Un gas reale si comporta come un un gas perfetto quando:
a) la sua temperatura t >> Tc (*)
b) si trova lontano dalle condizioni di condensazione (bassa pressione e grande volume).
(*) La temperatura critica è la temperatura al di sopra della quale non è possibile liquefare l’aeriforme, qualunque sia il valore della pressione a cui esso è sottoposto.
La lezione è del Prof. G. Roberti
α = β = 1/ 273.16 °C-1
V1=V2 , p1= p2 , t1= t2 ====> N1= N2
* u.m.a. = 1/12 massa dell’atomo di 12C
** NTP = condizioni normali di temperatura e pressione (1 atmosfera, 0°C)
Gas di specie diverse (non reagenti chimicamente tra di loro) contenuti nello stesso recipiente.
Grandezze che misurano la composizione di una miscela
Dalton, oltre a essere un grande chimico, aveva una singolare caratteristica, di cui è rimasta traccia nel termine “daltonico”: era discromatoptico, ossia cieco ad alcuni colori. A lungo non si era reso conto di vedere il mondo in maniera diversa dagli altri: lo scoprì di colpo nel 1794, quando, per sbaglio, indossò un abito rosso vivo invece di quello nero impostogli dalla fede quacchera, e i suoi correligionari lo rimproverarono per l’errore. Affascinato, prese ad indagare sul proprio difetto visivo, chiedendosi come e perché vedesse le cose in quel modo; e descrisse per la prima volta la discromatopsia ereditaria. Solo suo fratello, annotò, sembrava avere il suo stesso difetto. Ripeteva spesso che, per lui, l’erba e il sangue avevano il medesimo colore, e i fiori di campo azzurri il colore di ciò che per gli altri era “rosa”; e si chiedeva interdetto come mai la gente distinguesse il rosso dal verde e il rosa dall’azzurro, mentre lui no. Il rosso, scrisse, gli appariva “poco più di un’ombra o una mancanza di luce”. Poiché il difetto congenito apparteneva ad un personaggio così famoso, presto fu coniato il termine “daltonismo” per designare la discromatopsia.Alla fine lo scienziato elaborò una possibile spiegazione del fenomeno. Forse, pensò, il gel dei suoi occhi, il cosiddetto umor vitreo, era blu anziché trasparente e lo induceva a vedere il mondo attraverso un filtro che rendeva il rosso e il verde un’identica sfumatura di grigio. Ma verificare l’ipotesi era arduo, perché per farlo Dalton avrebbe dovuto rimuovere i propri occhi dalle orbite e controllare il corpo vitreo. Sebbene amasse molto la scienza, non se la sentiva di compiere quel sacrificio, sicché optò per un’altra soluzione: quando egli fosse morto, il suo assistente avrebbe dovuto eseguire un esame autoptico dei suoi occhi.
Dalton morì il 27 luglio 1844, all’età di settantotto anni, e poco tempo dopo Joseph Ransome, il suo assistente, obbedì all’ordine impartitogli dal maestro: rimosse i bulbi oculari, versò l’umor vitreo di un occhio su un vetro da orologio, e constatò che era, come poi scrisse, “perfettamente trasparente”, sicché l’ipotesi di Dalton risultava errata. Allora prelevò un frammento dall’altro occhio e vi guardò attraverso per vedere se oggetti rossi o verdi gli apparissero grigi, ma così non fu, per cui concluse che qualunque fenomeno avesse causato la discromatopsia di Dalton, doveva essersi verificato non nei bulbi oculari, ma nei nervi che collegavano l’occhio al cervello. Poiché Dalton era molto famoso e il daltonismo assai strano, quei bulbi oculari furono infilati in un vaso e conservati fino all’epoca moderna dalla John Dalton Society. A oltre centocinquant’anni dalla morte del grande chimico era giunto il momento della verità. La biologia molecolare era diventata uno strumento così efficace che, esaminando un frammento di tessuto dei bulbi oculari di John Dalton, gli scienziati erano riusciti a stabilire l’origine della sua discromatopsia. Già in passato si era scoperto che la cecità per i colori era causata da un gene che, avendo subito una mutazione, mancava di alcune informazioni genetiche e non funzionava a dovere. Dalton aveva una comunissima discromatopsia ereditaria. Ecco di che cosa parla l’articolo di “Science”, intitolato La chimica della discromatopsia di John Dalton.
John Dalton (1766 - 1844) (Immagine da Wikipedia)
Solubilità di un gas in un liquido
C = Solubilità di un gas in un liquido = Massa di gas disciolto / Volume di liquido
Se una miscela di gas è a contatto con la superficie libera di un liquido, in condizioni di equilibrio e a temperatura costante
Ci = k pi
Ci = solubilità del gas i-mo della miscela
k = coefficiente di solubilità (dipendente dalla temperatura) pi= pressione parziale del gas i-mo
Alla temperatura corporea (37 °C) il coefficiente di solubilità k dell’ossigeno nell’acqua vale k=1.04 10-3 moli / dm3atm Per esprimere k in unità di misura più “fisiologiche” , cioè in ml di ossigeno disciolti fisicamente in 100 ml di liquido alla pressione di 100mmHg (pressione di saturazione dell’O2 nel sangue), ricordiamo che:
Volume occupato da 1,04 10-3moli di ossigeno alla pressione parziale di 1 atm e alla temperatura di 310,16 K =
= n RT/p = = 1.04 10-3 moli x 0.082 (atm l / moli K) x 310.16 K / (1 atm) = 26.4 ml
k = 26.4 ml (O2) / 10 100ml(acqua) 760 mmHg = 0.0035 ml(O2) /100 ml(acqua) 1 mmHg
k = 0.35 ml(O2) /100 ml(acqua) 100 mmHg
Questo valore, in accordo con i dati sperimentali della solubilità nel sangue, dimostra che la solubilità fisica dell’ossigeno nel plasma è paragonabile a quella che si avrebbe in acqua a parità di condizioni fisiche.
Alla temperatura corporea (37 °C) il coefficiente di solubilità k dell’anidride carbonica nell’acqua vale
k = 2.71 10-2 moli / dm3 atm
Per esprimere k in ml di CO2 disciolti fisicamente in 100 ml di acqua alla pressione di 40mmHg (pressione di saturazione della CO2 nel sangue), seguiamo lo stesso procedimento usato per l’ossigeno.
Volume occupato da 2.71 10-2 moli di CO2 alla pressione parziale di 1 atm e alla temperatura di 310,16 K =
= n RT/p = 2.71 10-2 moli x 0,082 (atm l / moli K) x 310,16 K / (1 atm) =
= 689.2 ml k = 689.2 ml (CO2) / 10 100ml(acqua) 760 mmHg = 0,09 ml(CO2) /100 ml(acqua) 1 mmHg
k = 3.6 ml(CO2) /100 ml(sangue)40 mmHg
Questo valore, in buon accordo con la solubilità della CO2 nel sangue, dimostra che essa, nelle condizione di pressione di saturazione a cui si trova nel plasma, ha una solubilità fisica di un ordine di grandezza maggiore di quella dell’ossigeno.
Sign in St. Ann's Square, Manchester. Immagine da Cheshire Antiquities - Craig Thornber, Cheshire, England, UK.
I pesci respirano l’ossigeno disciolto nell’acqua.
Se la boccia è aperta la concentrazione di ossigeno nell’acqua resta costante, anche se il pesciolino consuma ossigeno, perché è determinata dalla pressione parziale dell’ossigeno atmosferico che è pure costante.
Se la boccia è chiusa, l’ossigeno consumato dal pesciolino non viene sostituito da ossigeno atmosferico, perché la presenza del tappo impedisce l’equilibrio della pressione parziale dell’ossigeno nell’aria atmosferica e nell’acqua.
Il pesciolino rosso muore nella boccia chiusa (immagine modificata da Chemeet World)
Solubilità fisica (Legge di Henry)
Solubilità chimica (Emoglobina)
A: P(O2) = 100 mm/Hg; saturazione Hb = 97%; O2 legato = 19.4 vol%
B: P(O2) = 40 mm/Hg; saturazione Hb = 75%; O2 legato = 14.4 vol% differenza artero-venosa = 5 vol%; in questo caso ad ogni passaggio nei capillari 100ml di sangue cedono 5ml di ossigeno ai tessuti.
C: P(O2) = 15 mm/Hg; saturazione Hb = 20%; O2 legato = 4.4 vol% differenza artero-venosa = 15 vol%; in questo caso ad ogni passaggio nei capillari 100ml di sangue cedono 15ml di ossigeno ai tessuti.
Curva di dissociazione dell'emoglobina (da Digila)
Effetti sull’organismo umano
è la condizione per cui si verifica la narcosi da azoto o “euforia da azoto” o “estasi da profondità”: effetti simili a quelli da eccesso di alcool (compromissione della capacità di giudizio e di coordinamento della persona).
è la condizione per cui si verifica la tossicità dell’ossigeno: patologie sia a livello polmonare (irritazioni bronchiali, serie difficoltà respiratorie, emorragia polmonare) che del SNC (convulsioni simili a quelle epilettiche, coma).
L’aria nei polmoni non viene rinnovata: si impoverisce d’ossigeno e si arricchisce di anidride carbonica (ipercapnia). L’ipercapnia produce contrazioni del diaframma e uno stimolo a respirare aria ossigenata (tempo massimo di immersione di 2-4 min per esseri umani)
L’aumento della pressione esterna fa diminuire il volume della cassa toracica (rischio di frattura delle costole) e può produrre la rottura del timpano.
I mammiferi marini (foche, delfini, balene) si immergono come l’uomo in apnea e riemergono per ricambiare l’aria nei polmoni. Tuttavia l’adattamento all’ambiente permette immersioni a grandi profondità e per lungo tempo (fino a 2000 m e per 40 min per certi tipi di balene). Le principali ragioni di queste prestazioni sono:
la maggior tolleranza del sistema nervoso centrale dei mammiferi marini alla mancanza di ossigeno;
ridistribuzione del flusso di sangue che privilegia il cervello rispetto ad altri organi;
il polmone praticamente non contiene più aria che viene sospinta in trachea (è tipico lo sbuffo della balena alla riemersione);
la presenza in concentrazione maggiore rispetto agli umani di mioglobina che ha la capacità di fissare l’ossigeno e di cederlo solamente in condizioni di estrema carenza.
Foca in immersione (Immagine da Wikipedia)
Il respiratore fa in modo che la pressione a cui viene erogata la miscela di gas contenuta nelle bombole sia uguale alla pressione esterna cui è sottoposto il subacqueo. Se il subacqueo respira aria con la stessa composizione di quella atmosferica allora, per evitare la narcosi da azoto e l’avvelenamento da ossigeno, il subacqueo non può scendere a più di circa 40 m di profondità con bombole ad aria compressa. Per scendere a profondità maggiori bisogna cambiare la miscela di gas delle bombole con la seguente miscela di gas:
He (97%) + O2 (3%)
L’elio viene scelto al posto dell’azoto per la sua maggiore velocità di diffusione.
Usando bombole ad aria compressa, la permanenza prolungata alle alte pressioni tipiche delle profondità marine, tende a far accumulare grandi quantità di azoto nei liquidi e nei tessuti (legge di Henry) e, prevalentemente, nei grassi.
Durante una risalita veloce l’azoto si libererà rapidamente dall’organismo, producendo bolle nei tessuti e nel sangue, che occludono i vasi, producendo indolenzimento articolare, sino ad arrivare alla morte per soffocamento, edema polmonare, perdita di conoscenza, paralisi.
La quantità di azoto disciolto nei tessuti alla pressione di 1 atm è di circa 1 litro ed aumenta di un litro ogni 10 metri di profondità. Risalire lentamente consente all’organismo di rilasciare gradualmente l’azoto, prevenendo ogni rischio.
Tempo di decompressione per permanenza a 58 metri per 60 minuti :
2. Termologia e Termodinamica - I
3. Termologia e Termodinamica - II
4. Termologia e Termodinamica - III
5. Termologia e Termodinamica - IV
8. Acustica
9. Ottica geometrica - I parte
10. Ottica geometrica - II parte
11. L'occhio umano
12. Tensione superficiale - I parte
13. Tensione superficiale - II parte
15. Emodinamica
16. Elettrostatica
18. Elettrodinamica - II parte
19. Modello atomico
20. Radiazioni elettromagnetiche
21. Radioattività