La formazione dell’immagine radiografica dipende, oltre che dal fascio di raggi X prodotto dal tubo radiogeno, anche dal tipo di interazioni che i raggi X hanno con la materia (tessuti organici, oggetti nell’ambiente, ecc.).
Le principali interazioni tra raggi X e materia determinano la ionizzazione o l’eccitazione degli atomi.
La ionizzazione si produce principalmente attraverso due fenomeni: l’effetto Fotoelettrico e l’effetto Compton. L’eccitazione si produce solo su alcuni tipi di materiali.
L’effetto fotoelettrico (fig. 1) determina la completa attenuazione (arresto) dei raggi X.
Esso è responsabile della gran parte del contrasto di un radiogramma.
L’effetto fotoelettrico si verifica più spesso con i raggi X a bassa o media energia(≈ 50 – 70 kVp) o quando l’interazione avviene con un elettrone degli orbitali più interni.
L’effetto Compton (fig. 2) si determina soprattutto con raggi X ad elevata energia (>70 kVp) e quando l’interazione si verifica con gli elettroni degli orbitali più esterni.
In questo caso, il raggio X è in grado di espellere l’elettrone dall’orbita atomica senza attenuarsi completamente. Infatti, si origina una radiazione parassita (radiazione diffusa), a minore energia e con direzione diversa da quella originaria.
L’eccitazione (fig. 3) si determina quando un raggio X cede la sua energia ad un elettrone degli orbitali più interni che, perciò, si sposta dalla sua orbita atomica ad una più esterna. Successivamente, l’elettrone torna allo stato energetico iniziale emettendo una radiazione con frequenza compresa nello spettro luminoso visibile (fluorescenza). Questo fenomeno è tipico di alcuni materiali che per questo sono utilizzati per rivelare la presenza dei raggi X (vedi Radioscopia e Schermi di rinforzo).
I raggi X emessi dal tubo radiogeno possono avere quattro diverse possibilità di interazione con il paziente:
La radiazione primaria, quella attenuata e, in parte, quella diffusa, sono i principali responsabili delle opacità radiografiche visibili su un radiogramma.
Come abbiamo già accennato all’inizio del corso, l’esame radiografico è una tecnica che possiede una bassa risoluzione di contrasto. In effetti, sono solo 5 i tipi di opacità distinguibili su un radiogramma: 1) gas; 2) grasso; 3) liquidi (tessuti molli); 4) osso; 5) metalli (mezzi di contrasto positivi).
L’immagine radiografica è fatta da un insieme variabile di questi grigi.
Sarà possibile discriminare due organi o due tessuti solo se i loro profili sono circondati da un mezzo più o meno opaco dell’organo o del tessuto stesso e, quindi, con livelli di grigio differenti.
I vari livelli di grigio derivano, oltre che dal grado di attenuazione dei raggi X nei differenti tessuti (densità e spessore), anche da fenomeni di addizione e di sottrazione.
Addizione
Si verifica quando parte di due opacità si sovrappongono su due differenti piani geometrici. Nei punti in cui le due opacità si sovrappongono, l’opacità radiografica aumenta perché rappresenta la somma dell’attenuazione dei raggi X di due oggetti. Ad esempio, nell’immagine radiografica (fig. 4), le diafisi omerali (1) appaiono più opache nella parte in cui esse si sovrappongono tra loro.
Sottrazione
Si verifica quando parte di una radiotrasparenza si sovrappone su parte di un’opacità. Nei punti in cui l’area radiotrasparente si sovrappone all’opacità, questa si riduce in quanto la trasparenza, negativa, si sottrae all’opacità, positiva. Ad esempio (fig. 5) la testa dell’omero (2) appare più radiotrasparente nella parte in cui vi si sovrappone la trachea.
Quando due strutture della stessa opacità sono a contatto tra loro e sullo stesso piano geometrico si verifica il cosiddetto “segno del profilo”. In un caso del genere i margini a contatto delle due strutture risultano radiograficamente indistinguibili.
In figura 6, RX del torace normale di un cane, possiamo notare come l’opacità del cuore, quelle dei grossi vasi ed i profili diaframmatici sono distinguibili per il fatto che essi sono circondati o sono a contatto con il parenchima polmonare, molto più radiotrasparente grazie all’aria in esso contenuta.
In figura 7, sempre RX di un torace ma questa volta con un versamento pleurico, la presenza di quest’ultimo rende indistinguibili tutte le strutture endotoraciche ed i profili diaframmatici in quanto essi si vengono a trovare immersi nel liquido e, quindi, nello stesso piano geometrico di una opacità praticamente identica dal punto di vista radiografico.
Vediamo un altro esempio di segno del profilo: nell’immagine radiografica del torace di un gatto è presente un’opacità (1) sulla cupola diaframmatica (3), caudalmente al cuore (2).
Radiograficamente la lesione sembra sia parte del diaframma. L’esame autoptico evidenzia, invece, come la lesione, un nodulo, sia nettamente separata dal diaframma (il vaso indicato con il 4 è la vena cava caudale).
In questo caso, i margini delle due strutture, il nodulo e la cupola diaframmatica, essendo a contatto e sullo stesso piano geometrico, risultano radiograficamente indistinguibili.
Viceversa, se le due strutture con la stessa opacità sono su due piani differenti, i loro profili risulteranno distinguibili e determineranno un effetto di addizione.
Nelle immagini (fig. 8 e 9) è riportato l’esempio di un esame radiografico del torace di un cane affetto da ernia diaframmatica con dislocazione del fegato, nella proiezione laterale, la lesione (1) determina una sommazione con l’opacità cardiaca. Infatti, la proiezione ventro-dorsale chiarisce che le due opacità, quella del fegato dislocato cranialmente nell’emitorace destro (1) e quella del cuore spostato nell’emitorace sinistro (2) si trovano su due piani differenti e per questo, nella proiezione laterale, risultano radiograficamente distinte e con un effetto di addizione.
Oltre all’opacità radiografica, un altro importante concetto è quello della densità radiografica: grado di annerimento della pellicola radiografica dovuto alla riduzione e alla fissazione dell’argento dell’emulsione.
Aumentando il numero o l’energia dei raggi X, mediante l’incremento dei mAs o dei kV, si aumenta il numero di fotoni di raggi X che raggiungono la pellicola e, quindi, si rende più denso il radiogramma.
La densità di una pellicola radiografica è direttamente proporzionale alla quantità di raggi X che raggiunge la pellicola stessa.La densità è primariamente condizionata dai mAs (numero dei raggi X) e, in misura minore, dai kVp.
Nota bene: non bisogna confondere la densità radiografica con la densità atomica dei tessuti attraversati dai raggi X.
Come è possibile vedere nello schema (fig. 10), la densità radiografica è influenzata principalmente dalla quantità dei raggi X che raggiungono la pellicola.
La quantità dei raggi X, come abbiamo già detto nella seconda lezione, è regolata sia attraverso l’intensità (mA) sia attraverso il tempo di esposizione (secondi), perciò, più correttamente, si utilizza il prodotto dei due fattori (mAs).
La densità radiografica può essere modificata anche incrementando l’energia dei raggi X, cioè la loro capacità di penetrazione.
Questo fattore viene regolato dalla differenza di potenziale (kV) tra i due elettrodi del tubo radiogeno.
Come è possibile vedere nello schema (fig. 11), la stessa quantità di raggi X può annerire in maniera differente la pellicola se viene modificata la loro energia.
In linea generale, è preferibile non intervenire sulla densità di un radiogramma aumentando i kV perché, come abbiamo visto in precedenza, aumentando l’energia dei raggi X aumentano le radiazioni diffuse generate attraverso l’effetto Compton e, come vedremo più avanti, i kV modificano anche il contrasto radiografico.
Dimezzando la distanza tra il fuoco e l’oggetto si quadruplica la quantità di raggi X per unità di superficie.
Raddoppiando la distanza si riduce a 1/4 la quantità di raggi X per unità di superficie.
Teoricamente, la densità radiografica potrebbe essere modificata anche riducendo la distanza tra il tubo (ovvero il fuoco) e la pellicola. Ma, come è facilmente intuibile, è meglio evitare di utilizzare questa opzione in quanto ciò comporterebbe un incremento inaccettabile dell’irradiamento del paziente.
Raddoppiando o dimezzando i mA o il tempo di esposizione, si raddoppia o si dimezza la densità originaria del radiogramma.
Esempi
Riducendo 200 mA a 100 mA si dimezza la densità originaria.
Aumentando 1/30 di sec a 1/15 si raddoppia la densità originaria.
Nell’esempio (fig. 12) abbiamo un radiogramma poco denso (ovvero sottoesposto) di una tartaruga: la scarsa densità è testimoniata anche dal mancato annerimento della pellicola nelle aree al di fuori del paziente. In questo caso, se, ad esempio, il radiogramma era stato ottenuto con 42 kV e 2 mAs, bisogna raddoppiare questi ultimi per ottenere una giusta densità.
Anche modificando i kV si modifica la densità:
Nell’esempio (fig. 14) abbiamo una radiografia troppo densa (sovraesposta) dell’addome di un cane. Se essa era stata ottenuta con 90 kV e 8 mAs, riducendo del 10% i kV e, quindi, utilizzando 80 kV e 8 mAs dimezzeremo la densità rendendo visibili anche gli organi endoaddominali.
Un altro concetto importante nelle immagini radiografiche è il contrasto. Come ricorderemo, per contrasto si intende la possibilità di poter distinguere due punti contigui sulla base della loro differenza cromatica (differente tonalità di grigio). Potremo, perciò, avere immagini radiografiche molto contrastate, immagini, cioè, in cui le differenze cromatiche sono molto evidenti, ed immagini poco contrastate, immagini nelle quali le differenze tra i vari punti sono più sfumate.
Per chiarire il concetto di contrasto, si riportano due immagini esemplificative:
Poco contrasto: scala dei grigi intermedi tra il bianco ed il nero lunga (fig. 16).
Molto contrasto: scala dei grigi intermedi tra il bianco ed il nero corta (fig. 17).
… e come, questo concetto, si traduce in una immagine radiografica del ginocchio di un cane in proiezione cranio-caudale (fig. 18 e 19).
Il contrasto radiografico è influenzato:
La radiazione diffusa, gli schermi di rinforzo e la pellicola verranno trattati nelle prossime lezioni. Di seguito, ci occuperemo dei primi tre punti.
Il contrasto inerente il soggetto, come abbiamo già detto in precedenza, dipende sia dalla densità atomica sia dallo spessore dei tessuti attraversati dai raggi X.
Il contrasto inerente il soggetto influenza sempre ogni radiogramma. Nell’immagine (fig. 20) è evidente sia il contrasto dato dalla differente densità atomica tra osso e tessuti molli (*) sia quello derivante dal differente spessore dei tessuti molli (°).
Il contrasto radiografico è influenzato principalmente dai kV.
A dimostrazione di questa affermazione è possibile eseguire una prova: un cuneo di alluminio fatto a gradini viene radiografato in successione utilizzando sempre gli stessi mAs mentre, invece, vengono modificati, con incrementi di 10 unità per volta, i kV. Come è possibile vedere (fig. 21 e 22), quando si utilizzano bassi kilovoltaggi, la transizione tra il bianco ed il nero avviene con un basso numero di grigi intermedi (cioè sono riconoscibili solo pochi gradini del cuneo); quando, invece, si utilizzano elevati kilovoltaggi, sono visibili molti livelli di grigi intermedi (ovvero i gradini del cuneo).
Pertanto, con bassi kV abbiamo immagini RX molto contrastate, mentre con alti kV immagini poco contrastate (immagini con ampia latitudine di grigi).
Un immagine radiografica è una riproduzione della densità dei tessuti attraversati dai raggi X. In teoria, una distribuzione uniforme dei raggi X permetterebbe una riproduzione geometricamente fedele delle varie strutture anatomiche. In pratica, sebbene il grado di penetrazione dipenda dall’energia posseduta, il numero di raggi X che inciderà sulla pellicola, entro certi limiti, varia in maniera casuale. Questa casualità viene definita “rumore quantico” (cioè, formato da quanti di energia) e riduce il contrasto radiografico.
A dimostrazione di ciò, si consideri una piccola area della pellicola e questa, a sua volta, la si divida ulteriormente in parti uguali. Ipotizziamo due situazioni, una in cui sull’area incidano fotoni di energia media 100 e l’altra in cui incidano fotoni di energia media 1000: aumentando l’energia dei raggi X, aumenta la variazione casuale rispetto alla media, in termini assoluti, ma, in effetti, essa diminuisce in termini percentuali.
Quindi, aumentando l’energia dei raggi X si riduce il rumore quantico. Bisogna, però, ricordare che i raggi X più energetici sono più dannosi per il paziente e per gli operatori ed, inoltre, aumentano la radiazione diffusa. Per questo, sarà necessario operare un compromesso tra il contenimento del rumore quantico, l’esposizione del paziente e la riduzione della radiazione diffusa.
In generale, quando si studia lo scheletro si tende ad ottenere immagini molto contrastate (idealmente vorremmo che si vedesse solo il tessuto osseo). Per fare ciò si utilizza una tecnica con elevati mAs e bassi kV.
Nell’esempio, la correzione del radiogramma (fig. 23) viene ottenuta mantenendo i kV bassi (per avere un contrasto elevato) mentre raddoppieremo i mAs (per raddoppiare la densità radiografica). In pratica, se il radiogramma poco denso e poco contrastato era stato ottenuto con 10 mAs e 60 kV per correggerlo porteremo i mAs a 20.
Quando si studiano distretti quali il torace o l’addome, è necessario utilizzare una tecnica con elevati kV e bassi mAs così da ottenere immagini poco contrastate nelle quali la scala dei grigi lunga permette di vedere anche le strutture meno dense come i vasi polmonari più sottili.
Nell’esempio riportato, la correzione del radiogramma (fig. 25) sovraesposto è ottenuta riducendo i mAs mentre i kV saranno mantenuti alti. In pratica, se il radiogramma troppo denso e troppo contrastato era stato ottenuto con 6 mAs e 80 kV per correggerlo dimezzeremo i mAs.
Riassumendo: I mAs e i kV devono bilanciarsi: l’aumento o la riduzione dell’uno e dell’altro fattore verrà effettuato sulla base del risultato da raggiungere e della struttura anatomica da studiare. Aggiustando i fattori di esposizione in questo modo, si otterranno radiogrammi con il giusto grado di densità e contrasto.
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