Esprit des lois» di Montesquieu, a cura di Domenico Felice, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 277-322

Montesquieu

Montesquieu


Il mito della razza pura

D’altronde, generazioni di tedeschi, dal Quattrocento alla prima metà del Novecento, hanno creduto di ritrovare le radici della propria identità nei tempi dei primi germani, alimentando il mito di una razza pura, di una comunità germanica originaria proveniente dal Nord dell’Europa.

Storici, archeologi e linguisti hanno invece mostrato, negli ultimi decenni, come “la galassia barbarica fosse costituita da una pluralità di stirpi di dimensioni e di cultura diverse, aperte a fenomeni di contaminazione reciproca e inclini a disaggregarsi e a riaggregarsi in nuovi gruppi con notevole frequenza” (Azzara).

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Approfondimenti:

Claudio Azzara, La civiltà del Medioevo, Bologna, il Mulino, 2004, pp. 20-25

Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Milano, Sansoni, 2000, pp. 28-30, 47-49

La dinamica delle identità

Oggi, grazie all’apporto dell’archeologia e al dialogo con le scienze sociali (innanzitutto sociologia, etnografia e antropologia), è diventato chiaro che i popoli germanici non erano caratterizzati da un’unità linguistica, culturale e politica, chiaramente delineata e riconoscibile sulla base di “criteri oggettivi”.

Le loro identità etniche appaiono piuttosto come un portato culturale, come una costruzione elaborata nel tempo e basata soprattutto sui cosiddetti “miti di origine”, su quelle “tradizioni” in grado di cementare il senso di appartenenza dei vari gruppi umani a una determinata comunità etnica.

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Approfondimenti:

Stefano Gasparri, Tardoantico e alto Medioevo: metodologie di ricerca e modelli interpretativi, in Il Medioevo (secoli V -XV), VIII (Popoli, poteri, dinamiche), a cura di S. Carocci, Roma 2006, pp. 27-61 (distribuito in Reti medievali)

Alla periferia del mondo romano

L’archeologia ha poi messo in luce quanto le diverse forme di vita dei Germani fossero lontane dall’astratta immagine che molti storici ne avevano delineato.

Anche il limes non appare più come un rigido confine tra civiltà e barbaritas, ma come una linea di controllo militare e civile che non arrestava la capacità di influenza del mondo romano sulle culture materiali barbariche.

In particolare, alcune tombe, come quelle di Childerico a Tournai, del gruppo Haßleben-Leuna, in Germania, e di Illerup, in Danimarca, hanno rivelato l’ampia diffusione dei manufatti romani e la capacità di attrazione dei modelli culturali romani, persino in aree distanti dal limes e divenute di fatto una sorta di periferia dell’impero.

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Approfondimenti:

Raymond Brulet, La tombe de Childéric et la topographie funéraire de Tournai à la fin du Ve siècle, in Clovis, Histoire et mémoire, a cura di M. Rouche, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 1997, pp. 59-78

Walther Pohl, Germania, Herrschaftssitze östlich des Rheins und Nördlich der Donau, in “Memorias de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona“, 25 (2000), pp. 305-317

Jørgen Ilkjær, Centres of power in Scandinavia before the medieval kingdoms, in Kingdoms and Regionality. Transactions from the 49th Sachensymposium in Uppsala, Stokholm University 2001

Contaminazioni di culture

Le relazioni con i Romani avevano quindi innescato tra i Germani dinamiche di assimilazione, che avevano incrementato le disuguaglianze sociali, inducendo all’abbandono delle occupazioni e dei lavori tradizionali per seguire il prestigioso modello del guerriero che combatte nell’esercito imperiale.

Se in passato gli storici distinguevano nettamente tra l’elemento etnico romano e quello germanico, considerandoli portatori di due culture chiaramente distinte e fortemente coerenti al loro interno, a partire dagli studi di Reinhard Wenskus (1961), e poi con i lavori di Walther Pohl e di Patrick Geary, si è affermata l’idea che, almeno dall’età imperiale, la compenetrazione tra mondo romano e barbaricum sia stata talmente intima e profonda da comportarne un’evoluzione congiunta e, per alcuni versi, osmotica.

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Approfondimenti:

Stefano Gasparri, I fenomeni di acculturazione: le culture germaniche e la trasformazione del mondo romano, in La società medievale, a cura di S. Collodo e G. Pinto, Bologna, Monduzzi Editore, 1999, pp. 29-57

I federati

D’altronde, a partire dal III secolo, la tendenza dei Romani a sottrarsi agli obblighi della leva militare aveva favorito l’arruolamento di mercenari “barbari”.

Vennero inoltre ingaggiate intere tribù “barbare” per proteggere i confini esterni e, dal IV secolo, venne loro concesso, in cambio del servizio nell’esercito, di insediarsi anche all’interno del territorio dell’impero.

A tali barbari si applicava il particolare regime giuridico della foederatio, che sanciva ufficialmente il loro ruolo di alleati dell’impero e riconosceva loro un certo grado di autonomia interna, vincolandoli, nel contempo, a fornire ai romani truppe e contributi.

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Approfondimenti:

Per un panoramica dei diversi significati del termine foederatus:

Hagith Sivan, On Foederati, Hospitalitas, and the Settlement of the Goths in A.D. 418, in “The American Journal of Philology”, 108/ 4 (Winter, 1987), pp. 759-772: accessibile, in ateneo, in Jstor

Barbari, anzi romani

Le gentes barbariche avrebbero perciò subito il richiamo di Roma ben più di quanto non avvertissero quello proveniente dalle “foreste della Germania”.

Walther Pohl è giunto ad affermare che i regni romano-barbarici in realtà non siano stati altro che regni post-romani, fondati da eserciti federati romani, in larga parte di origine barbarica.

Jean Durliat e Walter Goffart, spingendo alle estreme conseguenze tali linee interpretative, hanno sostenuto la sostanziale continuità persino del sistema fiscale imperiale tardoromano, ben oltre gli inizi canonici del medioevo.

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Approfondimenti:

Walther Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e romani tra antichità e medioevo, Roma, Viella, 2000, pp. 41-57

L’eclissi dei Germani

A poco a poco si è perciò affermata nella storiografia la consuetudine di parlare di popoli “barbarici” e non germanici, per il ruolo di Roma nell’offrire loro mezzi di sostentamento, ricchezze, simboli di status, modelli culturali e religiosi; per la determinante presenza al loro interno di provinciali romani e di nomadi dell’est (Unni, Avari).

“Ormai i Germani della tradizione ottocentesca sono diventati, per la storiografia, dei ‘Germani immaginari’: e tali è bene che restino” (Gasparri).

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Approfondimenti:

Stefano Gasparri, Tardoantico e alto Medioevo cit. (distribuito in Reti medievali)

L’eredità istituzionale dell’Impero

In Gallia, in Iberia e in Africa, nel V e nel VI secolo, le città conservarono il loro ruolo di centri ordinatori delle realtà territoriali locali. Anche le élites sociali continuarono a essere costituite, in buona parte, da famiglie di origine romana.

Significativamente, fino al 570-580, i re barbari non batterono moneta aurea a proprio nome, ma a nome degli imperatori di Bisanzio.

Anche la produzione legislativa fu all’insegna della continuità, come dimostra la Lex Romana Visigothorum, promulgata da Alarico II nel 506 – nell’alto medioevo, uno dei testi fondamentali per la trasmissione della cultura giuridica romana.

Analoga ispirazione ebbe anche la Lex Romana Burgundiorum, emanata dal re Gundobado (467-516).

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Approfondimenti:

Federico Marazzi, Dall’Impero d’Occidente ai regni germanici, in Storia medievale, Roma, Donzelli, 2000, pp. 89-112

Palinsesto di León; frammento della Lex Romana Visigothorum

Palinsesto di León; frammento della Lex Romana Visigothorum


Il diritto e gli uomini

Gli storici discutono se tali leggi avessero carattere territoriale oppure personale.

Nel primo caso, esse riguarderebbero tutti gli uomini residenti in un determinato territorio; nel secondo, solo coloro che appartenevano alle genti che le avevano promulgate (Visigoti, Burgundi ecc.), mentre i Romani sarebbero rimasti sottoposti alle proprie leggi.

A partire dagli studi pioneristici di Alfonso García-Gallo sui Visigoti (1941), la tradizionale interpretazione del diritto barbarico in termini di personalità del diritto ha progressivamente perso terreno rispetto a una sua lettura in chiave territoriale.

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Approfondimenti:

Alfonso García-Gallo, Nacionalidad y territorialidad del Derecho en la época visigoda, in “Archivo de Historia del Derecho Español“, 13 (1936-41), pp. 168-264

Gli Ostrogoti: la conquista

Teoderico, del lignaggio degli Amali, mosse dalla Moesia inferior (odierna Bulgaria) alla conquista dell’Italia nell’autunno del 488, incoraggiato dall’imperatore d’Oriente Zenone, che gli conferì il titolo di patricius, cioè di difensore della città di Roma e di governatore dell’Italia e della Dalmazia.

Vinto e ucciso Odoacre (493), pose la sua residenza a Ravenna, dove si fece proclamare rex del suo esercito. Per poter governare anche i Romani chiese e ottenne (498) da Costantinopoli la vestis regia.

Teoderico, che aveva soggiornato a lungo a Costantinopoli, collocava quindi il proprio rapporto con l’impero nel quadro di un sistema di valori e di prerogative condivise.

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Cartografia:

The Periodical Historical Atlas: Map of Europe in Year 500, Southwest

Approfondimenti:

Herwig Wolfram, Storia dei Goti, Roma, Salerno editrice, 1985 (orig. ted. 1979), pp. 431 ss.

Anche nella moneta sono evidenti i richiami alla tradizione imperiale.

Moneta aurea di Teodorico (circa 500)

Moneta aurea di Teodorico (circa 500)


Gli Ostrogoti: l’insediamento

Gli Ostrogoti si distribuirono sul territorio italico, in modo ineguale, concentrandosi soprattutto nelle regioni settentrionali, a difesa della frontiera alpina.

L’insediamento avvenne secondo il principio della hospitalitas, vale a dire dell’acquartieramento militare, tradizionalmente applicato dall’impero ai propri foederati, che prevedeva la concessione di un terzo delle terre per il servizio prestato.

Secondo Walter Goffart, in realtà agli Ostrogoti non sarebbero state cedute terre, ma sarebbe stata concessa solo una quota dell’imposta fondiaria, la tertia, già versata dai possessores all’impero.

I domini ostrogoti comprendevano l’Italia e la Sicilia, le province retiche e noriche, la Pannonia, la Dalmazia e, dal 508, la Provenza.

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Approfondimenti:

Claudio Azzara, L’Italia dei barbari, Bologna, il Mulino, 2002

Gli Ostrogoti: gli ordinamenti

Gli Ostrogoti, non diversamente da Odoacre, scelsero la strada della convivenza tra l’elemento barbaro, che si riservava il diritto di detenere in forma esclusiva la forza militare, e i quadri eminenti della società romano-italica, nelle cui mani, almeno inizialmente, restava il potere economico e politico-amministrativo.

Tale coesistenza riguardò anche:

  • il diritto: imperiale per i romani, le antiche consuetudini nazionali orali (bilagines) per i goti;
  • il credo religioso: cattolico per i romani, ariano per i barbari.

Teoderico osservò massimo rispetto per il Senato romano e accolse nel consiglio del re, accanto ai capi militari ostrogoti, numerosi esponenti dell’aristocrazia senatoria: Boezio, Cassiodoro, Simmaco.

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Approfondimenti:

I Goti. Catalogo della mostra, Milano, Electa, 1994

Gli Ostrogoti: la crisi del regno

Negli ultimi anni di regno di Teodorico, il nuovo orientamento politico e religioso dell’impero d’Oriente, che cominciò a proiettarsi in modo più aggressivo verso Occidente e a perseguitare gli ariani, indusse il re goto ad avviare una persecuzione contro i cattolici, ritenuti rei di tradimento e di collusione con Bisanzio. Ne furono, tra gli altri, vittime Boezio, Simmaco e il papa Giovanni I.

Alla morte di Teoderico (526), si aprì uno scontro interno al ceto dirigente ostrogoto, che provocò l’intervento di Giustiniano (535) in Italia e la fine del regno, dopo una devastante guerra.

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Approfondimenti:

Il deterioramento dei rapporti di Teoderico con le aristocrazie senatorie si coglie nei giudizi dello Anonymus Valesianus, Chronica Theodericiana, soprattutto capitolo 14 ss.

Gli Ostrogoti: l’etnia

Gli Ostrogoti sono stati rappresentati nella cultura ottocentesca e primo novecentesca come un popolo tipicamente “germanico”, come l’incarnazione dei valori “germanici”.

Le fonti greche e latine del tempo ne sottolineavano invece il carattere orientale, confondendoli spesso con le stirpi iraniche, come gli Sciti o gli Avari.

D’altronde, anche i corredi funerari rimandano a una cultura fortemente influenzata dai popoli delle steppe.

Gli Ostrogoti possono essere ricondotti alle gentes germaniche solo sulla base della lingua che essi parlavano e che è conosciuta attraverso la traduzione della Bibbia del vescovo Ulfila (IV secolo).

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Approfondimenti:

Patrick Amory, People and Identity in Ostrogothic Italy, 489–554, Cambridge 1997

I Franchi: le origini

I Franchi costruirono la propria dominazione nella provincia gallo-romana, tra le regioni più fortemente romanizzate dell’impero.

Al momento delle grandi invasioni del V secolo erano già stanziati, come foederati, nei territori lungo le due sponde del Meno e il corso settentrionale del Reno.

A dare unità politica all’insieme eterogeneo delle tribù franche fu tuttavia solo re Clodoveo (481-511), discendente da Meroveo, il leggendario re eponimo della dinastia.

Clodoveo riuscì a espandere notevolmente il regno dei Franchi, ai danni del generale romano Siagrio, di Turingi, Alamanni, Burgundi e Visigoti.

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Cartografia:

Touring club italiano, Atlante storico del mondo, Milano 1997, p. 38

Approfondimenti:

Régine Le Jan, Les Mérovingiens, Presses universitaires de France, 2006


I Franchi: aristocrazia gallo-romana e papato

Clodoveo, per governare i territori conquistati, seppe avvalersi della collaborazione dell’aristocrazia gallo-romana, laica ed ecclesiastica.

Per rafforzare i rapporti con l’episcopato e con la chiesa di Roma, indusse i Franchi ad abbandonare il politeismo e a convertirsi al cattolicesimo di credo niceno, avviando quella fusione profonda con la popolazione gallo-romana che avrebbe assicurato al suo popolo un posto centrale nell’Occidente latino.

Clodoveo volle inoltre che la cristianizzazione avvenisse seguendo la liturgia e la disciplina ecclesiastica del vescovo di Roma e non dell’episcopato gallo-romano: rinunciando a creare una propria chiesa “nazionale”, fece dei Franchi i “figli primogeniti della Chiesa romana”.

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Approfondimenti:

La fonte principale della conversione di Clodoveo e dell’ascesa dei merovingi è Gregorio di Tours (538-594), Historia Francorum, in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica).

Sull’ “ambigua” conversione dei Franchi si legga però:

Stefano Gasparri, I fenomeni di acculturazione cit., pp. 38 ss.

I Franchi: concezione patrimoniale del potere

Secondo la concezione patrimoniale del regno e del potere monarchico di tradizione franca, alla sua morte il regno venne diviso tra i quattro figli nei regni di Neustria, Austrasia, Aquitania e Burgundia.

I ripetuti conflitti dinastici e la concorrenza dei potenti lignaggi aristocratici indebolirono irreversibilmente la dinastia merovingia, favorendo l’ascesa dei maestri di palazzo di Austrasia, i pipinidi, che dopo aver bloccato con Carlo Martello, a Poitiers, nel 732, l’espansione islamica, assunsero direttamente la carica regia con Pipino il Breve, nel 751.

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Approfondimenti:

Giovanni Tabacco, Profilo di storia del medioevo latino-germanico, Torino 1996, pp. 37- 46, cap. III: L’incontro dell’ordinamento tribale germanico con l’aristocrazia senatoria romana (distribuito in Reti medievali. Biblioteca)

I Visigoti

Dopo il sacco di Roma (410), i Visigoti si stanziarono in Aquitania, dove diedero vita a un ampio regno con centro politico a Tolosa. All’inizio del VI secolo, sconfitti dai Franchi (507), si ritirarono nella penisola iberica, dove crearono un nuovo regno, che elesse a proprio centro, con re Liovigildo (568-586), la città di Toledo.

I Visigoti si mantennero solo inizialmente separati dalla popolazione romano-iberica, dando presto inizio a un processo di acculturazione culminato nell’abbandono della fede ariana alla fine del VI secolo, con la conversione di re Recaredo al cattolicesimo (589). L’episcopato e le aristocrazie laiche romano-iberiche furono coinvolti nell’amministrazione del regno. Le deliberazioni dei concili ecclesiastici ebbero effetti civili. L’aristocrazia gota si romanizzò nella lingua e negli stili di vita.

Il regno fu travolto dall’espansione islamica nel 711.

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Approfondimenti:

Le invasioni barbariche nel meridione dell’impero: visigoti, vandali, ostrogoti, a cura di Paolo Delogu, Soveria Manneli, Rubettino Editore, 2001, i saggi alle pp. 79 ss.

Il regno visigoto (inizio del VI secolo)

Il regno visigoto (inizio del VI secolo)


I Vandali

I Vandali attraversarono il Reno tra il 406 e il 409, percorsero la Gallia e si insediarono in Galizia, Lusitania e Betica (Andalusia). In seguito, sospinti dai Visigoti, invasero nel 429-30 l’Africa settentrionale, che dominarono per circa un secolo, fino alla conquista di Giustiniano (533-534).

Con la flotta, imposero la loro egemonia su Corsica, Sardegna, Baleari e Sicilia, giungendo a saccheggiare Roma nel 455.

La ferma volontà di non fondersi con le preesistenti élites romane, le razzie ai danni dell’aristocrazia latifondista, l’attaccamento alla fede ariana e la persecuzione dei cattolici portarono all’isolamento del ceto dirigente barbarico e al crollo del regno.

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Cartografia:

The Periodical Historical Atlas: Map of Europe in Year 500, Southwest

Approfondimenti:

Le invasioni barbariche nel meridione dell’impero cit., in particolare i saggi a partire da pp. 119 ss.

Vandals, Romans and Berbers: New Perspectives on Late Antique North Africa, ed. by Andrew H. Merrills, Ashgate Publishing, 2004.

Le persecuzioni dei vandali in Africa vengono narrate da Vittore di Vita, nella Historia persecutionis Africanae provinciae, scritta negli anni Ottanta del V secolo; in Antologia cit. (Reti medievali. Didattica)

Gli Angli e i Sassoni

Tra il V e il VI secolo si stabilirono in Britannia varie tribù di Angli, Sassoni e Juti, provenienti dalla Germania e dalla Danimarca.

Le popolazioni locali, di cultura celtica, si concentrarono nella Cornovaglia, nel Galles e in Scozia; la loro cristianizzazione si avviò già nel VI secolo.

Nel corso del VII e VIII secolo Angli e Sassoni fondarono numerosi regni, fortemente divisi tra loro, ma che potevano occasionalmente riunirsi attorno a un monarca: Northumbria, Mercia, Eastarglia, Wessex, Sussex, Essex, Kent. In una prima fase prevalse il regno del Kent (eptarchia), poi quello di Northumbria.

La Britannia era stata nel frattempo cristianizzata, grazie soprattutto a una missione voluta da papa Gregorio Magno.

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Cartografia:

The Periodical Historical Atlas: Map of Europe in Year 500, Northwest

Approfondimenti:

La conquista degli Angli e dei Sassoni è narrata, alla fine del IX secolo, in forma annalistica, nella Anglo-Saxon Chronicle; in particolare si vedano le notazioni a partire da A.D. 455

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