Oltre alla variabilità analitica discussa nella precedente lezione, i risultati analitici possono variare in base alla variabilità biologica. In altri termini, una serie di fattori legati all’individuo possono essere responsabili del fatto che, i valori di un parametro analitico possano variare nello stesso individuo (anche se non sono intervenute patologie), oppure siano differenti da soggetto a soggetto.
Variabilità biologica controllabile:
Variabilità biologica non controllabile:
Sommando gli effetti della variabilità analitica e di quella biologica, si ottiene una variabilità totale, il cui effetto è chiamato differenza critica. La differenza critica indica di quanto un determinato valore di laboratorio può cambiare, senza indicare il cambiamento dello stato fisiopatologico di un individuo.
Poiché la variabilità biologica non può essere modificata, per ridurre la differenza critica è necessario ridurre la variabilità analitica, ossia cercare di ottenere metodi di laboratorio sempre più accurati e precisi.
L’obiettivo analitico (o traguardo analitico) è definito da una variabilità analitica inferiore o uguale alla metà della variabilità biologica intra-individuale per ciascun parametro di laboratorio:
CVA = 1/2 CVI
Dove CVA = Variabilità analitica e CVI = Variabilità biologica individuale.
Ad obiettivo raggiunto, l’imprecisione analitica incide per meno del 12% sulla variabilità totale del risultato.
La differenza critica (Dcr) è quindi la differenza minima tra due valori ottenuti sullo stesso paziente che può essere considerata significativa; permette di stabilire con una probabilità definita se la differenza fra due risultati per uno stesso paziente deve essere considerata significativa.
I PARAMETRI DA CONOSCERE per il calcolo della differenza critica sono la variabilità analitica-CV(a) e la variabilità biologica-CV(b).
Su base statistica si valuta che la differenza di misure successive nel tempo di uno stesso analita è significativa (o critica) quando il suo valore è ≥ 2.77 x CVt.
Differenza critica % = K x CV(t)
Con il fattore 2,77 vi sono 5 probabilità su 100 che la differenza osservata sia dovuta a fluttuazioni casuali dei risultati e 95 su 100 che indichi variazioni significative.
Bisogna stabilire se la terapia eseguita è stata efficace o meno sapendo che:
CV(t)= √CV(a2) + CV(b2)
CV(t)= √CV(32) + CV(62)
CV(t)= √CV(9) + CV(36)
CV(t)= √45
CV(t)= 6.7
Differenza critica % = 2.77 x CV(t)
Differenza critica % = 2.77 x 6.7 = 18.6%
Quindi, la differenza critica è stata valutata pari al 18.6 %. La differenza osservata tra i due valori di colesterolo (210 e 185) è del 12%, di conseguenza non possiamo affermare che la terapia è stata EFFICACE, perché la differenza dei valori ottenuti potrebbe dipendere soltanto dalla variabilità analitica e biologica.
Quando si effettua una determinazione di laboratorio, per poter interpretare il risultato è necessario seguire due passaggi:
Quindi, per ogni determinazione di laboratorio che preveda un risultato quantitativo, è necessario conoscere gli intervalli di riferimento.
Sarebbe opportuno che ogni laboratorio calcolasse gli intervalli di riferimento per ciascun analita. Tuttavia, nel nostro laboratorio può essere sufficiente utilizzare i valori di riferimento calcolati in altri laboratori, purché:
Una popolazione di riferimento per calcolare gli “intervalli di riferimento” si sceglie in base a criteri di partizione e criteri di esclusione.
I criteri di partizione sono:
I criteri di esclusione sono:
Per intervallo di riferimento si intende un intervallo che includa una FRAZIONE PREFISSATA della popolazione di riferimento.
Tra gli individui “normali” ci si aspetta che i valori dei singoli analiti abbiano variazioni compatibili con la normale variabilità tra un soggetto ed un altro.
Se questa variabilità è veramente casuale questi valori seguiranno una distribuzione NORMALE o GAUSSIANA.
Considereremo come intervalli di riferimento quelli compresi nell’intervallo tra la media e due deviazioni standard a destra o a sinistra della media; in questo modo avremo considerato i valori presenti nel 95% della popolazione di riferimento.
Nell’uso degli intervalli di riferimento occorre ricordare alcuni punti fondamentali:
Ovviamente per gli analiti i cui intervalli di riferimento variano in base all’età e al sesso, il laboratorio dovrà riportare sul referto, di volta in volta, gli intervalli di riferimento corrispondenti all’età e al sesso del soggetto in esame.
Il CONFRONTO DEL RISULTATO ottenuto CON I VALORI DI RIFERIMENTO permette di discriminare subito una condizione (normale o patologica), tuttavia esistono dei limiti dei valori di riferimento:
Alcuni analiti hanno una distribuzione asimmetrica (es. la bilirubina sierica), e quindi non è corretto calcolare gli intervalli di riferimento con la procedura dell’analisi statistica parametrica (o gaussiana).
Poiché gli intervalli di riferimento sono pari alla media ottenuta nella popolazione di riferimento più o meno 2 DS. il 5% dei soggetti normali presenterà valori dell’analita al di fuori delle 2 DS (cioè al di fuori degli intervalli di riferimento) pur non avendo nessuna patologia in atto. In questo caso ricordiamo la regola che l’esame di laboratorio da solo non serve mai a formulare o escludere una diagnosi, ma va valutato nel contesto clinico di ogni paziente.
Per alcuni parametri non è corretto parlare di intervalli di riferimento, ma si parla di valori decisionali, valori desiderabili o altro. Nella lezione sul metabolismo lipidico mostreremo come, per il colesterolo e per i trigliceridi sierici invece di utilizzare gli intervalli di riferimento si utilizzino i valori desiderabili.
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