Un artefatto ecografico può essere definito come una informazione falsa, multipla o distorta generata dalla macchina o dalla interazione degli ultrasuoni con i tessuti.
Come abbiamo detto nell’introduzione delle lezioni dedicate all’ecografia, l’ecografia è strettamente operatore-dipendente. Uno dei motivi che rendono particolarmente difficile l’esecuzione dell’esame e la sua interpretazione è la frequente presenza di immagini artefattuali.
Gli artefatti ecografici si formano perché non sempre sono vere le seguenti assunzioni di principio:
Comunque, in ecografia, gli artefatti possono, a volte, essere utili elementi d’interpretazione.
Per questo è possibile parlare di artefatti “buoni”, nel senso che forniscono informazioni utili per la diagnosi, ed artefatti “cattivi”, che, invece, possono portare a diagnosi incorrette o completamente errate.
Alla categoria degli artefatti “buoni” appartengono il rinforzo di parete posteriore, l’ombra acustica posteriore ed alcuni tipo di riverberi, quali, ad esempio, il ring down artifact.
Alla categoria dei “cattivi” appartengono la rifrazione, le immagini a specchio, l’anisotropismo, il range-ambiguity, gli artefatti da lobi laterali, da cambiamento della velocità, da volume parziale, il Doppler-aliasing.
Gli ultrasuoni che attraversano una raccolta liquida omogenea, non producono echi e, per questo, si attenuano poco. A lato della raccolta liquida, invece, il fascio subisce i normali fenomeni di riflessione, rifrazione e attenuazione.
Distalmente alla raccolta liquida, perciò, arrivano ultrasuoni più intensi di quelli che non hanno attraversato la raccolta stessa: i tessuti situati posteriormente alla raccolta liquida emetteranno, quindi, echi molto più intensi rispetto ai circostanti apparendo più ecogeni.
Questo artefatto può aiutare a distinguere (non sempre!) una lesione cistica da un nodulo solido ipoecogeno.
Interfacce con impedenze acustiche marcatamente diverse possono causare la completa riflessione del fascio ultrasonoro. Tale fenomeno produce, distalmente alla superficie iperriflettente, una zona priva di echi, scura, detta “cono d’ombra posteriore”.
Il cono d’ombra posteriore (sin. “ombra acustica posteriore”) può essere prodotto da calcoli, gas, strutture ossee e strutture fibrose dense (cicatrici).
Oggetti con superfici iperriflettenti lisce o accumuli di piccoli oggetti iperriflettenti hanno un’ombra acustica posteriore “pulita” (nel senso di molto anecogena, ovvero, nera).
Oggetti piccoli con superficie irregolare od oggetti o sostanze meno densi hanno, invece, un’ombra acustica posteriore “sporca” (cioè, non completamente anecogena).
Le riverberazioni sono prodotte da strutture (gas, osso, parete prossimale di una raccolta liquida), che producono una forte riflessione degli US, tale che questi colpiscono il trasduttore e da questo vengono inviati nuovamente nei tessuti: questo percorso viene effettuato più volte, dando origine a riflessioni multiple tra oggetto e trasduttore, che determinano una serie di bande ecogene distanziate tra loro da un intervallo costante, pari alla distanza tra oggetto e sonda, e con intensità decrescente.
Il ring down artifact è un particolare tipo di artefatto da riverberazione che si produce in seguito a riflessioni multiple che avvengono tra parete posteriore ed anteriore di un oggetto (“ringing” = vibrare come un campanello elettrico). Queste riflessioni multiple producono una serie di echi paralleli e assai vicini tra loro, realizzando un’immagine assai caratteristica detta “a coda di cometa”.
Questo artefatto si verifica quando viene insonata una struttura di piccole dimensioni e ad elevata impedenza acustica quali piccole bolle gassose, microcalcificazioni, cristalli di colesterolo.
Quando un ultrasuono attraversa un’interfaccia devia dalla sua direzione rettilinea con un angolo che presenterà una deflessione verso il versante dell’impedenza maggiore.
Nelle immagini ecografiche i fenomeni di rifrazione si rendono evidenti in corrispondenza dei profili laterali di strutture rotondeggianti od ovalari, solide o liquide, determinando la comparsa delle cosiddette “ombre acustiche laterali”.
Le ombre acustiche laterali non vanno confuse con l’ombra acustica posteriore!
La rifrazione causa una distorsione delle immagini tale che i diametri laterali degli organi possono risultare sottostimati oppure che si può avere la mancata visualizzazione delle pareti, ad esempio della vescica, simulando una lesione di continuo.
Strutture poste presso interfacce ricurve e a forte riflessione sono riprodotte sia nella loro posizione reale che al di là dell’interfaccia che ha agito come specchio.
Questo artefatto si produce a causa di riflessioni multiple, che avvengono tra la superficie che agisce da specchio e la struttura posta a ridosso di essa, con conseguente allungamento del tragitto del fascio e allungamento del tempo impiegato dagli US per ritornare alla sonda: il computer interpreta gli echi riflessi una seconda volta come posti più profondamente e, quindi, riproduce un’immagine anche al di là della superficie specchio, in sede speculare a quella reale.
Questo artefatto è particolarmente insidioso perché può indurre in gravi errori diagnostici (false ernie diaframmatiche, false raccolte liquide, ecc.).
Un’immagine “reale” sarà visibile in tutte le scansioni, mentre, un artefatto da mirror no.
Questo artefatto si forma in presenza di raccolte liquide di notevoli dimensioni, come nel caso di vescica sovradistesa.
L’artefatto si genera perché gli echi provenienti dalla parete distale della raccolta raggiungono la sonda dopo che è partito un altro impulso di ultrasuoni, per cui l’elaboratore dell’ecografo interpreta questi echi come provenienti da molto più vicino del reale e li pone, quindi, all’interno della raccolta simulando la presenza di un deposito ecogeno.
Questo artefatto è causato dal fatto che, come abbiamo detto nella prima lezione dedicata all’ecografia, l’immagine è formata solo grazie agli echi che tornano verso la sonda. I restanti echi diffusi si disperdono nei tessuti senza contribuire alla formazione dell’immagine.
L’artefatto da anisotropismo è particolarmente insidioso nello studio dei tendini dei cavalli. Infatti, durante lo studio di queste strutture se la sonda non è perfettamente perpendicolare all’andamento delle fibre, il tendine apparirà ipoecogeno e ciò può indurre ad una diagnosi errata di edema.
Questo artefatto, piuttosto insidioso, è dovuto alla morfologia spaziale del fascio ultrasonoro. Nella prima lezione dedicata all’ecografia, abbiamo definito il fascio ultrasonoro come “un pennello” o “un ventaglio” di ultrasuoni. In effetti, oltre al fascio principale (che presenta la conformazione precedentemente detta), vi sono dei fasci minori, per intensità, disposti lateralmente al fascio principale e detti “lobi laterali”. La loro presenza può determinare la comparsa di echi in una raccolta liquida perché, mentre il lobo principale la attraversa senza che si creino echi, i lobi laterali interagiscono con strutture od organi posti lateralmente alla raccolta (ad esempio, nel caso della vescica, gas o materiale fecale nel colon) e gli echi da essi generati, giunti alla sonda, vengono interpretati come facenti parte del fascio principale e, quindi, disegnati nel lume della raccolta liquida.
Ciò può causare diagnosi di falsi sedimenti, lesioni occupanti spazio o calcoli.
L’effettuazione di più scansioni o una migliore regolazione dei fuochi permette una corretta interpretazione delle immagini.
Bisogna ricordare che le immagini ecografiche sono sì tomografiche ma che, in effetti, sono delle ricostruzioni bidimensionali di volumi (il fascio ha tutte e 3 le dimensioni!). Nel ricostruire l’immagine il computer fa una media delle riflessioni giunte un determinato volume.
Questo potrà determinare la comparsa di echi all’interno di raccolte liquide comprese all’interno di tessuto solido sia se la raccolta ha dimensioni maggiori a quelle del fascio US (quando la raccolta stessa viene colpita dal fascio US solo in parte) sia se la raccolta ha il diametro inferiore allo spessore del fascio.
La presenza di più fuochi o un fascio molto sottile riducono l’importanza di questo artefatto.
Gli ecografi ricostruiscono l’immagine come se gli US attraversassero il corpo umano a velocità costante; la velocità di propagazione, però, varia nei diversi tessuti.
Poiché gli US attraversano l’acqua ed il grasso più lentamente rispetto alla velocità costante presunta, accade che nell’immagine una struttura adiposa o liquida venga riprodotta più grande che nella realtà, a causa di uno spostamento in senso distale della parete posteriore.
Ugualmente spostate risulteranno tutte le interfacce, poste distalmente alla struttura in questione.
Una situazione esattamente contraria avviene per le strutture nelle quali la velocità di propagazione è più alta rispetto alla velocità costante di settaggio; in tale caso, tali formazioni risulteranno più piccole.
In ambedue i casi, questo artefatto può simulare la presenza di lesioni di continuo, ad esempio a carico del diaframma.
In presenza di fenomeni di rifrazione, le strutture colpite dal fascio rifratto vengono riprodotte in una posizione che non corrisponde alla loro sede reale.
L’effetto può essere lo sdoppiamento o lo spostamento dell’immagine.
In alcuni casi, questo artefatto può simulare la presenza di una lesione di continuo su una superficie iperriflettente.
Il più frequente artefatto dell’eco-Doppler è il cosiddetto “aliasing”.
Come abbiamo detto per il Doppler Pulsato (e per il Color Doppler) esiste un limite di velocità massima calcolabile legato al cosiddetto “numero di Nyquist”: se la velocità del flusso supera la metà del PRF (pulse repetition frequency) la direzione del flusso sembra invertire il suo senso (un flusso in avvicinamento sembrerà allontanarsi). A causa dell’aliasing viene simulata la presenza di turbolenze.
Questo fenomeno è simile a ciò che avviene se guardiamo un’elica che si mette a ruotare, ad un certo punto (il limite di Nyquist per la nostra retina) essa sembrerà ruotare al contrario.
1. Introduzione alla Radiologia Veterinaria
2. Raggi X, Radiografia, Radioscopia
3. Interazioni raggi X - materia, opacità radiografiche, densità...
4. Il problema della radiazione diffusa
5. Pellicola-schermi e cassetta radiografica, sviluppo e fissaggio...
6. Apparecchi radiografici, Intensificatore di brillanza, supporti...
7. Geometria dell'immagine RX – Posizione e Proiezione - Convenz...
10. Radiobiologia e Radioprotezione
11. Ultrasuoni ed ecografia: principi fisici e formazione delle imm...
12. Ultrasuoni ed ecografia: Sonde ed apparecchi ecografici, semiol...
13. Ultrasuoni ed ecografia: Principi di eco-Doppler
14. Ultrasuoni ed ecografia: Artefatti ecografici
15. Tomografia Computerizzata: principi fisici e formazione delle i...
16. Tomografia Computerizzata: apparecchiature, tecniche di studio,...
17. Risonanza Magnetica: principi fisici, formazione delle immagini...
18. Medicina Nucleare: principi fisici, tecniche, indicazioni clini...
19. Diagnostica per Immagini dell'addome nei piccoli animali
20. Diagnostica per Immagini del torace nei piccoli animali
21. Diagnostica per Immagini dell'apparato locomotore dei piccoli a...
Gli artefatti in ecografia, Prof.ssa Dominique Penninck (Presid. ECVDI)