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Serena Calabrò » 3.Analisi chimica degli alimenti di interesse zootecnico I


Schema Wendee

Stazione sperimentale di Hohenheim, Germania (1920)

Stazione sperimentale di Hohenheim, Germania (1920)


Metodo Van Soest

Van Soest P J. Development of a comprehensive system of feed analyses and its application to forages. J. Anim. Sci. 26:119-28, 1967

Van Soest P J. Development of a comprehensive system of feed analyses and its application to forages. J. Anim. Sci. 26:119-28, 1967


Cornell Net Carbohydrate and Protein System (CNCPS)

  • A partire dal 1992 i ricercatori della Cornell University, Ithaca, NY (Russel et al., 1992; Sniffen et al., 1992; Fox et al., 1992; O’Connor et al., 1993) hanno proposto un nuovo metodo di espressione dei fabbisogni e del valore energetico e proteico degli alimenti per ruminanti.
  • Questo sistema classifica proteine e carboidrati degli alimenti in funzione della loro risposta all’azione dei microrganismi ruminali → pertanto, vengono individuate:
    • per le proteine: 5 frazioni;
    • per i carboidrati: 4 frazioni.
  • Attribuendo a ciascuna di queste frazioni delle velocità di degradazione è possibile:
    • prevedere l’energia e le proteine disponibili per l’animale;
    • prevedere i fabbisogni nutritivi.
  • Sebbene il sistema necessiti di ulteriori approfondimenti, uno degli obiettivi finali è quello di ottimizzare le diete in funzione del sincronismo con cui azoto ed energia si rendono disponibili ai microrganismi del rumine.
  • Mediante tecniche in vitro che misurano le cinetiche di degradazione delle proteine e di fermentazione dei carboidrati è possibile individuare le velocità con cui le frazioni glucidiche e proteiche degli alimenti vengono scisse nel rumine e, quindi, conoscere la contemporanea disponibilità di energia e azoto.

Cornell Net Carbohydrate and Protein System

Metodi ufficiali di analisi

Alcuni Organismi Internazionali che si occupano di fornire protocolli ufficiali per l’analisi degli alimenti

Carboidrati

  • I carboidrati sono sostanze organiche formate da carbonio, idrogeno ed ossigeno.
    Dal punto di vista della distribuzione nella cellula vegetale, e quindi a seconda della composizione chimica e della degradabilità ruminale, sono suddivisi in categorie:

    • carboidrati strutturali (SC): comprendono tutte le componenti fibrose e strutturali della parete cellulare dei vegetali (cellulosa, emicellulose) e lignina;
    • carboidrati non strutturali (NSC): i carboidrati non strutturali sono costituiti da sostanze energetiche e di riserva contenute nella cellula vegetale (zuccheri, amido, pectine).
  • Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in fibra degli alimenti
    • Metodica di Wendee = fibra grezza
    • Metodo di Van Soest = fibra neutro detersa (NDF), fibra acido detersa (ADF), lignina acido detersa (ADL)
  • Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in carboidrati non strutturali degli alimenti
    • Amido
    • Zuccheri


Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in carboidrati strutturali degli alimenti

  • Il metodo ufficiale universalmente utilizzato è quello di Wendee.
  • Principio del metodo:
    • una aliquota dell’alimento macinato viene trattata all’ebollizione per 30 min. con una soluzione di acido solforico 0,26 N;
    • dopo filtrazione e lavaggio del residuo con acqua bollente questo viene trattato all’ebollizione per 30 min. con una soluzione di KOH 0,23 N;
    • successivamente si filtra, si lava con acqua bollente e si secca il residuo in stufa a103°C per 12 ore;
    • si pesa e si incenerisce il campione in muffola a 550°C per 4 ore, si pesa di nuovo;
    • la differenza tra le due pesate costituisce la fibra grezza del campione.
  • Errore: questo metodo sottostima il reale contenuto in fibra dell’alimento perchè 50-90% della lignina, 0-50% della cellulosa e fino 85% delle emicellulose possono essere solubilizzati e quindi non dosati come fibra grezza.

Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in carboidrati strutturali degli alimenti II

  • Il sistema delle frazioni fibrose secondo Van Soest consente una migliore classificazione dei costituenti delle pareti cellulari.
  • Principio del metodo:
    • Fibra residua al detergente neutro (NDF). Una aliquota dell’alimento macinato viene trattata con una soluzione contenente un detergente neutro (sodio laurilsolfato) all’ebollizione per 1 ora, si essicca in stufa il residuo e si pesa; quindi si incenerisce in muffola e si pesa; la differenza fra le due pesate, rapportata al peso del campione, costituisce l’NDF.
    • Fibra residua al detergente acido (ADF). Una aliquota dell’alimento macinato viene trattata con una soluzione contenente il detergente (bromuro di cetil-trimetilammonio) in acido solforico 1 N, all’ebollizione per 1 ora;si filtra, si essicca in stufa il residuo e si pesa; questo residuo costituisce l’ADF.
    • Lignina (ADL). Il residuo dell’ADF viene trattato con acido solforico al 72% a freddo per 3 ore. Si lava, si essicca in stufa il residuo e si pesa; quindi si incenerisce in muffola e si pesa di nuovo; la differenza tra le due pesate costituisce l’ADL.

Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in carboidrati strutturali degli alimenti III

  • Il metodo NDF consente di separare i costituenti fibrosi delle pareti cellulari vegetali, e cioè: cellulosa, emicellulose, lignina, dal materiale cellulare solubile rappresentato da zuccheri, acidi organici, sostanze azotate proteiche e non proteiche, lipidi, sali minerali solubili.
  • All’analisi NDF sfuggono le pectine, che vengono solubilizzate, anche se sono intimamente legate alla parete cellulare.
  • L’NDF dà idea della voluminosità e dell’ingombro ruminale; è inversamente correlata all’ingestione; nella pianta aumenta proporzionalmente alla sua maturazione; è in parte assimilabile alla fibra grezza “secondo Wendee” (NDF > FG).
  • Il metodo ADF consente di determinare un residuo fibroso costituito da cellulosa, emicellulose, lignina, cutina e silice. La differenza tra NDF-ADF dà una stima delle emicellulose. È correlata negativamente alla digeribilità, è usata per calcolare l’energia netta; aumenta con lo stadio di maturazione della pianta.
  • Il metodo ADL consente di determinare la lignina, al netto delle ceneri.
  • I carboidrati non strutturali (NSC) → [amido e zuccheri vari] sono assimilabili agli estrattivi inazotati (EI) del sistema Weende (NSC < EI); possono essere calcolati come complemento a 100 degli altri componenti determinati analiticamente:

NSC (%) = 100 – (% NDF + % proteine grezze + % lipidi + % ceneri)

Metodiche analitiche per la determinazione del contenuto in carboidrati non strutturali degli alimenti

Amido

  • Il campione viene trattato a caldo con HCl 3N: l’amido presente viene idrolizzato a glucosio; la soluzione filtrata viene versata in un tubo polarimetrico e posta in un polarimetro.
  • Il polarimetro è uno strumento che permette di misurare il potere rotatorio di sostanze otticamente attive, quali sono gli zuccheri, ed in particolare il glucosio.
  • Dalla lettura dell’angolo di deviazione della luce polarizzata effettuata col polarimetro, è possibile risalire alla concentrazione di glucosio, che moltiplicata per un opportuno coefficiente, dipendente dal tipo di amido (mais, orzo, frumento…) fornisce la percentuale di amido presente nel campione.

Zuccheri

  • Il campione macinato viene estratto con alcole etilico al 40%; dopo evaporazione dell’alcool gli zuccheri riduttori presenti vengono determinati secondo il procedimento classico della riduzione della soluzione di Fehling (contenente Cu2+) ed ossido rameoso (Cu2O).
  • Il saccarosio, che non è riduttore, non viene determinato.
  • Se si vuole determinare il tenore in zuccheri totali, occorre effettuare, prima dell’aggiunta del Fehling, la cosiddetta inversione, cioè un’idrolisi acida per la trasformazione del saccarosio in glucosio e fruttosio, che sono riduttori.

Classificazione dei carboidrati secondo il sistema CNCPS


Composizione e degradazione delle frazioni dei carboidrati nel rumine secondo il CNCPS


La frazione A

  • Consiste in zuccheri (monosaccaridi e oligosaccaridi), acidi di fermentazione negli alimenti insilati (acetico, propionico, butirrico) e acidi organici (malico, citrico, fumarico).
  • Gli zuccheri fermentano molto rapidamente nel rumine, dove tendono ad incrementare la produzione di butirrato, non variando la quota dei propionati rispetto all’amido.
  • Gli acidi rappresentano la frazione più velocemente assorbita ed utilizzata dalla bovina da latte, ma hanno scarsissimi effetti sui microrganismi ruminali.

A = NSC – B1

La frazione B1

  • È costituita da amido e fibra solubile.
  • L’amido è formato da due polimeri: l’amilosio e l’amilopectina. La fermentescibilità ruminale dell’amido varia a seconda delle materie prime (frumento > orzo > mais > sorgo) e può essere aumentata da trattamenti che determinano la distruzione degli strati protettivi del seme o che provocano la gelatinizzazione e la rottura delle particelle dell’amido.
  • Gli enzimi che i idrolizzano l’amido sono l’α-amilasi → scindono i legami α-(1-4) e α-(1-6).
  • La frazione amilacea degli alimenti è in realtà costituita da amido,saccarosio e fruttani. I fruttani fermentano allo stesso modo dell’amido perciò la loro inclusione nella frazione amilacea non crea problemi.
  • Le graminacee, eccetto il silomais, e le leguminose contengono una piccola parte di vero amido e quello che è analiticamente riportato come amido è per lo più costituito da → fruttani.
  • Per alimenti come le polpe di bietola quello che è riportato come amido è per lo più → saccarosio.
  • Per il silomais, le granelle e molti sottoprodotti la frazione A è quasi completamente costituita da → amido.

B1 = amido

Glucosio
Fruttosio
Saccarosio

Pectine e ß-glucani

  • Sono polisaccaridi ad alto peso molecolare (variabile da 20.000 a 400.000); sono presenti nelle pareti cellulare delle piante e costituiscono la matrice che stabilizza le fibrille di cellulosa nei tessuti soffici.
  • Le pectine sono costituite principalmente da polimeri dell’acido galatturonico i cui residui carbossilici sono frequentemente esterificati con alcol metilico (residui metossilici). La pectina estratta ha la proprietà di gelificare in presenza di zuccheri, per questo motivo, è da tempo usata in combinazione con zuccheri come additivo alimentare (agente gelificante e stabilizzante).
  • Recentemente evidenze scientifiche hanno attribuito alle pectine alcuni effetti positivi sulla salute:
    • sfugge alla digestione del primo tratto gastrointestinale e a livello dell’intestino crasso viene quasi completamente fermentata da parte della flora batterica intestinale;
    • è in grado di stimolare selettivamente la crescita e/o l’attività di alcune specie microbiche endogene (bifidobatteri e batteri lattici);
    • componente della fibra alimentare con proprietà prebiotiche → una dieta arricchita con pectina (soprattutto quella con un alto grado di metilazione) è in grado di migliorare il profilo lipidico e il metabolismo glucidico.

Fibra solubile

  • La fibra solubile è quella non legata alla lignina ed è completamente disponibile per la fermentazione; come la cellulosa è fermentata dai microrganismi ruminali, ma non da luogo a produzione di acido lattico e la sua fermentazione è inibita da bassi valori di pH.
  • Alcuni foraggi (es. Erba medica), sottoprodotti dei semi di soia e le polpe di bietola contengono apprezzabili quantità di fibra solubile.
  • Sfortunatamente la fibra solubile non viene analizzata routinariamente.

In figura: Valori per convertire il tenore in amido (% NSC) nel valore di frazione B1 che tenga conto anche della fibra solubile


La frazione B2

Rappresenta la quota di carboidrati della parete della cellula vegetale, che anche se molto lentamente, viene fermentata nel rumine.

B2 = [NDF – (NDIP + ceneri NDF)]-C

Fibra effettiva

  • L’effective NDF (eNDF) è un parametro che quantifica in un unico concetto le caratteristiche chimiche e fisiche della fibra. L’eNDF è l’applicazione all’NDF della grandezza delle particelle fibrose.
  • Il valore base di eNDF è rappresentato dalla percentuale di NDF che rimane su di un setaccio di 1.18 mm dopo setacciatura a secco. Questo valore viene poi corretto in base a densità, umidità e grado di lignificazione dell’NDF all’interno di classi di alimento.
  • L’eNDF è riferita alla proprietà di stimolare la masticazione, la salivazione, la successiva ruminazione e l’azione tampone a livello ruminale ed è in relazione alla misura delle particelle, del materiale di origine e della fibra contenuta nell’alimento.
  • Il dato è puramente indicativo, ma consente ad esempio di valutare con buona approssimazione se la trinciatura e la miscelazione nel carro miscelatore avvengono in maniera corretta.
  • NDF, ADF o altre caratterizzazioni chimiche non possono essere considerate alla pari del concetto di fibra effettiva perché valutate su campioni macinati finemente.
  • L’eNDF è definita anche come la capacità dell’NDF di un alimento di sostituire l’NDF dei foraggi in una razione in modo tale da mantenere la percentuale di grasso del latte.
  • Il valore effettivo di NDF derivante dai concentrati è da considerarsi pari al 50% di quello derivante dai foraggi.
  • La eNDF non dovrebbe essere inferiore al 22% di s.s.

Valori di NDF effettiva di alcuni foraggi


NDF, eNDF e NSC

Diete che contengono presenza di fibra inferiore ai valori minimi e NSC superiori a valori massimi non devono essere somministrate.

NDF e eNDF di alcuni sottoprodotti

NDF e eNDF di alcuni sottoprodotti

Fabbisogni (% s.s.) in NDF e NSC delle bovine in lattazione

Fabbisogni (% s.s.) in NDF e NSC delle bovine in lattazione


Proteine

  • Il livello proteico di un alimento viene di norma determinato in base al suo tenore in azoto; questo viene moltiplicato per il coefficiente 6,25, ottenendo così la proteina grezza [Il fattore 6,25 è stato scelto ipotizzando per tutte le proteine un tenore di azoto del 16% (100/16=6,25); nel caso delle proteine del latte, il fattore moltiplicativo da usare è 6,38.]
  • In realtà, parte dell’azoto dei foraggi e degli altri alimenti non è di natura proteica, derivando da aminoacidi liberi, da ammidi, da vari composti organici (basi azotate), nonchè da composti ammoniacali

→ la maggior parte di queste sostanze non proteiche viene utilizzata nel metabolismo (in particolare dai ruminanti)

  • Il metodo analitico ufficiale è quello di Kjeldhal.
  • Principio del metodo:
    • si trasforma l’azoto organico in solfato di ammonio, facendo bollire una aliquota pesata di campione in acido solforico (o fosfo-solforico) concentrato, in presenza di un catalizzatore (vengono utilizzati gli ossidi di mercurio o di selenio, il selenio metallico, il solfato di rame) e di solfato di potassio per innalzare il punto di ebollizione dell’acido.
    • Dopo la digestione completa del campione, si raffredda e si diluisce con acqua distillata, quindi si alcalinizza con una soluzione concentrata di idrossido di sodio; si distilla immediatamente l’ammoniaca, che viene raccolta in acido borico al 4% e titolata con acido solforico 0,1N.
    • Ciascun mL di acido N/10 consumato nella titolazione corrisponde a 0,0014 g di azoto. Si trova così l’azoto presente nel campione che, riferito a 100 e moltiplicato per 6,25, darà la % di proteina grezza contenuta nell’alimento.

Proteine II

  • Con il metodo Kjeldhal viene determinato tutto l’azoto sotto forma:
    • amminica (proteine, aminoacidi, urea);
    • iminica (basi puriniche, citosina);
    • amidica (nicotinamide);
    • ammoniacale (ammoniaca e sali d’ammonio);
    • non viene determinato l’azoto nitrico e nitroso (nitrato e nitrito di potassio).
  • Per alzare quindi fraudolentemente il tenore in protidi grezzi, oltre all’urea (che è ammessa per i ruminanti, purchè venga dichiarata) possono venire impiegate sostanze che contengono azoto nelle forme sopra elencate, quali gli aminoplasti (ureaform, un polimero tra l’urea e la formaldeide che non viene dosato coi comuni metodi per l’analisi dell’urea) o la melamina (un composto che contiene il 66,6% in peso di azoto).
  • Per la rivelazione di queste sostanze, come per l’urea, bisogna utilizzare metodi specifici.
  • Il metodo Kjeldhal, universalmente utilizzato, se correttamente applicato è un metodo preciso e affidabile; si può verificare la correttezza della procedura dell’analisi utilizzando sostanze a titolo noto di azoto (acido solfanilico, acetanilide).

Come valutare le fonti proteiche alimentari

  • Il tenore proteico degli alimenti è generalmente espresso come proteina grezza, ma sotto questo termine viene incluso anche l’azoto non proteico (NPN, non protein nitrogen).
  • Nei ruminanti è necessario fare anche una distinzione tra:
    • la proteina che non è degradata dai microrganismi ruminali e viene quindi digerita ed assorbita a livello dell’abomaso e dell’intestino;
    • la proteina di origine microbica, sintetizzata dai microrganismi ruminali, e che viene digerita e assorbita sempre a livello abomasale ed intestinale.
Proteine digeribili a livello intestinale (PDI)

Proteine digeribili a livello intestinale (PDI)


Classificazione delle proteine in funzione della solubilità in tampone borato-fosfato, in detergenti neutri e in detergenti acidi

Nel CNCPS la proteina è classificata in base alla sua degradabilità ruminale, stimata in base a lavori sperimentali in cui diversi alimenti sono stati incubati in situ o in vitro con enzimi proteolitici.

  • a proteina solubile comprende l’azoto non proteico (A) e la proteina vera solubile degradata velocemente dai microrganismi ruminali (B1);
  • la proteina degradabile (RDP) comprende l’azoto non proteico (A) + la proteina solubile velocemente degradabile (B1) + la proteina non solubile lentamente degradabile (B2);
  • la proteina non degradabile (RUP) comprende sia la quota degradabile molto lentamente a livello ruminale (B3), in quanto associata all’NDF e quindi disponibile a livello intestinale, sia quella non disponibile in assoluto, cioè legata all’ADF (C).

Composizione e degradabilità ruminale delle proteine


Degradabilità – Contenuto


Frazioni proteiche secondo l’NRC e solubilità secondo il sistema CNCPS


Proteina metabolizzabile

  • Un ulteriore parametro considerato è quello della proteina metabolizzabile (MP) definito come la proteina vera che viene digerita a livello post-ruminale e che fornisce quindi gli aminoacidi assorbiti a livello intestinale.
  • La proteina degradabile e quella non degradabile hanno due funzioni ben distinte:
    • La prima fornisce una miscela di peptidi, aminoacidi e ammoniaca per la crescita della microflora ruminale e la sintesi di proteina microbica. La proteina microbica fornisce la maggior parte degli aminoacidi che vengono assorbiti nell’intestino.
    • La seconda a livello ruminale è la seconda più importante fonte di aminoacidi assorbibili dall’animale.

Degradabilità ruminale della proteina

La degradabilità ruminale della proteina è influenzata da diversi fattori

La costituzione chimica: fattore più importante, e all’interno di questa si devono considerare la concentrazione di NPN (azoto non proteico) rispetto alla proteina vera e le caratteristiche fisiche e chimiche delle proteine che costituiscono la frazione proteica vera dell’alimento.

[La degradazione dell'NPN è così rapida (>300%) che la sua degradabilità è assunta essere del 100%. Questo assunto non è completamente corretto perchè oltre al coefficiente di degradazione (Kd) bisogna tener conto anche del tasso di passaggio (Kp).]

Per quanto concerne la proteina vera, la struttura tridimensionale può notevolmente influenzare la degradabilità, in quanto condiziona l’accesso dei batteri alla molecola stessa. Proteine ricche in legami incrociati (cross-linking), ad esempio ponti disolfuro naturalmente presenti in albumine e immunoglobuline, oppure legami causati da trattamenti termici, sono meno accessibili agli enzimi proteolitici e quindi degradate più lentamente. Per questo motivo i trattamenti termici degli alimenti possono diminuire la frazione degradabile della proteina, in favore di quella non degradabile.

Altri fattori influenzanti la degradabilità ruminale sono:

  • il tempo di ritenzione ruminale;
  • l’attività proteolitica microbica;
  • il pH ruminale.

Valore biologico

  • Per quanto concerne gli animali monogastrici, la valutazione di una fonte proteica tiene conto principalmente della quantità e qualità di aminoacidi assorbiti e dalla efficienza della loro utilizzazione a livello metabolico.
  • Essa dipende dalla composizione in aminoacidi di un alimento e dalla sua digeribilità.
  • Il valore biologico è definito come il rapporto tra l’azoto trattenuto e l’azoto assorbito da un animale.

V.B. = (N alim. – N feci – N urine) / (N alim. – N feci)

  • dove al numeratore figura la differenza tra l’N alimentare consumato e l’N perduto (feci, urine), cioè l’azoto trattenuto dall’organismo; al denominatore figura l’N alimentare consumato e l’N indigerito contenuto nelle feci, cioè l’azoto assorbito.
  • Il valore biologico così calcolato andrebbe in realtà depurato da due fonti di azoto endogeno:
    • l’azoto metabolico fecale (azoto di costituzione degli enzimi digestivi, degli acidi biliari, degli epiteli di sfaldamento del canale alimentare, delle spoglie della microflora intestinale);
    • l’azoto endogeno urinario (azoto derivante non dal catabolismo degli aminoacidi assunti con l’alimento, ma dal catabolismo degli aminoacidi e delle basi puriniche che provengono dal ricambio tissutale, l’azoto cioè che si troverebbe nelle feci anche con una dieta aproteica).

Valore biologico II

  • Il valore biologico di una proteina dipende dalla sua composizione in aminoacidi: infatti una proteina è utilizzata meglio tanto più la sua composizione aminoacidica si avvicina a quella della proteina da sintetizzare da parte dell’organismo animale.
  • Le proteine animali hanno una composizione aminoacidica molto più vicina a quella del corpo animale di quanto non abbiano le proteine vegetali.
  • La carenza di un solo aminoacido rispetto alla quantità richiesta (aminoacido limitante) è responsabile del basso valore biologico di una proteina alimentare, valore che può quindi essere migliorato integrando con l’aminoacido mancante.
  • Il valore biologico è decrescente passando da proteine animali, a quelle batteriche e infine a quelle vegetali.

Il contenuto proteico dei foraggi è influenzato da diversi fattori

  • STADIO VEGETATIVO: un foraggio a stadio vegetativo precoce ha un maggiore contenuto di proteina degradabile e un minor contenuto di proteina bypass, mentre contiene abbondante NPN (NH3, NO3, amine, aa). In uno stadio vegetativo tardivo aumenta la parete cellulare rendendo più difficile l’accesso alla cellula.
  • SPECIE: le leguminose sono più degradabili delle graminacee. Una eccezione è rappresentata da Lolium m.
  • CONCIMAZIONI: un eccesso di NO3 e NH4 nel terreno aumenta NPN del foraggio a discapito delle proteine
  • INSILAMENTO: a causa dei processi di parziale proteolisi, aumenta la quota degradabile sia per le leguminose che per le graminacee (ad eccezione del trifoglio violetto)

Contenuto proteico in vari alimenti zootecnici

Contenuto proteico in vari alimenti zootecnici


I materiali di supporto della lezione

Analisi chimica degli alimenti

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Progetto "Campus Virtuale" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, realizzato con il cofinanziamento dell'Unione europea. Asse V - Società dell'informazione - Obiettivo Operativo 5.1 e-Government ed e-Inclusion

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