Lezione a cura della dott.ssa Raffaella Tudisco
O.G.M . (Organismo Geneticamente Modificato)
“Ogni organismo, diverso dall’uomo, il cui materiale genetico è stato alterato in modo diverso da quanto si verifica in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genica naturale” *
* Direttiva 2001/18/CE Parlamento Europeo e del Consiglio del 12-3-2001
Nel corso dei millenni l’uomo ha sempre cercato di intervenire sulle piante operando una lenta selezione genetica, inizialmente in modo approssimativo e poi sempre più mirato, incrociando piante della stessa specie e selezionando tra i discendenti le varietà che avevano i caratteri desiderati, per produrre piante sempre più rispondenti alle proprie necessità e cioè più produttive e con migliori qualità nutrizionali.
Impiegando questi metodi tradizionali occorrono circa 10-15 anni per ottenere un nuovo tipo di pianta e, inoltre, spesso le caratteristiche vantaggiose si accompagnano a proprietà indesiderate.
Il progresso scientifico ha portato, così, a proporre interventi in grado di superare le cosiddette “barriere biologiche di specie” permettendo il trasferimento di geni distinti o gruppi di geni dal DNA di una specie a quello di un’altra.
Oggi, infatti, grazie alla manipolazione genetica, una specifica caratteristica può essere ottenuta in modo diretto e in breve tempo semplicemente aggiungendo nel genoma dell’organismo da modificare il gene per la sintesi del carattere ricercato.
La struttura del frammento esogeno (o costrutto genico), utilizzato per l’ottenimento di piante G.M., comprende il gene strutturale, responsabile delle nuove caratteristiche agronomiche, e le sequenze regolatrici della sua espressione (promotore e terminatore).
Gene strutturale
Regione di DNA che contiene le informazioni per la codifica di una proteina, fornendo pertanto le informazioni che determinano il fenotipo dell’organismo.
Promotore
Regione di DNA non trascritta a monte del gene, che regola i modi e i tempi della trascrizione genica.
Terminatore
Regione di DNA non trascritta a valle del gene, che funziona non solo come segnale di arresto della trascrizione del gene inserito o modificato, ma induce la poliadenilazione dell’mRNA.
Geni marker
Consente all’ospite di crescere su un particolare terreno selettivo.
Sono introdotti per identificare ed isolare le cellule che sono state modificate da quelle che non hanno acquisito il gene scelto.
Valutazione del rischio
I geni per la resistenza all’antibiotico usati come marker per le piante GM sollevano diverse preoccupazioni nel consumatore, in particolare per l’eventuale trasferimento genico orizzontale (HGT) di questi geni dal materiale vegetale GM ai microrganismi presenti nella microflora del tratto digerente, che indurrebbe in questi ultimi un aumento del livello di resistenza verso tali antibiotici.
Ciò potrebbe rappresentare un rischio per la salute umana ed animale, in quanto comprometterebbe il valore terapeutico degli antibiotici nel trattamento di determinate patologie.
Questa preoccupazione è alimentata anche dal fatto che l’uso intenso di antibiotici in medicina umana e veterinaria (in questo ultimo caso anche come promotori di crescita) ha già determinato un aumento dell’antibiotico resistenza nella popolazione microbica.
Sulla base dell’importanza nell’uso terapeutico dell’antibiotico corrispondente e della diffusione del gene di resistenza all’antibiotico nei batteri del suolo ed in quelli del tratto digerente, è stato possibile suddividere i geni marker in tre gruppi:
Gruppo I
È costituito da geni marker che sono già ampiamente distribuiti nei microrganismi del suolo e del tratto enterico e che conferiscono resistenza agli antibiotici che hanno nullo o limitato impiego terapeutico in medicina umana e veterinaria.
Gruppo II
È costituito da geni che sono ampiamente presenti nei microrganismi e che conferiscono resistenza agli antibiotici impiegati solo in determinate aree della medicina umana e veterinaria.
Gruppo III
presenza nel genoma delle piante transgeniche andrebbe evitata come misura preventiva per la salute umana ed animale.
Geni reporter
Causano cambiamenti di colore, fluorescenza o luminescenza: le cellule trasformate possono essere selezionate mediante esame visivo.
Esempi di questo tipo di geni sono la ß-glucuronidasi di E. coli (gene gus), che produce un colore blu da un substrato incolore e le due luciferasi, batterica (luxA e luxB) e della lucciola (luc), che producono segnali di fluorescenza.
Le principali tappe che consentono di ingegnerizzare una cellula vegetale, con la finalità di farle acquisire nuove e specifiche caratteristiche funzionali, sono:
I sistemi di introduzione del DNA esogeno per la trasformazione delle cellule vegetali possono essere divisi in metodi “diretti”, che fanno uso soprattutto di protoplasti (cellule vegetali private della parete cellulare) e sistemi “indiretti”.
La scelta del metodo di trasformazione è legata alle dimensioni del costrutto da inserire ed alla pianta che si vuole trasformare. Di solito, per le piante monocotiledoni (mais, riso, grano) si preferisce il trasferimento attraverso il metodo biolistico, mentre per le piante dicotiledoni è più efficace il trasferimento per mezzo del vettore del batterio Agrobacterium tumefaciens.
Metodi diretti
Elettroporazione: processo in cui brevi impulsi ad elevata tensione producono nella membrana plasmatica del protoplasto dei pori, attraverso cui il DNA può penetrare.
Metodo PEG (polietilenglicole): Protoplasto e DNA esogeno vengono posti in soluzione con il PEG, polimero organico che modifica la permeabilità della membrana del protoplasto.
Cannone a particelle (o metodo biolistico): DNA precipitato con CaCl2 sulla superficie di piccole sferette di tungsteno (diametro: 1 mm), queste vengono “sparate” direttamente nelle cellule della pianta con uno speciale dispositivo, che utilizza la polvere da sparo, l’aria compressa o l’elio per fornire la forza propulsiva. Grazie all’elevata velocità, i proiettili attraversano la parete e la membrana cellulare.
Metodo indiretto
Prevedono l’uso di vettori batterici o virali resi innocui e modificati precedentemente, in grado di infettare le piante. Il vettore più largamente utilizzato è il plasmidio Ti di Agrobacterium tumefaciens.
L’A. tumefaciens è un batterio del suolo che, inserendo geni estranei nelle piante, aderisce alla superficie lesionata della pianta e costringe le cellule vegetali vicine a proliferare e formare un tumore, detto “galla del colletto”, con la formazione di particolari sostanze, le opine, utilizzate come cibo dal batterio.
Il batterio presenta, oltre al suo cromosoma, un mini-cromosoma circolare (“plasmide induttore di tumore”-Ti), all’interno del quale è presente una regione specifica (T-DNA), che si integra nel genoma della pianta. Il T-DNA contiene sequenze che codificano la produzione di nutrienti batterici e la formazione del tumore; sono questi che vengono sostituiti con i geni di scelta della trasformazione genetica.
Nel plasmidio Ti, in una regione esterna al T-DNA, vi sono i geni vir che regolano il trasferimento del T-DNA, producendo proteine essenziali per la trasformazione della cellula vegetale. Inoltre, esistono ulteriori geni, presenti nel cromosoma del batterio, responsabili del legame della cellula batterica alla cellula vegetale.
È importante che tutti i vettori “disarmati”, creati a partire dal plasmidio Ti, contengano particolari sequenze:
Secondo il rapporto elaborato dall’ISAAA (Internationl Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications), l’area di coltivazione di piante GM è in continua espansione (13% in più rispetto all’anno precedente) e ha raggiunto la superficie totale di 102 milioni di ettari.
Le specie vegetali GM maggiormente coltivate sono rappresentate dalla soia (51 milioni di ettari), dal mais (31 milioni di ettari), dal cotone (13 milioni di ettari) ed infine dalla colza (5 milioni di ettari).
La tolleranza agli erbicidi a base di glifosate o glufosinate ammonio è il carattere che contraddistingue gran parte delle attuali colture transgeniche. Varietà di soia, mais, colza o cotone che possiedono questa tolleranza sono state coltivate nel 2007 su 72,2 milioni di ettari, equivalenti al 63% della superficie transgenica globale. Le colture transgeniche con resistenza agli insetti sono state invece coltivate su 20,3 milioni di ettari (18% della superficie transgenica globale). Un crescente successo di mercato, infine, viene riscosso da varietà che cumulano i due caratteri transgenici (tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti), presenti sia nel cotone che nel mais, che vengono attualmente coltivate su 21,8 milioni di ettari, equivalenti a circa l’19% della superficie transgenica globale.
La lotta alle erbe infestanti (o malerbe) mediante l’uso di appositi erbicidi costituisce un aspetto fondamentale delle moderne tecniche di coltivazione.
Gli erbicidi non sono molto selettivi in quanto agiscono alterando processi fisiologici caratteristici delle piante, quali la fotosintesi e la biosintesi degli aminoacidi.
Con le tecniche del DNA ricombinante sono state prodotte numerose piante transgeniche tolleranti ad erbicidi non selettivi (a ridotto impatto ambientale), che sono biodegradabili e quindi maggiormente utilizzabili.
Il glifosate è un erbicida non selettivo che agisce per assorbimento attraverso le parti verdi della pianta inibendo un enzima, il 5-enolpiruvato-3-fosfoscikimato acido sintasi (EPSPS sintasi), coinvolto nella biosintesi degli aminoacidi aromatici (fenilalanina, tirosina e triptofano), di alcune vitamine e di altri metaboliti secondari della pianta.
Per ottenere piante tolleranti al glifosate si introducono geni codificanti per gli enzimi EPSPS, con affinità ridotta per il glifosate, o geni codificanti per enzimi che degradano il glifosate.
La soia RoundUp Ready (RR) è la prima pianta transgenica arrivata in commercio in Europa.
Presenza nella soia RR del gene codificante per l’enzima EPSP sintasi derivato dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens, inserito tramite la tecnica del “cannone a particelle” .
Il glufosinato d’ammonio è una miscela stereo-isomerica prodotta industrialmente dai sali di ammonio di l- e d- fosfinotricina (PPT).
Di solito la fosfinotricina (PTT) inibisce l’enzima glutammina sintetasi (GS), provocando l’accumulo di ammoniaca nei tessuti della pianta.
Per ottenere piante tolleranti a tale erbicida, occorre introdurre il gene (pat o bar) codificante per la fosfinotricina acetil-trasferasi derivante dallo Streptomyces viridochromogenes o hygroscopicus, rispettivamente, che induce acetilazione ed inattivazione del glufosinate .
Almeno il 13-20% della produzione agricola mondiale viene danneggiata irrimediabilmente dalle infestazioni di insetti prima e dopo la mietitura, recando gravi danni economici.
La forma larvale dell’insetto è in grado di penetrare all’interno del fusto della pianta determinando:
Le piante resistenti agli insetti presentano un gene del batterio Bacillus thuringiensis che codifica per una proteina insetticida cristallina (Bt o Cry).
L’attività insetticida della tossina è contenuta nel corpo parasporale del batterio. Una volta solubilizzato il cristallo, la proteina viene messa in libertà come pro-tossina non attiva.
Se l’insetto bersaglio ingerisce un cristallo parasporale, l’azione combinata del pH intestinale (7,5 – 8,0) con una specifica proteasi digestiva attiva la protossina. La forma attiva della tossina si inserisce nella membrana dell’epitelio intestinale dell’insetto, creando un canale ionico attraverso il quale si perde l’ATP cellulare; in poco tempo cessa il metabolismo cellulare, l’insetto non si alimenta e muore.
Ogni ceppo batterico di B. thuringiensis produce una tossina differente che ha lo scopo di uccidere insetti specifici: ad esempio, il B. thuringiensis subsp. Kurstaki è tossico per le larve dei lepidotteri, quali tarme e farfalle; il B. thuringiensis subsp. Israelensis uccide i ditteri; il B. thuringiensis subsp. Tenebrionis agisce sui coleotteri.
Le tossine insetticide dei migliaia di ceppi di B. thuringiensis esistenti ed isolati si possono suddividere in base all’attività insetticida in quattro classi principali: CryI, CryII, CryIII e CryIV. Queste proteine, a loro volta, si organizzano in sottoclassi (A, B, C…) e sottogruppi (a, b, c…) in base alla sequenza di DNA del gene della tossina.
Le ß-esotossine sono secrete dai batteri ed hanno effetto antimitotico. Possono provocare alterazioni cromosomiche ed inibizione enzimatica anche negli animali superiori.
Per immettere un prodotto transgenico sul mercato questo deve subire una valutazione di sicurezza basata innanzitutto sul “Principio di sostanziale equivalenza” (FAO/WHO, 1992; OECD, 1993):
“le valutazioni inerenti la sicurezza d’uso dei prodotti alimentari derivanti dall’applicazione delle tecniche del DNA ricombinante devono essere effettuate, laddove possibile, prendendo come base per il confronto, la controparte tradizionale”
Il recente contendere sul significato e sull’uso dell’equivalenza sostanziale deriva dal fatto che la sua interpretazione può essere considerata come prova di sicurezza dell’OGM o, alternativamente, come omissione della valutazione di rischio ambientale e alimentare.
I Governi dei Paesi appartenenti alla Comunità Europea hanno mantenuto un atteggiamento più sostenuto, attuando le proprie scelte in base al “Principio di Precauzione“:
“dare regole e di attuare tutte le possibili strategie per prevenire il rischio di danni gravi ed irreversibili alla specie umana, animale ed all’ambiente”
La valutazione dovrebbe considerare i potenziali effetti cumulativi a lungo termine risultanti dall’interazione con altri OGM e con l’ambiente.
I recenti sviluppi della normativa europea ed italiana in campo alimentare mostrano una netta tendenza verso la necessità di fornire al consumatore, oltre ad una sicurezza microbiologica, anche chiare indicazioni su diversi aspetti qualitativi dei prodotti.
La Direttiva CE 2001/18 (Decreto Legislativo 224 del 2003) stabilisce regole per l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM a scopo di ricerca e sviluppo o per il mercato.
I Regolamenti CE n°1829/2003 e n°1830/2003 garantiscono una chiara e corretta informazione su tracciabilità ed etichettatura degli OGM sia per gli alimenti ad uso umano che per le materie prime ed i mangimi destinati agli animali da reddito.
In particolare, l’art. 12 per gli alimenti e l’art. 24 per i mangimi (Regolamento CE n° 1829/2003) obbligano l’etichettatura per gli alimenti ed i mangimi che contengono, sono costituiti o prodotti a partire da OGM in misura superiore allo 0.9% degli ingredienti alimentari considerati individualmente o degli alimenti costituiti da un unico ingrediente, purchè tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.
GM Food & Feed – Authorisation
La necessità di rispondere alla normativa comunitaria in materia OGM ha fatto sorgere la necessità di creare metodi di analisi in grado di discriminare tra campioni contenenti OGM rispetto a quelli “OGM-free”.
Attualmente, per svelare modificazioni geniche nelle piante coltivate, vengono utilizzate:
Gli OGM presentano un genoma alterato che può portare all’espressione di nuove proteine.
Sono stati perciò sviluppati sistemi analitici di tipo ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay) per la ricerca quantitativa e semi-quantitativa di alcuni tipi di proteine transgeniche.
Il metodo ELISA utilizza: anticorpo per legare la proteina specifica; secondo Ac (facoltativo) per amplificare la ricerca; Ac coniugato con un enzima (ad esempio, la perossidasi), il cui prodotto genera un colore, dopo aggiunta del substrato specifico.
Grazie alla formazione del colore, è possibile, mediante spettrofotometro, visualizzare la quantità di proteina presente nel campione in esame, confrontando la curva ottenuta con quella standard.
L’intensità dell’assorbanza sarà infatti proporzionale alla concentrazione di proteina presente.
Un metodo alternativo consiste nell’uso delle strip a flusso laterale: combinazione di un Ac specifico immobilizzato, che ha lo scopo di catturare la proteina di interesse, e di un Ac coniugato, che viene utilizzato per la visualizzazione della banda contenente la proteina.
E’ una tecnica altamente sensibile e specifica e determina un aumento esponenziale della concentrazione del DNA bersaglio.
È indispensabile denaturare il frammento di DNA bicatenario in modo da ottenere due catene separate ed utilizzare due oligonucleotidi (primers di 15-20 bp), ognuno complementare ad una catena.
Affinché venga amplificata la sequenza di interesse è importante utilizzare una miscela di nucleotidi trifosfati (dNTP) ed un enzima (Taq polimerasi), isolato da un batterio termofilo (Termophilus Aquaticus) che si lega al DNA monocatenario da amplificare.
La PCR si compone di 25/50 cicli, ognuno dei quali è composto da:
La PCR è considerata l’approccio analitico ufficiale per la ricerca di frammenti transgenici in alimenti.
L’assorbimento di DNA di origine alimentare, nell’uomo, varia da 0.1 a 1 grammo al giorno (Doerfler, 2000), ed include frammenti di geni diversi che derivano da DNA vegetale, animale e batterico. Nella maggior parte dei casi il DNA estraneo, detto anche esogeno, sembra essere inattivato e degradato dalle nucleasi della saliva, dal pH dello stomaco o da altre endonucleasi presenti nell’intestino tenue (Mercer et al.,1999; Duggan et al., 2000; Mercer et al., 2001).
Tuttavia vi sono evidenze scientifiche che confermano il passaggio di frammenti di DNA attraverso la barriera intestinale, imputabile anche all’interazione tra il materiale genetico e alcune proteine o sostanze minerali, che eserciterebbero una funzione protettiva nei confronti dei meccanismi di degradazione prima descritti. Sebbene DNA e RNA siano degradati nel tratto gastro-intestinale dei mammiferi, questa degradazione è incompleta e lenta.
Ricerche in merito sono state condotte solo recentemente sulla persistenza dei frammenti di DNA vegetale transgenico di origine alimentare. In particolare il gruppo di ricerca di Alimentazione animale della Facoltà di medicina Veterinaria ha svolto diverse indagini in tal senso.
In tutte le indagini di seguito riportate hanno previsto: estrazione DNA da sangue, tessuto muscolare, organi e contenuto gastro-intestinale di diverse specie di animali, nonché da campioni vegetali.
Una volta estratto il DNA si è proceduto alle seguenti fasi:
1a fase
Ricerca frammento gene mitocondriale in campioni di origine animale.
2a fase
Ricerca frammento gene cloroplastico ad alto numero di copie in campioni di origine animale e vegetale.
3a fase
Ricerca frammento geni specifici del genoma vegetale a singola copia in campioni di origine animale e vegetale.
Ricerca del frammento cloroplastico ad alto numero di copie (a) e specifico (b) a singola copia del mais (alcol deidrogenasi I-adhI) in campioni di bufali alimentati con una dieta standard.
Ricerca del frammento cloroplastico (trnL) ad alto numero di copie (a) e di quello specifico a singola copia (lectina) della farina di estrazione di soia (soia f.e.) e della soia f.e. transgenica (promotore 35S) in campioni di conigli.
Nessun frammento del gene a singola copia (lectina) e del promotore 35S (soia f.e. transgenica) nei campmioni di entrambi i gruppi di animali.
Analisi dietetico-nutrizionali eseguite sul muscolo del coscio sinistro di conigli appartenenti ad entrambi i gruppi in esame
Campionatura
Analisi
Ricerca frammento cloroplastico (a) e di quello specifico (b) della soia f.e. (lectina) in campioni di latte prelevato da capre alimentate con soia f.e. convenzionale (gruppo C) e transgenica (gruppo T).
Ricerca frammenti transgenici (promotore 35S e gene CP4 epsps) in campioni di latte prelevato da capre alimentate con soia f.e. convenzionale (gruppo C) e transgenica (gruppo T)
Ricerca frammenti cloroplastico, lectina e transgenici (promotore 35S e gene CP4 epsps) in campioni di organi di capretti alimentati con il solo latte di capre alimentate con soia f.e. convenzionale (gruppo a) e transgenica (gruppo b).
Aumento significativo dell’attività enzimatica dei seguenti enzimi
Isoenzimi
Organi di capretti alimentati con solo latte di capre alimentate con soia convenzionale (centro) e transgenica (destra)
I geni a singola copia (quali sono tutti i transgeni) risultano ancora di difficile rilevazione rispetto a quelli multicopia.
I risultati negativi nella ricerca dei transgeni nei tessuti animali potrebbero essere attribuiti alle metodiche di analisi la cui sensibilità potrà essere ancora migliorata.
Gli animali alimentati con soia GM, pur non evidenziando sofferenza clinica o alterazioni dei profili metabolici, mostrano un incremento della produzione di LDH in alcuni tessuti.
Altri autori hanno mostrato che, in seguito a diete OGM, è possibile rilevare significative modificazioni ultrastrutturali dei componenti nucleari generalmente attribuibili ad un incremento del metabolismo cellulare (Malatesta et al., 2002).
La ricerca sui possibili effetti di una dieta GM merita ulteriori approfondimenti dal momento che i dati reperibili in letteratura sono limitati e spesso pubblicati con il chiaro intento di sponsorizzare alimenti transgenici.
La ricerca andrebbe effettuata per periodi più lunghi al fine di verificare gli effetti di un insulto cronico e la possibilità di trasmissione alle generazioni successive.
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10. Valutazione degli insilati
Bernard R.G. and Pasternak J.J. Biotecnologia molecolare. Principi e applicazioni del DNA ricombinante. Ed. Zanichelli (2003). Cap. 17 e Cap. 18
Poli G. Biotecnologie. Conoscere per scegliere. Ed. UTET (2001)
Gilman M., Wason J.D., Witkowski J., Zoller M. DNA ricombinante. Seconda edizione. Ed. Zanichelli (1994). Cap. 24