Con la diffusione ed il costante progresso dei computer, in termini di potenza di calcolo e di riduzione delle dimensioni (processo il cui inizio possiamo arbitrariamente fissare intorno agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso), si sono affermate delle tecnologie nelle quali era fondamentale l’apporto di queste macchine.
Nella Radiologia, la Tomografia Computerizzata è stata la prima tecnica basata sui calcoli di un computer e rappresentata da immagini cosiddette “digitali” perché costituite esclusivamente da numeri, a loro volta derivanti dalle informazioni di tipo binario (acceso/spento) su cui poggiano tutti i processi di calcolo degli elaboratori elettronici.
Intorno alla metà degli anni ‘80, la Fuji introduceva sul mercato una nuova tecnologia, la Radiografia Computerizzata (Computerized Radiography – CR), basata sui fosfori fotostimolabili (Photo Stimulable Phosphors – PSP), in grado di dare immagini radiografiche digitali. Nasceva così una nuova branca della Radiologia, la Radiologia Digitale e per questo, le tecniche tradizionali basate sul sistema pellicola-schemi di rinforzo (Radiografia) e sullo schermo+monitor analogico (Radioscopia) venivano da quel momento in poi comprese nella cosiddetta Radiologia Convenzionale o Tradizionale.
Le radiografie digitali, al pari di tutte le immagini digitali, sono basate su una matrice, nella quale l’immagine viene scomposta in un numero finito di unità elementari di superficie dette pixel (PIcture ELement).
In una matrice tanto più piccoli sono i pixel, tanto più dettagliata appare l’immagine. La figura 1 dimostra come le piccole dimensioni dei pixel che la costituiscono la facciano sembrare accettabile da un punto di vista del dettaglio. Tuttavia, è sufficiente un piccolo ingrandimento dell’immagine affinché la sua bassa risoluzione spaziale divenga evidente.
Quindi, la risoluzione spaziale delle immagini digitali è definita non solo dalla grandezza ma anche dal numero dei pixel che la costituiscono. La risoluzione spaziale delle immagini digitali può, perciò, essere espressa in numero di pixel per unità di superficie (dot per inch – dpi).
L’immagine radiografica, come abbiamo detto all’inizio del corso, è di tipo analogico perciò costituita da un numero teoricamente infinito di punti. In realtà, le cose non stanno così: anche l’immagine su pellicola è fatta da un numero finito di punti i quali, sempre in linea teorica, potrebbero avere un diametro pari al diametro dei cristalli di bromuro di argento dell’emulsione (2μm). In effetti, la risoluzione spaziale di un’immagine radiografica su pellicola è molto più bassa perché, come ricorderemo, l’impressionamento della pellicola avviene soprattutto ad opera dello strato di cristalli di fosfori degli schermi di rinforzo e ciò comporta che ad ogni singolo raggio X corrisponda l’illuminazione di un’area della pellicola ben più ampia del diametro del singolo cristallo di Bromuro di Ag.
Tradizionalmente, la risoluzione spaziale di una immagine radiografica viene espressa in paia di linee per millimetro (line pairs/mm – lp/mm) (cioè, quante paia di linee, una bianca e una nera, è possibile distinguere nell’unità di riferimento). Nella Radiografia Convenzionale su pellicola, la risoluzione spaziale di un sistema pellicola-schermo medio, è di circa 6 lp/mm mentre può arrivare a 20 lp/mm nei sistemi usati per le mammografie.
Nella Radiologia Digitale la risoluzione spaziale è più bassa se comparata alla Radiologia Convenzionale e nei sistemi attualmente più diffusi essa è compresa tra 2 e 5 lp/mm.
Oltre alla matrice e, quindi, alle dimensioni dei pixel, l’immagine digitale si caratterizza per la profondità della scala cromatica.
La profondità cromatica (nel caso delle immagini diagnostiche, solitamente, nella scala dei grigi) nella Radiologia Convenzionale può essere considerata infinita in quanto il passaggio da un grigio ad un altro avviene in maniera continua, nella Radiologia Digitale è costituita da un numero finito di passaggi discreti. Il numero dei grigi che costituiscono un’immagine radiografica digitale viene determinato dalla quantità di bit disponibili per la codifica (vedi la tabella, fig. 3).
L’occhio umano, in effetti, è in grado di “percepire” solo circa 32 livelli di grigio: una scala cromatica dal nero assoluto al bianco assoluto divisa in più di 32 “gradini” verrebbe percepita dai nostri occhi come una transizione di tipo continuo. Tuttavia, la presenza di “gradini” più piccoli è, comunque, importante perché questa informazione, grazie a software ad hoc, può essere esaltata aumentando così il contenuto informativo da un punto di vista diagnostico. Nella Radiologia Digitale le informazioni sui livelli di grigio vanno da un minimo di 256 livelli fino a oltre 16.000 nei sistemi più recenti. Questo significa che le immagini radiografiche o radioscopiche digitali possiedono un contrasto enormemente maggiore rispetto alle immagini ottenute con le tecniche convenzionali.
I rivelatori utilizzati nella Radiologia Digitale presentano sempre una risposta “lineare”, direttamente proporzionale all’energia dei raggi X con i quali interagiscono (range dinamico).
Nelle immagini digitali è possibile effettuare delle modifiche dopo che è stata fatta l’acquisizione (post-processing). Ad esempio, è possibile modificare la distribuzione dei grigi e, quindi, correggere errori in eccesso (sovraesposizioni) o in difetto (sottoesposizioni) della densità. I sistemi convenzionali basati su pellicole e schermi hanno, invece, un grado di contrasto inerente molto limitato (latitudine).
Quindi, sebbene la risoluzione spaziale sia inferiore, le immagini digitali hanno un ampio range dinamico. Le immagini analogiche su pellicola, invece, presentano uno stretto range dinamico (contrasto inerente) (vedi Lezione 5) per cui gli errori in fase di esposizione determinano la formazione di radiogrammi sovra- o sottoesposti.
Nelle immagini (fig. 4, 5 e 6) viene visualizzata, attraverso un grafico ad istogrammi, la distribuzione dei grigi in un’immagine radiografica: sull’asse delle ascisse vi sono i livelli di grigio, dal nero a sinistra fino al bianco a destra; sull’asse delle ordinate vi sono le frequenze (numero dei pixel) di un determinato grigio.
Come si può notare, nella RX sovraesposta (fig. 4), i grigi sono concentrati verso sinistra, quindi verso il nero, mentre nell’immagine sottoesposta (fig. 6) avviene il contrario.
Come abbiamo detto, su un’immagine digitalizzata, entro certi limiti, è possibile correggere un errore di esposizione modificando la distribuzione dei grigi: in pratica, tagliando le aree prive o con scarse quantità di grigi, si agisce sul contrasto; spostando il centro dei livelli si agisce sulla luminosità.
Nelle immagini (fig. 7 e 8 ) viene ripresentata in alto la radiografia sovraesposta del torace con il suo istogramma dei livelli di grigio e, in basso, la stessa radiografia dopo la correzione della distribuzione dei grigi (cioè, del contrasto e della luminosità). Come si può vedere, l’immagine è diventata accettabile da un punto di vista diagnostico.
Quindi, nella Radiologia Digitale, l’immagine radiografica o radioscopica viene visualizzata direttamente sul monitor di un computer. La risposta dei sensori è di tipo lineare e questo significa che, entro certi limiti, è possibile ottenere delle immagini diagnostiche anche con esposizioni inferiori di raggi X.
Pertanto, l’adozione di un sistema di Radiografia/Radioscopia Digitale può portare diversi vantaggi:
È possibile digitalizzare anche un’immagine analogica su pellicola mediante uno scanner per trasparenze. Sebbene questo processo determini una certa degradazione dell’immagine originale (soprattutto per la risoluzione spaziale), in questo modo è possibile creare un archivio più compatto, in termini di ingombro, e dal quale è molto più semplice e veloce ritrovare l’immagine desiderata a scopo clinico, didattico o scientifico.
Attualmente la Radiologia Digitale (o Radiografia/Radioscopia Digitale) presenta diverse tecnologie. Le più diffuse sono basate su:
Comunemente, si parla di Computer Radiography (CR), nel caso delle piastre di fosfori fotostimolabili e di Digital Radiography (DR), nel caso delle tecnologie basate su CCD e TFT.
Queste tecnologie sono anche distinte in tecniche Indirette e Dirette. Le tecniche indirette sono quelle in cui la trasformazione dei raggi X in informazione digitale avviene attraverso la mediazione di materiali fluorescenti (come per gli schermi di rinforzo). Le tecniche dirette, invece, sono quelle in cui i raggi X stimolano dei materiali semiconduttori nei quali determinano una condizione (+ o -) direttamente interpretabile dai computer.
I rivelatori utilizzati nella CR sono dei fosfori analoghi a quelli utilizzati per gli schermi di rinforzo, ma con la capacità di conservare in parte l’energia trasferita dai raggi X (sensori a memoria): mentre nei fosfori convenzionali la radiazione X assorbita viene quasi totalmente trasformata in luce visibile mediante il fenomeno dell’eccitazione (passaggio di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione e viceversa con emissione di un fotone luminoso), nei fosfori a memoria, oltre alla “fluorescenza” immediata (non utilizzata), i raggi X determinano il trasferimento degli elettroni posti nella banda di valenza (A) prima nella banda di conduzione e poi in “centri di cattura” o “trappole” (B) dove restano per un periodo di tempo variabile (nell’ordine di qualche ora) “immagazzinati” (fig. 9). La piastra impressionata ha, a questo punto, un’immagine latente. Successivamente (C ), per svelare l’immagine si utilizza uno scanner dove una luce laser fa “cadere” gli elettroni intrappolati nel loro orbitale di origine determinando così, durante questo processo la cessione dell’energia superflua sotto forma di radiazione luminosa che viene registrata da un fotomoltiplicatore e, grazie alle coordinate x-y, tradotta in un impulso elettrico e, quindi, in un pixel.
Vantaggi:
Svantaggi:
La tecnologia basata sui Charge Coupled Device (CCD), fin dal momento della sua invenzione (nel 1969 presso i laboratori Bell), è stata da subito utilizzata per la costruzione di telecamere e fotocamere. Questa tecnologia si basa su un circuito integrato formato da una riga o da una griglia di elementi semiconduttori (photosite) in grado di accumulare una carica elettrica (charge) proporzionale all’intensità della radiazione elettromagnetica che li colpisce. Gli elementi sono accoppiati (coupled) tra loro così che, quando uno di essi viene sollecitato, trasferisce la propria carica ad un elemento adiacente. Questi impulsi sono temporizzati in sequenza in maniera da ottenere, in uscita, un segnale elettrico dal quale è possibile ricostruire la matrice dei pixel (sequenza di impulsi) dell’immagine.
La tecnologia basata sui CCD presenta dei vantaggi e degli svantaggi: i vantaggi risiedono nell’estrema rapidità di risposta degli elementi e nella loro sensibilità di risposta anche a raggi X di bassa energia; lo svantaggio principale è il costo per cui le matrici disponibili, date le dimensioni contenute, presentano una risoluzione spaziale notevolmente ridotta rispetto alle altre tecnologie. Per questo motivo, la tecnologia CCD ha trovato maggiore impiego nella Radioscopia Digitale.
La Digital Radiography (DR) è prevalentemente basata su matrici di Thin Film Transistor (TFT), in italiano transistor a pellicola sottile (la stessa tecnologia che viene applicata ai monitor e alle TV a cristalli liquidi). Il vantaggio più evidente di questa tecnologie risiede nella possibilità di realizzare pannelli di grandi dimensioni, con un alto numero di dot, pixel. I sistemi attualmente più diffusi sono quelli indiretti nei quali il TFT è accoppiato a fotodiodi e coperto da uno strato di fosfori. Il materiale scintillatore più utilizzato è lo Ioduro di Cesio attivato al Tallio (CsI:Tl) che presenta il vantaggio di essere costituito da cristalli a forma di piccoli “aghi” disposti in maniera parallela tra loro: in questo modo la luce generata dall’interazione con i raggi X tende a mantenersi nell’ambito di un singolo cristallo migliorando così la risoluzione spaziale dell’immagine.
La risoluzione spaziale, tuttavia, è limitata dalle dimensioni dei singoli transistor: attualmente le dimensioni più piccole del pixel raggiunte nei sistemi basati su TFT è di 127μm. Nei sistemi diretti il TFT è accoppiato ad uno strato di selenio amorfo (a-Se) che è un materiale semiconduttore nel quale i raggi X generano delle coppie di cariche che possono poi essere direttamente interpretate dai transistor del TFT senza l’intermediazione del materiale scintillatore e del fotodiodo. Il principale vantaggio dei sistemi diretti risiede nella migliore risoluzione spaziale e nella perfetta corrispondenza tra raggio X e pixel (quindi la possibilità di poter effettuare calcoli sull’attenuazione del fascio analoghi a quelli della TC). Il principale svantaggio, a parte i costi, è rappresentato dalla minore densità atomica del Selenio e, quindi, dalla necessità di aumentare i parametri di esposizione per aumentare le probabilità di interazione con i raggi X.
Vantaggi:
Svantaggi:
Di recente sono stati messi a punto dei sistemi di DR indiretta portatili e dai costi relativamente contenuti. Questi sistemi stanno ottenendo un certo successo nell’ambito della Radiologia Equina, grazie alla loro estrema flessibilità d’uso.
Le immagini digitali ottenute con qualsiasi tecnica di Diagnostica per Immagini vengono salvate nello standard DICOM (Digital Imaging and Communications in Medicine). Lo standard DICOM definisce i criteri per la comunicazione, la visualizzazione, l’archiviazione e la stampa dei file di Diagnostica per Immagini.
Lo standard DICOM è pubblico e rappresenta la modalità software di codifica dei file di imaging medico utilizzato in tutto il mondo e da tutti i costruttori di attrezzature di Diagnostica per Immagini.
Un file DICOM ha due parti:
Le immagini digitali possono essere sottoposte a procedure di elaborazione (post-processing) per un’analisi quantitativa del contenuto informativo (es. misure di densità, misure di funzioni) per valutazioni morfometriche (dimensioni lineari, angoli, aree, volumi), per l’elaborazione di ulteriori immagini.
Esistono molte applicazioni in grado di leggere ed elaborare le immagini DICOM, per tutti gli ambienti operativi più diffusi (Linux, Macintosh e Windows). La gran parte di questi applicativi sono proprietari, appartengono, cioè, alla casa che commercializza un dato sistema di Radiologia Digitale. Esiste, comunque, un ottimo lettore DICOM freeware che si chiama OSIRIX che funziona con MacOS anche su iPOD.
Le immagini digitali possono essere archiviate anche in copie multiple, occupando spazi fisici minori rispetto alle immagini su pellicola o su carta.
Un archivio digitale collegato ad un efficiente sistema di registrazione delle immagini, ne consente un recupero rapido per controlli a distanza di tempo, revisione dei casi e anche per la preparazione di materiale didattico.
I supporti per l’archiviazione devono essere resistenti (CD, DVD, MOD, nastri magnetici).
Nelle moderne strutture ospedaliere si utilizza un protocollo di archiviazione denominato PACS (Picture Archiving and Communications System) che permette la condivisione dell’archivio della Radiologia con gli altri dipartimenti clinici e non.
Le immagini digitali possono essere trasmesse sia nell’ambito di reti locali (INTRANET) sia nell’ambito di reti esterne (INTERNET). Questo rende possibile, come abbiamo già detto, la condivisione delle immagini radiografiche (ma non solo) nell’ambito di un Ospedale, una Clinica, diversi Dipartimenti Clinici (sistemi PACS), quindi in una rete locale Intranet. È possibile anche inviare l’immagine all’esterno della struttura in cui è stata acquisita tramite Internet, ad esempio per teleconsulti.
Ci occuperemo di Radiobiologia e Radioprotezione.
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