La Risonanza Magnetica (RM) (sinonimi: Risonanza Magnetica Nucleare – RMN; Tomografia a Risonanza Magnetica – TRM) produce immagini di tipo tomografico digitale utilizzando campi magnetici e radiofrequenze (non utilizza radiazioni ionizzanti!).
La RM è una tecnica di Imaging multiparametrica e multiplanare, che permette di acquisire immagini su piani sagittali, dorsali o trasversali senza spostare il paziente.
Anche se nella denominazione della tecnica è presente il termine “nucleare”, la RM non va confusa con le metodiche di Medicina Nucleare. Per questo, comunemente, si preferisce omettere il termine nucleare e utilizzare solo “Risonanza Magnetica”.
Nel 1946 i fisici americani Felix Bloch ed Edward Purcell, studiando i protoni, scoprirono il fenomeno della risonanza e, per questo, nel 1952 ricevettero il premio Nobel per la Fisica. Inizialmente, il fenomeno della risonanza magnetica nucleare venne utilizzato per studiare la struttura chimica delle sostanze. Nel 1973 Paul Lauterbur, quasi per caso, si trovò a che fare con un campo magnetico alterato dall’irregolarità in uno dei magneti e, cercando di comprendere lo strano fenomeno provocato dall’incidente tecnico, scoprì l’importanza dei gradienti applicati ai campi magnetici al fine di ottenere delle immagini. Peter Mansfield perfezionò ulteriormente la tecnica introducendo variazioni più forti in campi magnetici più potenti, ottenendo così immagini molto più dettagliate.
Nel 2003 Paul C. Lauterbur e Peter Mansfield ricevettero il premio Nobel per la Medicina.
(Alla base della formazione delle immagini RM vi sono complessi fenomeni fisici. Di seguito, ne verrà fatta una descrizione semplificata ma, si spera, comprensibile. Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento potrà utilizzare i link presenti nei Materiali di Studio di questa lezione).
I responsabili del segnale che è alla base della formazione delle immagini RM sono i protoni.
I protoni e, quindi, la loro carica elettrica, ruotano attorno ad un asse (si dice che hanno uno spin) generando un microscopico campo magnetico. Normalmente, questi microscopici campi magnetici sono orientati casualmente e, perciò, il vettore magnetico risultante dalla loro somma è nullo.
Se sottoposti ad un forte campo magnetico esterno stazionario (B0), l’asse dei protoni si orienterà lungo il campo stesso. Questo orientamento può avvenire o nella stessa direzione di B0 (in maniera parallela, cioè con basso livello energetico) o con direzione opposta (in maniera antiparallela, cioè con alto livello energetico).
I protoni paralleli sono leggermente prevalenti rispetto a quelli antiparalleli. Questa piccola prevalenza produce una magnetizzazione risultante M, orientata parallelamente a B0 e misurabile. Inoltre sempre per effetto di B0, l’asse di ciascun protone ruota attorno alla direzione del momento di B0 (precessione). I movimenti di precessione possono essere paragonati alle oscillazioni di una trottola.
La frequenza di precessione è caratteristica di ogni elemento atomico (frequenza di Larmor). I protoni utilizzati per produrre immagini RM sono quelli dell’Idrogeno che, naturalmente, abbondano nei tessuti viventi, in particolare quelli ricchi di acqua. Per mettere in risonanza i protoni dell’Idrogeno, si invia un’onda radio con frequenza pari alla frequenza di Larmor per l’Idrogeno (ad esempio, per un campo di 1 Tesla*, essa è pari a 42 MHz). Mettere in risonanza un protone significa fornirgli energia (è un fenomeno analogo alla spinta che diamo ad un’altalena che, se data al momento giusto, fa aumentare l’ampiezza delle oscillazioni).
* 1 Tesla = 10.000 Gauss (campo magnetico terrestre = 0,5 Gauss!; un magnetino ha un campo di circa 10 Gauss! un apparecchio RM di 1,5 T equivale a circa 30.000 volte quello terrestre!)
Inviando l’impulso di radiofrequenza (RF) sugli atomi compresi nel campo magnetico si determinano principalmente due cose:
1) la sincronizzazione dei protoni nella stessa fase di precessione (ruotano non solo alla stessa frequenza ma anche in maniera coordinata); quando i protoni precedono in fase tra loro, si genera un vettore di magnetizzazione trasversale, che ruota nel piano x-y. Questo vettore, a sua volta, genera una piccola corrente rilevabile nel circuito ricevente (antenna); un impulso RF capace di spostare la magnetizzazione M sul piano x-y viene definito impulso di 90°.
2) il passaggio di alcuni protoni dal livello energetico basso (paralleli a B0) al livello energetico alto (antiparalleli a B0).
Un impulso RF di durata o intensità doppia rispetto a quello di 90°, è in grado di ribaltare il vettore di magnetizzazione M in posizione antiparallela rispetto a B0 ed è perciò detto impulso di 180°.
Una volta cessato l’impulso RF si verifica:
1) la progressiva desincronizzazione della precessione dei protoni, con conseguente decadimento della magnetizzazione trasversale;
2) il ritorno ad un livello energetico basso da parte dei protoni che avevano subito un’inversione di 180°.
In ambedue i casi si parla di rilassamento durante il quale si generano degli impulsi misurabili tramite una bobina che funge da antenna ricevente.
Il rilassamento dei protoni avviene con due costanti di tempo distinte:
*Il reticolo (o lattice) è il sistema di atomi e molecole in moto di cui fanno parte gli spins.
Ponendo nel piano x-y una bobina ricevente, il moto del vettore M induce ai capi di questa una forza elettromotrice, che rappresenta il segnale RM. L’andamento di questo segnale, chiamato FID (free induction decay) decade con una costante di tempo pari a T2 e con intensità proporzionale alla grandezza della magnetizzazione trasversale.
Il segnale RM dipende dai parametri T1, T2, e dal numero totale di protoni provvisti di spin per unità di volume (densità protonica – DP).
Scegliendo opportunamente la sequenza di impulsi RF è possibile imporre al sistema di spins una determinata dinamica, così da ottenere l’informazione dal segnale RM. I parametri che influenzano il risultato dell’immagine sono i tempi Time to Repeat (TR) e Time of Echo (TE) che possono essere lunghi o brevi. Mediante la combinazione di TR e TE lunghi o brevi, si avranno immagini pesate in T1, in T2 o in DP.
Esistono molti tipi di sequenze, quelle più utilizzate sono la Spin Echo (SE), la Inversion Recovery (IR) e la Gradient Echo (GE).
Il T1 o tempo di rilassamento longitudinale è una misura del tempo richiesto ai protoni per tornare alle condizioni di equilibrio iniziale, grazie alla cessione di energia al microambiente circostante (reticolo). Per ottenere una sequenza SE T1-pesata, si usa un TR breve associato ad un TE breve.
La velocità del T1 dipende da numerosi fattori, tra cui l’intensità del campo B0 (cresce all’aumentare di questo) e le dimensioni della molecole (ad esempio, il DNA o i liquidi hanno un T1 lungo, i lipidi breve).
Mediamente, i tessuti viventi immersi in un campo magnetico di intensità 0,1-0,5 T hanno un T1 compreso tra 300 e 700 millisecondi.
Nelle immagini T1-pesate il liquido cefalo-rachidiano è scuro mentre il grasso è brillante. Le strutture del SNC (sostanza bianca e grigia) hanno dei segnali di intensità intermedia.
Il T2 o tempo di rilassamento trasversale è una misura del tempo impiegato dallo spin dei protoni per desincronizzarsi. Questa progressiva desincronizzazione determina l’annullamento della magnetizzazione trasversale (nel piano x-y, perpendicolare ai piani che attraversano z).
Per ottenere una sequenza SE T2-pesata, si usa un TR lungo associato ad un TE lungo.
L’efficienza di T2 dipende da vari fattori come ad esempio le dimensioni delle molecole: più la molecola è piccola più lungo sarà il tempo di desincronizzazione; grosse molecole hanno T2 più brevi.
L’acqua ha, quindi, un T2 lungo. Nei tessuti biologici il T2 è compreso tra 50 e 150 millisecondi. A differenza del T1, il T2 è poco influenzato dalla potenza di B0.
I liquidi o, comunque, i tessuti molto idratati, appaiono bianchi brillanti nelle immagini T2-pesate.
La densità dei protoni provvisti di spin ed in precessione in un determinato volume è alla base della formazione delle immagini dette appunto di Densità Protonica (DP).
Per ottenere una sequenza SE DP-pesata, si usa un TR lungo associato ad un TE breve.
Le immagini DP presentano una risoluzione di contrasto molto inferiore alle immagini T1 o T2 pesate, in quanto tessuti anche molto diversi tra loro possono presentare una densità protonica simile.
Bisogna, infine, dire come l’apparecchio di RM ricostruisce l’immagine. Alla base di questo processo ci sono delle bobine (una per ogni piano geometrico) situate internamente al magnete principale: in queste bobine il campo non è omogeneo ma presenta un gradiente. Così, in ogni punto del campo, il segnale sarà sempre lievemente diverso da quello proveniente da un altro punto: in questo modo è possibile stabilire da quale punto dello spazio proviene il segnale.
Il gradiente viene modificato in maniera progressiva, di un grado alla volta per 360°, successivamente, mediante la trasformata di Fourier, l’immagine viene ricostruita lungo il piano attraverso il quale è stato impostato il gradiente. Grazie a questa particolarità metodologica, si possono ottenere piani di scansioni a piacere senza la necessità di spostare il paziente.
Gli apparecchi di RM possono essere distinti in “chiusi” o “aperti” a seconda della conformazione geometrica delle bobine o dei magneti. Gli apparecchi chiusi, esternamente, somigliano agli apparecchi TC: la principale differenza risiede nella profondità del tubo in cui viene inserito il paziente, più breve nel caso della TC, più lunga nel caso della RM. In entrambe, il paziente, su un lettino motorizzato, viene inserito in un anello. Gli apparecchi aperti, di solito a magnete permanente, sono in grado di sviluppare campi magnetici di minore intensità.
Appunto, sulla base dell’intensità del campo magnetico gli apparecchi possono anche essere distinti in: ad alto campo (≥ 1.5T); a medio campo (0,5-1T); a basso campo (≤ 0.5T).
Per generare il campo magnetico possono essere utilizzati magneti di tipo permanente, resistivo o superconduttivo.
Le antenne (o bobine) utilizzate per studiare un distretto anatomico possono essere doppie (una per l’emissione e una per la ricezione) o singole (sia emittenti che riceventi).
La preparazione ed il posizionamento del paziente sono analoghi a quelli adottati per gli studi TC.
La differenza fondamentale consiste nell’uso di materiali, apparecchi ed accessori di anestesia non metallici.
Paziente posizionato in un apparecchio RM aperto. Fonte: Aisti
Lo studio RM viene impostato in maniera simile a quello TC. Dopo aver ottenuto un’immagine scout attraverso un determinato piano, si decide lo spessore e l’orientamento delle fette.
Nella valutazione delle immagini RM si tiene conto degli aspetti morfologici (forma, dimensioni, margini, posizione) e dell’intensità del segnale delle strutture nelle varie sequenze (isointenso, ipointenso, iperintenso).
Come per altre tecniche di Diagnostica per Immagini le lesioni vengono caratterizzate anche sulla base della loro estensione (alterazioni focali, alterazioni diffuse).
La RM è indicata nello studio dei tessuti molli.
A causa della sua minore disponibilità su territorio ed in Medicina Veterinaria, essa è considerata una tecnica di terzo livello (cioè, utilizzata dopo che siano state impiegate altre tecniche più semplici, più diffuse o meno costose, quali la radiografia o l’ecografia).
La RM è particolarmente indicata nello studio del sistema nervoso centrale, delle cartilagini e dei legamenti articolari, del sistema cardio-circolatorio.
Anche per la RM esistono dei mezzi di contrasto (mdc) utilizzati per modificare le proprietà magnetiche dei tessuti.
I mdc utilizzati in RM vengono distinti in mdc paramagnetici e mdc superparamagnetici.
Mdc paramagnetici: presentano una distribuzione non selettiva (gadolinio), vengono escreti dal sistema epatobiliare e vengono somministrati per via parenterale; questi mdc abbreviano sia T1 che T2, aumentando l’intensità del segnale in T1 e riducendola in T2; per questo, solitamente, quando si somministra un mdc paramagnetico, le immagini vengono acquisite in T1.
Mdc superparamagnetici: materiali quali, ad esempio, l’ossido di ferro agiscono solo su T2, abbreviandolo e riducendone l’intensità di segnale.
* dagli anni ‘90 vengono utilizzati sempre più spesso materiali RM-compatibili sebbene occorra conoscere, per ogni materiale utilizzato, fino a quanti Tesla è da considerarsi RM-compatibile.
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