La lezione è del Prof. G. Roberti
Immagine da Wikipedia
L’occhio è un sistema di lenti che forma un’immagine reale e capovolta su una superficie sensibile alla luce (campo visivo ≈ 140°).
bulbo oculare: forma quasi sferica, diametro ≈ 2.3 cm
coroide: membrana scura che assorbe la luce dispersa
retina e macchia lutea: l’occhio tende a ruotare in modo che l’immagine si formi in corrispondenza della parte centrale della macula (fovea centralis)
cornea: protuberanza trasparente posta sulla superficie del bulbo oculare, devia gran parte della luce
iride: varia di dimensioni e determina la quantità di luce che entra nell’occhio attraverso la pupilla (come il diaframma di una macchina fotografica)
cristallino: lente con lunghezza focale variabile regolata dai muscoli ciliari, n=1.437
raggio di curvatura grande → messa a fuoco di oggetti lontani
la lunghezza focale diminuisce per mettere a fuoco oggetti più vicini
ACCOMODAMENTO = potere del cristallino di adattare la sua lunghezza focale per mettere a fuoco sulla retina l’immagine di una sorgente
L’ occhio semplificato è uno schema ottico dell’occhio, tale che, applicando ad esso le leggi dell’ottica, si trova un comportamento della luce molto simile a quello che si ottiene nell’occhio reale.1) La cornea si può considerare, dato il suo piccolo spessore, anziché un menisco, un diottro sferico, di raggio di curvatura 8 mm. 2) Il cristallino, formato da tre strati concentrici con indice di rifrazione differente, si può considerare come un’unica lente biconvessa sottile di indice di rifrazione 1.42. 3) Si può assumere che l’umor acqueo (n = 1.333) e l’umor vitreo (n = 1.336) abbiano lo stesso indice di rifrazione: 1.336. E’ come avere lo stesso mezzo ottico tra cornea e cristallino e tra cristallino e retina. 4) Il centro di curvatura della cornea è spostato dalla parte temporale relativamente al centro delle superfici del cristallino, spostamento che è circa di 0.1 mm e che comporta una variazione di circa 1° nella nostra definizione di asse ottico. Non si fa quindi un grosso errore nel considerare tutti i centri di curvatura su una retta, che si può chiamare asse ottico dell’occhio. 5) Nell’approssimazione parassiale si assume che i raggi di luce siano inclinati rispetto alle perpendicolari alle superfici rifrangenti, con angoli di incidenza i piccoli abbastanza perché il sen(i) ≈ i (in radianti). Teniamo presente che solo un fascio ristretto di raggi riesce a penetrare attraverso la pupilla (diametro variabile tra 2 e 8 mm). Ciò corrisponde ad una differenza massima di circa l’1% tra i e sen(i) per le varie superfici rifrangenti. Non si fa quindi un grosso errore nell’applicare l’approssimazione parassiale. 6) Siccome la descrizione in termini di raggi parassiali è valida, possiamo, con buona approssimazione, ritenere trascurabile il fenomeno dell’aberrazione. 7) Potendo considerare l’occhio come un sistema ottico centrato, possiamo definire oltre ai punti focali (del sistema cornea-cristallino), anche i punti nodali: ad un raggio incidente passante per il primo punto nodale (punto nodale oggetto), corrisponde un raggio emergente parallelo e passante per il secondo punto nodale (punto nodale immagine).
Indici di rifrazione dei vari mezzi dell'occhio semplificato (Immagine modificata da Domenico Galli)
La cornea è un diottro sferico convergente (R = 8 mm), che separa l’aria (primo mezzo, con indice di rifrazione n1=1) dall’umor acqueo (secondo mezzo, con indice di rifrazione n2 = 1.336).
Non tutti i raggi che incidono sulla cornea arrivano sulla retina, ma solo quelli che passano attraverso il foro pupillare. Tutti gli altri vengono bloccati dall’iride.
I raggi non convergono in un punto sulla retina, ma in un punto IC oltre essa. La distanza di IC dalla retina è maggiore, se l’oggetto si trova nel punto prossimo. La zona della retina colpita dai raggi è un cerchio. Il cerchio è più grande se l’oggetto si trova nel punto prossimo.
Se nell’occhio non ci fosse il cristallino, la zona della retina stimolata sarebbe un cerchio, l’immagine sarebbe sfocata: così vedrebbe una persona a cui sia stato asportato il cristallino. Il cerchio s’ingrandirebbe e quindi l’immagine diventerebbe più confusa, al diminuire della distanza dell’oggetto.
Formazione dell'immagine di una sorgente puntiforme nel punto remoto da parte della sola cornea (Immagine da: I.N.F.N.)
Formazione dell'immagine di una sorgente puntiforme nel punto prossimo da parte della sola cornea (Immagine da: I.N.F.N.)
Per determinare la posizione dell’immagine dovuta alla cornea ed al cristallino, bisogna considerare l’immagine dovuta alla cornea come oggetto virtuale per il cristallino. Si applica l’equazione delle lenti sottili:
1/x1 + 1 /x2 = 1/f = (n-1) ( 1/R’ – 1/R”)
in cui
f = distanza focale del cristallino
x1 = distanza, presa con il segno negativo, tra il cristallino ed il punto immagine Ic dovuto alla cornea
n = indice di rifrazione relativo del mezzo in cui si trova il cristallino (umor vitreo e umor acqueo hanno lo stesso valore di n) ed il mezzo del cristallino
R’, R” = raggi di curvatura delle superfici limite del cristallino.
Il valore di R’, R” e quindi di f dipende dallo stato di accomodamento dell’occhio.
Per un occhio normale (emmetrope) l’accomodamento fa sì che l’immagine si forma sulla retina per distanze della sorgente comprese tra punto remoto e punto prossimo.
Il processo di accomodamento del cristallino diminuisce con l’aumentare dell’età: è questo il difetto chiamato presbiopia.
La sorgente è posta nel punto remoto ed il cristallino è completamente rilassato (non accomodato).
Formazione dell'immagine di una sorgente all'infinito in un occhio semplificato emmetrope (Immagine da: I.N.F.N.)
La sorgente è posta nel punto prossimo (25 cm) e l’accomodazione del cristallino è massima.
Formazione dell'immagine di una sorgente nel punto prossimo in un occhio semplificato emmetrope (Immagine da: I.N.F.N.)
Occhio presbite, in cui il cristallino non ” si accomoda per niente”.
L’oggetto si trova a 25 cm di distanza. L’immagine I si trova a 1.7 mm di distanza dalla retina. La conseguenza è che la zona della retina colpita di raggi è un cerchio (zona bianca nella figura) e non un punto e l’immagine risulta sfocata.
Formazione dell'immagine di una sorgente nel punto prossimo in un occhio semplificato presbite (Immagine da: I.N.F.N.)
Se le dimensioni antero-posteriori dell’occhio sono maggiori di quelle dell’occhio emmetrope, allora l’immagine di un punto all’infinito si forma davanti alla retina e quindi l’immagine sulla retina appare sfuocata (Fig. 1).
La correzione della miopia si ottiene ponendo davanti all’occhio una lente divergente che aumenta la divergenza del fascio e ne permette la focalizzazione sulla retina (Fig. 2).
Se le dimensioni antero-posteriori dell’occhio sono minori di quelle dell’occhio emmetrope, allora l’immagine di un punto all’infinito si forma dietro alla retina e quindi l’immagine sulla retina appare sfuocata (Fig. 1).
La correzione della ipermetropia si ottiene ponendo davanti all’occhio una lente convergente che aumenta la convergenza del fascio e ne permette la focalizzazione sulla retina (Fig. 2).
La cornea è normalmente un menisco convesso sferico (raggio di curvatura ≈ 8 mm).
Se la cornea ha esattamente la forma di una calotta sferica tutti i meridiani hanno lo stesso raggio di curvatura. In questo caso la cornea, se se ne trascura lo spessore, può essere assimilata ad un diottro sferico, in cui il fuoco è proporzionale al raggio di curvatura, secondo la formula
f2 = R n2/(n2-n1)
Quindi una linea verticale ed una orizzontale sono focalizzate alla stessa distanza, cioè sulla retina in un occhio emmetrope.
In realtà esiste una variazione di curvatura fisiologica della cornea (astigmatismo fisiologico) corrispondente ad una variazione di potere diottrico di 0.5 – 1 diottria.
Nell’astigmatismo i raggi di curvatura dei vari meridiani (in particolare il meridiano orizzontale e verticale) non sono uguali.
In questo caso, il diottro avrà un fuoco più vicino, corrispondente al raggio di curvatura minore ed uno più lontano, corrispondente al raggio di curvatura maggiore.
Se il meridiano più curvo è quello verticale, l’astigmatismo è definito “secondo regola”; “contro regola” se il meridiano più curvo è quello orizzontale.
L’astigmatismo, più raramente, può essere dovuto ad una differenza di curvatura dei meridiani del cristallino.
L’ occhio astigmatico non è in grado di focalizzare contemporaneamente linee con diversi orientamenti, perciò la visione risulta sfuocata e distorta.
Nella figura il meridiano verticale ha la corretta curvatura, mentre quello orizzontale ha una curvatura maggiore.
Per correggere l’astigmatismo si usano lenti cilindriche, che cambiano la convergenza del fascio solo nella direzione perpendicolare alle generatrici del cilindrico.
Una lente cilindrica piano-convessa aumenta la convergenza del fascio e serve a correggere diminuzioni del raggio di curvatura della cornea.
Una lente cilindrica piano-concava diminuisce la convergenza del fascio e serve a correggere aumenti del raggio di curvatura della cornea.
Quando un fascio di raggi paralleli di lunghezza d’onda λ incide su un diaframma/ostacolo circolare di diametro a ≈ λ, entra in gioco la natura ondulatoria della radiazione luminosa.
Quindi il fascio si comporta in maniera difforme dalle regole dell’ottica geometrica e dà luogo al fenomeno della diffrazione: su uno schermo al di là del diaframma/ostacolo si forma una figura di diffrazione con un cerchio luminoso/scuro centrale (centrica di diffrazione), circondato da anelli alternativamente scuri e chiari (frange di diffrazione) (vedi figura).
Un parametro importante della figura di diffrazione è la larghezza del picco centrale che viene misurata dall’angolo θ (vedi figura) formato tra la direzione della
a) retta passante per il centro del foro e per il picco della figura di diffrazione
b) retta passante per il centro del foro e per il primo minimo laterale successivo al picco centrale
Si può dimostrare che
θ = 1.22 λ /a
Nel caso dell’occhio umano: a = 5 mm; D = 2.3 cm.
Considerando la lunghezza d’onda di 500 nm (vicina al valore di picco della curva di sensibilità spettrale fotopica dei recettori della retina = 550 nm) si ha che
θ = 1.22 λ /a = 1.22 5 10-7 m / 5 10-3 m = 10-4 rad = 0.1 mrad = 0.34′
= diametro angolare sotto cui viene vista una moneta di 0,5 € alla distanza di 250 m.
Il raggio r della centrica di diffrazione (vedi figura) è
r = D tg(θ) ≈ D θ = 2.3 10-2 m 10-4 rad = 2.3 10-6 m = 2.3 μm
La diffrazione limita le capacità degli strumenti ottici di distinguere (“risolvere”) immagini di oggetti tra loro vicini.
Le immagini costruite facendo passare la luce attraverso lenti e/o aperture (ad esempio le immagini di due sorgenti puntiformi S1 e S2 con separazione angolare θ, formate da un’apertura circolare di diametro a non sono nette, ma sono costituite dalla sovrapposizione di due figure di diffrazione con un massimo principale centrale più alto e massimi secondari laterali di altezza decrescente.
Le immagini di due sorgenti puntiformi sono risolte quando il massimo centrale della figura di diffrazione dell’una coincide col primo minimo dell’altra (criterio di Rayleigh), come in figura.
Questo significa che i due picchi delle figure di diffrazione devono trovarsi separati da una distanza angolare di θ.
Quindi anche le sorgenti, per essere risolte, devono essere angolarmente separate di almeno un angolo θ. Pertanto si ha che
θ = potere risolutivo angolare dell’occhio
Sperimentalmente:
θ = 2 10-4 rad rmin = 4 μm
Distanza tra i coni nella fovea = 2 μm
L’immagine di una sorgente S esterna sulla retina aumenta di dimensioni man mano che la sorgente si avvicina. Tuttavia se si avvicina ad una distanza minore della distanza del punto prossimo (25 cm) l’immagine apparirà sfuocata.
Se due sorgenti puntiformi che si trovano alla minima distanza angolare per poter apparire distinti ( θ ), sono posti nel punto prossimo (xp= 25 cm) devono essere distanti
y = xp θ = 0.25 m 4 10-4 = 0.1 mm = 100 μm
Il più piccolo particolare che si può apprezzare ad occhio nudo, nel punto prossimo, ha le dimensioni di 100 μm.
Se la stessa sorgente S viene posta ad una distanza dalla lente d’ingrandimento (convergente) di poco inferiore alla distanza focale, f, l’immagine formata I sarà ingrandita, diritta e virtuale. L’angolo θ sotto cui sarà vista l’immagine virtuale I vale
tg (θ’) = y/f
Se si definisce l’ingrandimento angolare M
M = θ’/θ = (y/f)/(y/xp) = xp/f
Se M > 1 → xp/f > 1 → xp > f → 1/xp < 1/f
1/f > 1/x p = 1/0.25 m = 1/(1/4 m) = 4 m-1 = 4 D
Una lente convergente per funzionare da lente d’ingrandimento deve avere un potere diottrico maggiore di 4 D (f < 25 cm).
A causa delle aberrazioni non si possono utilizzare lenti con f < 20-30 mm (ingrandimento angolare di 8-10X). Sostituendo la singola lente con un gruppo di lenti corretto per le aberrazioni, si possono raggiungere ingrandimenti fino a 40X.
Obiettivo e Oculare: lenti convergenti di distanza focale f1 e f2 >> f1 (vedi Fig. 1).
Lunghezza ottica del microscopio, d = distanza tra i due fuochi più vicini dell’obiettivo e dell’oculare (d = 160-170 mm) (vedi Fig. 1).
Il campione è posizionato ad una distanza dall’obiettivo leggermente maggiore della distanza focale (s1 > f1).
La distanza d è tale che l’immagine reale, ingrandita e capovolta formata dall’obiettivo si formi ad una distanza dall’oculare leggermente minore di f2. Tale immagine fa da sorgente per l’oculare che, a sua volta, ne forma un’immagine virtuale, ingrandita e diritta.
La distanza L tra l’immagine formata dall’oculare ed il cristallino viene regolata al valore del punto prossimo spostando tutto il sistema rispetto al campione con una vita a cremagliera con regolazione macrometrica e micrometrica (messa a fuoco del campione).
1) L’obiettivo forma un’immagine reale dell’oggetto con ingrandimento
m1= – s’1 / s1 ≈ - s’1/ f1
2) L’oculare forma un’immagine virtuale della prima immagine con ingrandimento
M2 = s’2 / s2 ≈ s’2 / f2 = 0.25 m / f2
La formula dell’ingrandimento totale M è in Fig.2.
Supponendo un ingrandimento M = 400, l’intervallo minimo Δx risolvibile sarà 400 volte minore di quello risolvibile ad occhio nudo (0.1 mm)
Δx = 0.1 mm/400 = 250 nm= 2500 Å
E’ possibile diminuire ulteriormente la minima distanza risolvibile aumentando l’ingrandimento?
La minima risoluzione dipende anche dal fenomeno della diffrazione e quindi dalla lunghezza d’onda della radiazione utilizzata !!!!!!
La minima distanza risolvibile con un microscopio è
Δx = λ / (2 n sin α)
λ = lunghezza d’onda della radiazione
n = indice di rifrazione del mezzo tra il campione e l’obiettivo
α = semiampiezza del cono di luce che dal campione entra nell’obiettivo (Fig. 1)
La quantità n sin α si dice apertura numerica dell’obiettivo (NA) e misura la massima ampiezza del cono di luce che entra nell’obiettivo.
Calcoliamo la risoluzione alla lunghezza d’onda di 500 nm (luce verde) con campione in aria (n=1) e α = 90°.
Δx = 500 nm / (2 sin 90°) = 250 nm
Per aumentare l’apertura numerica (e quindi diminuire Δx) si interpone tra l’obiettivo (obiettivo ad immersione) il campione una sostanza con indice di rifrazione il più alto possibile ed il più vicino a quello del vetro (obiettivo e vetrino copri-oggetto) (Fig. 2 ).
Per diminuire Δx si può anche diminuire λ, cioè usare luce di frequenza più elevata ( microscopia UV).
Un ingrandimento superiore al valore di 400-600 non migliora la risoluzione dell’immagine.
2. Termologia e Termodinamica - I
3. Termologia e Termodinamica - II
4. Termologia e Termodinamica - III
5. Termologia e Termodinamica - IV
8. Acustica
9. Ottica geometrica - I parte
10. Ottica geometrica - II parte
11. L'occhio umano
12. Tensione superficiale - I parte
13. Tensione superficiale - II parte
15. Emodinamica
16. Elettrostatica
18. Elettrodinamica - II parte
19. Modello atomico
20. Radiazioni elettromagnetiche
21. Radioattività