L’ecografia (sin. Ultrasonografia, Ecotomografia) è una tecnica di Diagnostica per Immagini basata sugli echi prodotti da un fascio di ultrasuoni che attraversa un organo o un tessuto.
Attualmente, l’ecografia viene utilizzata routinariamente in ambito radiologico, internistico, chirurgico e ostetrico. La sua diffusione è stata favorita dalla innocuità, dalla relativa economicità e, soprattutto, dalla sensibilità diagnostica per le patologie degli organi costituiti da tessuti molli.
Il limite principale dell’ecografia è rappresentato dal fatto che essa è operatore-dipendente: affinché le informazioni ricavabili da uno studio ecografico siano correttamente interpretate, si richiedono particolari doti di manualità e spirito di osservazione, oltre a cultura dell’immagine ed esperienza clinica.
La natura ha ispirato le prime applicazioni degli ultrasuoni: lo scienziato italiano Lazzaro Spallanzani dimostrava, nel 1794, che i pipistrelli usavano gli ultrasuoni per orientarsi nel volo notturno. Successivamente, si scoprì che moltissime specie di pipistrelli e molti cetacei usano sistemi di ecolocalizzazione degli ostacoli o delle prede: inviano degli ultrasuoni prodotti dal loro sistema vocale e, quindi, ne percepiscono gli echi che si formano sulle superfici dell’ambiente o delle prede avendone informazioni sulla distanza e sulla morfologia*.
Le prime applicazioni degli ultrasuoni sono state di tipo militare. Il SONAR (SOund Navigation And Ranging) è stato sviluppato tra le due guerre mondiali e montato sulle navi per l’individuazione di sottomarini o su questi ultimi per l’individuazione di ostacoli, naturali o artificiali (mine), durante la navigazione in profondità. Il suo funzionamento è basato sulla emissione di ultrasuoni e nella successiva rilevazione di eventuali echi provenienti da superfici presenti in mare.
*Un’interessante dimostrazione di come i pipistrelli utilizzano gli ultrasuoni per localizzare le prede si trova su Biosonar.
Sebbene le prime segnalazioni sull’utilizzo degli ultrasuoni in Diagnostica per Immagini risalgano agli anni ‘50, l’inizio della sua diffusione può essere fissato intorno agli anni ‘70 del secolo scorso.
In campo medico, gli ultrasuoni furono inizialmente utilizzati per scopi terapeutici, sfruttando il loro effetto termico e distruttivo.
Nel corso degli ultimi trent’anni le applicazioni degli ultrasuoni si sono enormemente ampliate in Medicina Umana e Veterinaria.
Ecotomografia con apparecchio Panscanner: la sonda immersa nell'acqua ruota intorno al paziente. Fonte: Ob-ultrasound
Ecotomografia dell'addome di un cane ottenuta con metodo Compound. Fonte: modificato da Nautrup C.P. e Tobias R
I suoni o onde sonore sono radiazioni di natura meccanica e, per questo, hanno bisogno di un mezzo per propagarsi.
Gli ultrasuoni sono onde sonore ad altissima frequenza e sono così detti perché non udibili dall’orecchio umano, che è in grado di percepire suoni nell’intervallo di 20-20.000 Hz*. Gli ultrasuoni sono i suoni situati al di sopra dei 20.000 Hz (al di sotto dei 20 Hertz vi sono gli infrasuoni). Molti animali, tra cui il cane, possono udire suoni con frequenza fino a 100.000 Hz!
Per avere un’idea di questi suoni, ricordiamo che la voce di uomo ha una frequenza intorno ai 100 Hz, mentre quella di una donna intorno ai 200 Hz; la nota LA del diapason corrisponde ad una frequenza di 440 Hz.
*L’Hertz (Hz) è l’unità di misura della frequenza di fenomeni a carattere ciclico ed è pari a un ciclo al secondo.
Gli ultrasuoni, come tutte le onde sonore, possono essere descritti come dei fenomeni di compressione e rarefazione della materia (vedi il grafico A in figura 1) ovvero, su un piano cartesiano, come una linea sinusoidale i cui i picchi positivi coincidono con la massima compressione e quelli negativi con la massima rarefazione (vedi il grafico B in figura 1).
Se si vuole, un’onda sonora può anche essere rappresentata da cerchi concentrici che si allargano a partire da un punto centrale, allo stesso modo delle onde che increspano la superficie di uno specchio d’acqua dopo che vi abbiamo fatto cadere un sasso.
Di un’onda sonora (e, quindi, anche di un ultrasuono) possiamo definire la frequenza (in Hertz, numero di cicli al secondo), la lunghezza d’onda (la distanza, in metri, tra due picchi di compressione o rarefazione), la velocità di propagazione (frequenza x lunghezza d’onda = metri al secondo), l’intensità (ovvero l’ampiezza delle onde, in watt/cm2, in Pascal o, più comunemente, in deciBel) ed il periodo (tempo che intercorre tra il passaggio di due fronti d’onda nello stesso punto).
Gli ultrasuoni, come altre forme di radiazioni, possiedono un’energia. Questa è rappresentata dall’intensità del suono (I) e può essere misurata in watt/cm2 (potenza per unità di superficie) o in Pascal (pressione per unità di superficie). Più comunemente, l’intensità di un suono viene misurata in Bel (B) o, meglio, nella sua sottounità decimale, il deciBel.
Il deciBel è un’unità “comparativa” dell’intensità di due suoni, espressa su base logaritmica 10, che prende come punto di riferimento la soglia dell’udibilità.
Più un suono è intenso più energia cede al mezzo attraverso cui si propaga. Gli ultrasuoni utilizzati in Diagnostica per Immagini hanno un’intensità inferiore alla soglia in grado di provocare modificazioni permanenti nel mezzo attraversato (intensità compresa tra 0,0001 e 1 watt/cm2).
Gli ultrasuoni utilizzati in Diagnostica per Immagini, presentando frequenze elevatissime (nell’ordine di milioni di Hertz!) hanno, di conseguenza, lunghezza d’onda cortissima (frazioni di millimetro).
Questo, come vedremo in seguito, rappresenta il principale requisito per il potere di risoluzione spaziale della tecnica.
Pertanto, maggiore è la frequenza, minore è la lunghezza d’onda e maggiore è la risoluzione spaziale dell’immagine ottenibile.
La velocità di propagazione di un’onda sonora dipende dalla densità atomica e dalle proprietà elastiche del mezzo. La velocità viene espressa in metri al secondo (m/s). La velocità di propagazione degli ultrasuoni è costante in un mezzo omogeneo e proporzionale alla densità dello stesso. Le onde sonore si propagano meglio e più velocemente nei liquidi piuttosto che nell’aria. Quindi, i tessuti molli, che sono costituiti per la massima parte di acqua, si prestano in maniera particolare allo studio ecografico.
Tuttavia, ogni mezzo oppone una certa “resistenza” alla propagazione di un’onda sonora. Questa resistenza è detta “impedenza“. L’impedenza rappresenta una proprietà fondamentale della materia ed è alla base della formazione degli echi. L’impedenza è direttamente proporzionale alla densità del materiale attraversato e alla velocità del suono. La sua unità di misura è il Rayl (dal nome dello scienziato inglese Rayleigh al quale si devono le basi teoriche della fisica dei suoni). La formula per calcolare il Rayl è:
Z = ρ c
dove
Z = impedenza acustica;
ρ = densità (g/cm3);
c = velocità del suono nel mezzo.
L’apparecchio ecografico presenta uno strumento detto sonda o trasduttore che è deputato alla produzione e alla ricezione degli ultrasuoni. Nella sonda sono presenti dei cristalli che hanno la proprietà di vibrare se sottoposti a una tensione elettrica. Questi cristalli sono detti piezolettrici e la loro struttura molecolare è tale per cui le cariche elettriche sono disposte in maniera ordinata e polarizzata: in pratica, ogni molecola rappresenta un piccolo dipolo. L’effetto piezoelettrico venne scoperto nel 1880 dai fratelli Pierre e Jacques Curie su dei cristalli di quarzo.
Quindi, se questi cristalli vengono posti in un campo elettrico, si deformano perché le cariche delle molecole si orientano a 90° rispetto al campo elettrico. Appena la tensione elettrica cessa, i cristalli riprendono rapidamente la forma originale. Questo repentino ritorno elastico fa entrare in risonanza i cristalli, determinando una piccola serie di vibrazioni che, perciò, genereranno degli ultrasuoni.
Il fenomeno può avvenire in ambedue le direzioni: l’impulso elettrico viene trasformato in deformazione/vibrazione (energia meccanica); se il cristallo viene investito da ultrasuoni entra in risonanza e, quindi, la deformazione/vibrazione che ne consegue causa una perturbazione nel suo campo elettro-magnetico generando una piccola corrente elettrica.
Questa proprietà dei materiali piezoelettrici fa sì che le sonde funzionino sia da emettitrici che da antenne.
Effetto piezoelettrico. Fonte: Wikipedia
Gli ultrasuoni emessi dalla sonda attraversano i tessuti con una velocità e, soprattutto, con un’impedenza che sarà caratteristica di ogni tessuto. Durante l’attraversamento delle varie strutture tissutali, l’energia (l’intensità) posseduta dall’ultrasuono viene progressivamente attenuata.
L’attenuazione si verifica principalmente per:
La riflessione avviene con un angolo che sarà equivalente a quello incidente dell’ultrasuono. Tuttavia, i tessuti presentano delle superfici di interfaccia complesse e di dimensioni inferiori a quelle della lunghezza d’onda per cui, oltre alla riflessione principale, vi saranno multipli piccoli echi riflessi secondo multipli angoli (echi diffusi) la maggior parte dei quali non ritorna verso la sonda e, quindi, non viene registrata. Per la formazione dell’immagine sono importanti solo gli echi che tornano verso la sonda.
Gli ultrasuoni residui o non riflessi proseguiranno il loro percorso nei tessuti con un’intensità ridotta (trasmissione) e con angolo leggermente modificato (rifrazione). La rifrazione, come vedremo più avanti, è responsabile di alcuni artefatti.
L’attenuazione del fascio ultrasonoro avviene secondo la relazione:
1dB/cm/MHz.
Per cui l’attenuazione aumenta all’aumentare del percorso e all’aumentare della frequenza.
Da ciò consegue che:
Gli effetti dannosi degli ultrasuoni derivano principalmente dal riscaldamento e dalla cavitazione (formazione di microbolle nel citoplasma). Questi effetti dannosi sono presenti negli ultrasuoni utilizzati in ambito terapeutico che hanno intensità elevate (1-1000 watt/cm2). Con queste energie il riscaldamento causa degenerazione proteica e alterazioni del DNA e le cavitazioni sono permanenti. Tutto ciò può portare a lesioni delle membrane e alla necrosi cellulare.
Come abbiamo già accennato, gli ultrasuoni usati in diagnostica hanno un’intensità inferiore a 1 watt/cm2 e, comunque, tale da poterli considerare innocui. Nelle normali condizioni operative, gli effetti dannosi sono quantitativamente trascurabili e transitori. Considerazioni di carattere conservativo, tuttavia, consigliano di contenere la lunghezza degli esami ecografici.
Cavitazioni citoplasmatiche e rottura della membrana da ultrasuoni. Fonte: modificato da Nibib
La riflessione e la diffusione degli ultrasuoni avviene in corrispondenza dei punti in cui si ha il passaggio tra due tessuti con diversa impedenza (interfacce acustiche: zone in cui avviene un cambiamento nell’impedenza acustica; ad esempio tra cute e sottocute, tra tessuti molli e tessuti duri, ecc.); al di là dell’interfaccia, un ultrasuono con intensità ridotta prosegue il suo cammino verso le strutture più profonde per trasmissione/rifrazione. Maggiore è la differenza di impedenza, maggiore sarà la riflessione. Per questo motivo il tessuto osseo ed i polmoni non si prestano alla studio ecografico: a livello dell’interfaccia tra tessuti molli e tessuto osseo o parenchima polmonare, gli ultrasuoni vengono quasi completamente riflessi e, quindi, attenuati.
Durante il funzionamento, la sonda trasmette piccoli “pacchetti” di ultrasuoni (di solito, 2 o 3 cicli) per l’1% del tempo (in genere, circa 1-2 milionesimi di secondo); per il restante 99% (100-200 milionesimi di secondo), la sonda resta in ascolto degli echi di ritorno*. Gli echi ritornati alla sonda fanno entrare in risonanza i cristalli piezoelettrici determinando la produzione di un segnale elettrico. A seconda del ritardo con cui arrivano alla sonda, gli echi vengono disposti nella matrice dell’immagine (echi precoci = zone vicine; echi tardivi = zone profonde). A causa dell’attenuazione degli ultrasuoni nei tessuti, gli echi provenienti da strutture distali saranno meno intensi di quelli provenienti da strutture simili ma più prossimali. Per compensare ciò, gli echi lontani vengono amplificati rispetto a quelli più vicini (T.G.C. Time Gain Compensation).
*Ricordiamo che gli ultrasuoni, nei liquidi e nei tessuti molli, percorrono circa 1,5 cm in 10 milionesimi di secondo!
Gli echi prodotti dagli ultrasuoni, una volta raggiunta la sonda, possono essere visualizzati con diverse modalità.
Le principali sono:
L’A-mode (amplitude = ampiezza) è stata la prima modalità di visualizzazione di un eco ed era adottata, ad esempio, nei SONAR.
Questa modalità di visualizzazione può essere definita monodimensionale: l’eco viene rappresentato con dei picchi che modificano una linea su un oscilloscopio. L’ampiezza dei picchi è proporzionale all’intensità dell’eco, mentre la profondità è proporzionale alla distanza delle interfacce che hanno generato l’eco.
L’A-mode, ormai in disuso, trova ancora residuali applicazioni nell’ecografia dell’occhio.
Nella modalità B (brightness = luminosità) la visualizzazione degli echi è sempre monodimensionale: gli echi vengono rappresentati in sequenza lungo una linea a seconda della loro distanza dalla sorgente (determinata sulla base del ritardo con cui ritornano alla sonda) ma la loro intensità, invece che con dei picchi, viene presentata in scala di grigi: il bianco corrisponde al massimo dell’intensità mentre il nero all’assenza di echi; le sfumature intermedie rappresentano i vari livelli di intensità.
Questa modalità di rappresentazione, come vedremo, utilizzata in sequenza temporale o mediante multiple linee di scansione affiancate, opportunamente sincronizzate, è la modalità di visualizzazione degli echi più utilizzata in ecografia.
La modalità B in Real Time è la naturale evoluzione del B-mode. Nel B-mode RT, la singola linea di scansione è affiancata a molte altre così da formare un “pennello” o un “ventaglio” che fornirà, quindi, immagini bidimensionali di sezioni di un organo o di un tessuto (immagine di tipo tomografico). Gli echi dei singoli fasci ultrasonori arrivano ai cristalli della sonda, con una sequenza opportunamente temporizzata, continuamente processati ed elaborati, così da fornire “frame” che, se in numero adeguato (almeno 15 per secondo), daranno una sensazione di “fluidità” alle immagini visualizzate sul monitor.
Nei moderni apparecchi ecografici il segnale analogico degli echi viene convertito in segnale digitale prima di formare l’immagine. La risoluzione più utilizzata in ecografia è 512 x 512 (262.144 pixel) a 8 bits (256 livelli di grigio).
In effetti, le immagini ecografiche ottenute in B-mode RT, oltre alle due dimensioni spaziali, ne possiedono una terza: il tempo. Infatti, una delle principali caratteristiche che hanno contribuito al successo del B-mode RT è, appunto, la visualizzazione delle strutture “in tempo reale”, cioè, in maniera dinamica. Questo permette di ottenere, oltre a valutazioni di tipo morfologico, informazioni di tipo funzionale (ad esempio visualizzando le contrazioni cardiache, l’attività peristaltica intestinale, ecc.) nonché di seguire e assistere, in tempo reale, l’esecuzione di manovre interventistiche (biopsie, ago-aspirati, cateterismi, ecc.).
Negli organi provvisti di movimenti continui può essere utile visualizzare questi movimenti lungo una linea di scansione fissa, soprattutto per effettuare misurazioni. Il modo TM (Time Motion = movimento nel tempo) è praticamente un B-mode in cui lungo una linea di scansione fissa si hanno continui refresh della posizione dei vari echi che, però, non vanno a sovrapporsi ai precedenti (come avviene nel B-mode RT) ma si affiancano in successione l’uno all’altro dando così informazioni sulla motilità della parte indagata lungo quella singola linea di scansione nel tempo.
Questa modalità di visualizzazione è molto utilizzata in ecocardiografia. Per comprendere attraverso quale linea di scansione si sta ottenendo la sequenza, nei moderni apparecchi ecografici è possibile visualizzare contemporaneamente l’immagine in B-mode Real Time, nella quale si individua la linea di scansione, e quella in TM-mode, dove poi verranno effettuate le valutazioni e le misurazioni del caso.
Più di recente si aggiunta la modalità 3D che, se consideriamo anche il tempo, è più corretto definire 4D. La visualizzazione tridimensionale, a differenza della classica immagine bidimensionale, è basata sull’acquisizione, mediante apposita sonda, di un “volume” della struttura in esame. Il volume da studiare viene acquisito e digitalizzato in frazioni di secondo, dopo di che può essere esaminato sia in modalità bidimensionale, analogamente al B-mode RT, con l’esame di “fette” del campione (lungo gli assi x, y e z), sia in modalità 3D, in cui l’organo da studiare appare sul monitor come un solido e può essere osservato da diversi punti di vista facendolo ruotare sui tre assi cartesiani.
Il fascio ultrasonoro, qualche diapositiva fa, lo abbiamo descritto come un “pennello”. In effetti, i peli di questo pennello tendono ad allargarsi poco dopo essere fuoriusciti dalla sonda. Essi restano paralleli fra loro solo per un breve tratto: il fascio resta coerente (cioè, con diametro pari a quello del cristallo) fino ad una distanza che è proporzionale al diametro del cristallo. Il tratto nel quale il fascio è coerente viene detto “zona di Fresnel”; quello successivo, “zona di Fraunhofher”. Il punto di passaggio tra le due zone rappresenta la zona focale del fascio ultrasonoro. La focalizzazione, nelle vecchie sonde di tipo meccanico, era fissa. Nelle moderne sonde elettroniche, la presenza di “lenti acustiche” permette di ottenere più di un punto di focalizzazione a profondità variabili.
Il fascio ultrasonoro emesso dalla sonda ha 3 dimensioni:
La profondità dipende dalla frequenza. La larghezza e lo spessore dipendono dalle dimensioni del cristallo emettente. La risoluzione spaziale (capacità di distinguere come separati due oggetti molto vicini) dipende dalla:
- risoluzione assiale (lungo l’asse del fascio: Y);
- risoluzione laterale (lungo i piani perpendicolari al fascio: X e Z).
La risoluzione assiale è data dalla capacità di distinguere due punti lungo l’asse Y del fascio ultrasonoro. Questo tipo di risoluzione dipende dalla frequenza degli ultrasuoni: più la frequenza è elevata, minore sarà la lunghezza d’onda e, quindi, maggiore la risoluzione assiale. La risoluzione assiale attesa non può superare la metà della lunghezza d’onda (vedi anche la tabella raffigurata in “Intensità di diversi suoni o rumori“). La risoluzione laterale definisce la capacità di distinguere come separati due punti posti nel piano X e Z del fascio ultrasonoro. Come abbiamo detto nella precedente slide, essa dipende dalle dimensioni dei cristalli piezoelettrici.
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Nautrup C.P. e Tobias R., "Testo atlante di ecografia del cane e del gatto", Edizione italiana UTET, 2000.