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Giovanni Paolella » 15.Cromatografia


Biotecnologie cellulari e molecolari

Cromatografia

Prof. Giovanni Paolella

Dott. Leandra Sepe

Prof. Mara Bevilacqua

Cromatografia

La cromatografia è una tecnica in uso da molto tempo che permette di separare molecole sulla base di interazioni specifiche con un ligando immobilizzato (fase stazionaria). I primi esperimenti risalgono al 1903, quando Mikhail Tswett separa pigmenti estratti da piante mediante cromatografia di adsorbimento usando carbonato di calcio come adsorbente e una miscela di benzina e etanolo come eluente.
La cromatografia è un metodo chimico-fisico di separazione, basato sulla diversa distribuzione di composti in due fasi non miscibili. La separazione cromatografica consiste nello sfruttare la diversa capacita che ogni molecola o ione possiede nel distribuirsi fra le due fasi. La separazione avviene nel corso del passaggio di una fase mobile attraverso una fase stazionaria. Le fasi possono essere solide, liquide o gassosse in varie combinazioni in dipendenza del tipo di cromatografia, ad esempio fase mobile liquida e stazionaria solida o liquida, oppure fase stazionaria liquida e fase mobile gassosa.
Le tecniche cromatografiche possono essere classificate sulla base della matrice usata per la fase stazionaria, del tipo di fase mobile, del meccanismo di interazione tra le molecole da separare e il sistema cromatografico o infine sulla base della tecnica usata per l’eluizione.

Meccanismi di separazione

La separazione cromatografica avviene in base a principi diversi:

  • assorbimento
  • ripartizione
  • scambio ionico
  • esclusione
  • affinità

Le interazioni che si instaurano tra molecola e fase stazionaria sono spesso legami chimici secondari (in certi casi si arriva a meccanismi piu complessi come lo scambio ionico). Il coefficiente di ripartizione (Kd) di una data molecola è definito come il rapporto tra la sua concentrazione nella fase mobile e quella nella fase stazionaria.

Supporto

Le matrici in uso per la fase stazionaria sono selezionate per avere alta resistenza meccanica, alta stabilità chimica, alta capacità e gruppi funzionali per l’eventuale legame. I materiali piu utilizzati per le fasi stazionarie sono:

  • Agarosio: polisaccaride di unità di D-galattosio
  • Agarosio: polisaccaride di unità di D-galattosio
  • Cellulosa: polisaccaride di unità glucosio
  • Destrano: polisaccaride di glucosio
  • Poliacrilammide
  • Silice: polimero idrofilo costituito da ortosilicati
  • Polistirene: polimero di stirene stabile a vari pH

Queste matrici possono essere utilizzate, a seconda dell’organizzazione sperimentale, per cromatografie di tipo diverso, ad esempio:

  • Cromatografia planare: su carta (ascendente o discendente); su strato sottile (TLC).
  • Cromatografia su colonna: a scambio ionico; per filtrazione su gel; per affinità; di ripartizione; di assorbimento.

Cromatografia su carta

Nella cromatografia su carta, la fase stazionaria (in genere l’acqua) è sostenuta dalle fibre di cellulosa che costituiscono il foglio di carta. La fase mobile fluisce attraverso quella stazionaria per sola capillarità (cromatografia ascendente) o anche per gravità (discendente).

Si tratta di una cromatografia di ripartizione, caratterizzata da limitata sensibilità ed applicabilità.

Cromatografia su strato sottile

Nella cromatografia su strato sottile, la fase stazionaria è contenuta in un sottile strato di matrice solida, stratificata su una lastra di vetro, plastica o metallo. La fase mobile passa attraverso quella stazionaria per capillarità in senso verticale. E’ utilizzata per scopi analitici ed ha il vantaggio di poter analizzare simultaneamente piu campioni.
Lo strato sottile contenente la fase stazionaria ha uno spessore dell’ordine di 100-300 µ. Il campione viene applicato in un punto a poca distanza dal margine della lastra, che viene immerso nella fase mobile. Questa, per capillarità tende ad andare verso l’alto trascinando i diversi componenti della miscela che si separeranno se hanno diversi coefficienti di ripartizione tra la fase stazionaria contenuta nello strato sottile e la fase mobile, localizzandosi in punti diversi della lastra, alla fine della corsa cromatografica. Gli analiti possono essere rivelati con vari metodi, ad esempio colorimetrici, fluorimetrici, autoradiografici. L’analisi densitometrica del cromatogramma può essere utilizzata per scopi quantitativi.
La posizione degli analiti sul cromatogramma viene utilizzata per determinare il valore Rf (Retardation factor), che rappresenta il rapporto tra la distanza percorsa dall’analita e quella del fronte della fase mobile, a partire dal punto di deposizione del campione.
La separazione può essere migliorata se la cromatografia viene eseguita in 2 dimensioni, ruotando di 90° la lastra dopo la corsa e procedendo con un’altra separazione, in presenza di una fase mobile di diversa composizione. In questo modo si ottiene cosi la risoluzione di componenti non separabili con una sola corsa.

Cromatografia su colonna

Nella cromatografia su colonna, la fase stazionaria, in genere associata a una matrice inerte e insolubile, è contenuta in una colonna di vetro, plastica o metallo. La fase mobile passa attraverso quella stazionaria in seguito alla pressione generata per gravità dal dislivello del liquido o dalla roptazione di una pompa peristaltica. Le colonne correntemente in uso sono corrredate di valvole, rubinetti, sistemi di collegamento che ne facilitano l’utilizzo. La tecnica è utilizzata sia per scopi analitici che preparativi.

Tipicamente si procede in questo modo:

  • La colonna viene preparata equilibrabdo la matrice con il mezzo utilizzato per la fase stazionaria.
  • Si applica il campione.
  • Si eluisce con un flusso di soluzione.
  • Le molecole vengono trattenute in maniera diversa perchè interagiscono diversamente con la fase stazionaria.
  • L’eluito viene raccolto in frazioni con un collettore automatico.

L’ efficienza della colonna dipende da: N, il numero di piatti teorici, cioè lo spazio in cui l’analita si equilibra completamente tra le due fasi; H, l’ altezza del piatto stesso.
La risoluzione di una colonna dipende quindi da: 1) altezza del piatto; 2) lunghezza della colonna che determina il numero di piatti teorici. I valori di N e di H variano per analiti diversi.

Diversi tipi di cromatografia vengono tipicamente effettuati su colonna: a scambio ionico; ad esclusione molecolare; ad interazione idrofobica; per assorbimento; per affinità.

Sistema cromatografico

La cromatografia su colonna può essere effettuata in maniera anche completamente manuale, ma dispositivi elettromeccanici o elettronici sono spesso usati per automatizzare il processo e renderlo più riproducibile. Un sistema cromatografico prevede l’utilizzo di pompe per tenere costante attraverso la colonna il flusso della soluzione che costituisce la fase mobile, di un dispositivo di rivelazione, in genere un spettrofotometro, in grado di seguire le molecole eluite, di un registratore che genera un tracciato, detto cromatogramma e, opzionalmente un collettore dei campioni per scopi preparativi. Il cromatogramma descrive l’andamento del segnale al rivelatore, in funzione del tempo o del volume di eluente a partire dall’istante in cui la miscela viene introdotta in colonna (t = 0).
Il tempo impiegato da ciascuna sostanza per scorrere attraverso la colonna è definito tempo di ritenzione (tR), ed è misurato a partire dall’istante in cui la miscela viene introdotta nello strumento, fino all’istante in cui si registra il massimo del tracciato cromatografico. Il tempo di ritenzione di una sostanza non trattenuta dalla fase stazionaria si dice invece tempo morto ™; il tempo effettivamente speso da ogni sostanza eluita nelle interazioni chimico-fisiche con la fase stazionaria, tempo di ritenzione corretto (t’R), risulta quindi, pari a tR-tm.

Il cromatogramma

Il cromatogramma viene analizzato per scopi qualitativi e quantitativi. In condizioni ideali ogni specie molecolare eluita dalla colonna genera un picco nel cromatogramma. Per ciascun picco, il fattore di ritenzione permette di identificare il tipo di molecola eluita, mentre l’area sottesa dalla curva è proporzionale alla quantità. Per la valutazione quantitativa di un cromatogramma, per ciascun picco si definiscono i seguenti parametri:

  • altezza (h), la distanza tra il punto massimo e la linea di base;
  • larghezza alla base (Wb);
  • larghezza a metà altezza (Wh)

In un dato sistema cromatografico, la larghezza dei picchi dipende dalla quantità e dal tipo di specie molecolare, oltre che dal tempo di ritenzione: i picchi in uscita da un sistema cromatografico sono tanto piu larghi quanto maggiore e il tempo di ritenzione. La risoluzione di una colonna indica il grado di separazione dei picchi ottenuti al rivelatore di un sistema cromatografico; bande ben separate lungo la colonna generano picchi distinti e sufficientemente stretti da non sovrapporsi. Si definisce capacità di una colonna la quantità di campione che puo essere separata senza sovrapposizione di picchi.

Efficienza di un sistema cromatografico

La capacità di un sistema cromatografico di eluire tutte le particelle di una data specie chimica con la stessa velocità, in modo da generare picchi molto stretti e ben separati, si definisce efficienza. In due separazioni cromatografiche su colonne che hanno uguale selettività ma diversa efficienza, si osseva che in quella caratterizzata da bassa efficienza (a), le bande dei composti A e B sono molto larghe e percio si sovrappongono, mentre in quella dotata di buona efficienza (b), le bande sono strette e perciò ben distinte.

Cromatografia a scambio ionico

Nella cromatografia a scambio ionico, la fase stazionaria è costituita da scambiatori di ioni, cioè resine costituite da una matrice inerte con gruppi funzionali ionizzabili, che scambiano i propri controioni con altri di uguale carica presenti nei componenti della miscela da separare. Possono essere usati scambiatori più o meno forti, a seconda della loro ionizzazione a diversi pH. La fase mobile contiene ioni che competono con quelli legati alla matrice.

Le resine possono essere scambiatrici di:

  • cationi: la matrice contiene gruppi CM (carbossimetilici), a carica negativa;
  • anioni: la matrice contiene gruppi DEAE (CH2-CH2-NH(CH2CH3)++), a carica positiva.

Le proprieta chimico-fisiche delle resine a scambio ionico dipendono da:

  • composizione e struttura della matrice;
  • natura e forza di scambio dei gruppi funzionali;
  • natura (acida, basica o neutra) del controione;
  • granulometria;
  • capacità di rigonfiamento;
  • capacità di scambio;
  • inerzia chimica e termica.

Cromatografia a scambio ionico

La procedura avviene in due tempi: per il caricamento il campione viene sciolto in un tampone cationico (es. Tris) o anionico (es. acetato) con pH e forza ionica tali da assicurare il legame degli analiti che si desidera separare alla matrice. Questa deve ovviamente essere equilibrata nello stesso tampone del campione. Per l’eluizione: si effettua prima un lavaggio della fase stazionaria con lo stesso tampone per eluire i componenti non legati, mentre i componenti legati alla fase stazionaria vengono eluiti generalmente con un gradiente di forza ionica e/o pH che può essere continuo o discontinuo. Il campione non viene diluito in quanto il volume di eluizione è piccolo.

La tecnica è adatta per grandi volumi e grandi quantità di proteina (1-5 g proteina per 100 ml), ma è limitata alla separazione di molecole ionizzabili.
Le proteine vengono eluite in concentrazioni anche alte di sali, da rimuovere successivamente mediante dialisi.

Separazione di amminoacidi

La separazione di amminoacidi può essere ottenuta per cromatografia ascambio ionico, nelle seguenti condizioni:

  • Fase stazionaria: scambiatore cationico forte polistirene solfonato
  • Fase mobile: tampone citrato/acido citrico
  • Eluizione con gradiente di pH e forza ionica, ad esempio citrato/acido citrico da pH 2 a pH 5 e di ioni Na+ da 0,2 a 0,4M

Gli aminoacidi vengono eluiti sequenzialmente quando i valori del pH si avvicinano al loro punto isoelettrico:

  • a pH basso: acidi (es. Asp, Glu)
  • a pH neutro: neutri (es. Gly, Val)
  • a pH basico: basici (es. Lys, Arg)

Un analizzatore di amminoacidi contiene un sistema continuo di registrazione dell’eluato: nel cromatogramma ad ogni picco corrisponde un amminoacido.

Filtrazione su gel

La filtrazione su gel è una tecnica molto diffusa, in cui la fase stazionaria è costituita di granuli di gel con pori di dimensione controllata: le dimensioni dei pori dipendono dal numero di legami trasversali presenti nella matrice di cui è costituito il gel, mentre la fase mobile è il solvente di eluzione. I componenti della miscela vengono separati in funzione delle loro dimensioni e forma: le molecole si ripartiscono fra volume del solvente all’interno ed all’esterno dei granuli e vengono ritardate in maniera differente. Le molecole piu grandi, passano attraverso la colonna cromatografica percorrendo un cammino extragranulare e sono eluite piu rapidamente, mentre le molecole piu piccole sono ritardate perchè entrano nei granuli del gel. La migrazione dipende quindi dalla capacità delle meolecole di entrare in un reticolo, che è funzione del raggio di Stokes, cioè il raggio di una particella sferica che diffonde allo stesso modo. E’ quindi in genere più piccolo della sfera occupata da una molecola che ruota su se stessa in soluzione. A parità di massa molecolare, molecole estese hanno un raggio di Stokes maggiore rispetto a molecole compatte.

In sintesi, nella filtrazione su gel:

  • L’interazione avviene tra la proteina e la matrice polimerica.
  • La matrice polimerica è fatta di microsfere con porosita’ controllata.
  • Le proteine interagiscono con i pori delle microsfere e vengono trattenute in base alla loro dimensione.

Se una proteina, molto grande, non interagisce con la matrice esce con un volume di eluente pari al Void Volume (volume vuoto).

Filtrazione su gel

Nella filtrazione su gel, le molecole più grandi si distribuiscono solo nel volume Vo (volume escluso), mentre quelle più piccole nel volume totale Vt e quelle intermedie nel volume di eluizione Ve. Per analogia con altri tipi di cromatografia, il coefficiente di distribuzione Kd viene definito come la frazione di fase stazionaria disponibile per un analita. Più usato è pero’ il parametro KAV, che viene definito come Kd= (Ve-Vo)/(Vt – Vo), dove:

  • Vo = volume vuoto (o morto), misurato facendo passare nella colonna una molecola molto grande rispetto alle dimensioni dei pori.
  • Vt = volume totale, il volume totale della colonna, misurato facendo passare una molecola molto piccola.
  • Ve = volume di eluzione di una data molecola.
  • Ogni analita ho un suo specifico valore di KAV che dipende dalle sue dimensioni o peso molecolare. Per un dato gel il rapoporto KAV/Kd è costante.

I principali limiti della tecnica sono legati alla bassa capacità (piccoli volumi) e alla necessità di usare soluzioni non viscose.

Determinazione del peso molecolare

La cromatografia per filtrazione su gel è usata analiticamente per la determinazione del peso molecolare. Per molecole di forma simile, infatti, c’è proporzionalità tra il coefficiente di partizione (KAV) e il logaritmo del Peso Molecolare.

Per determinare il peso molecolare relativo di una sostanza si procede effettuando una cromatografia di calibrazione, nella quale si determina il KAV di sostanze diverse a peso molecolare noto. Questi valori vengono usati per generare una curva di taratura, dalla quale poi si ricava il peso molecolare per interpolazione.

Cromatografia di ripartizione

Nella cromatografia di ripartizione, si sfrutta la tendenza delle molecole a ripartirsi diversamente tra due diverse fasi. Un esempio è la cromatografia per interazione idrofobica che sfrutta l’idrofobicità superficiale delle proteine dovuta alla presenza di residui amminoacidici non polari).

La fase stazionaria è una matrice inerte a cui sono legati gruppi idrofobici (radicali o gruppi ottilici, fenilici, butilici) mentre la fase mobile è un tampone apolare.

Per eseguire cromatografia ad alte prestazioni spesso si utilizza la cromatografia in fase inversa in cui la fase stazionaria è apolare mentre l’eluente e una soluzione polare.

HPLC

Per High Performance Liquid Chromatography (HPLC) si intende un tipo di cromatografia, basato su principi analoghi a quelli descritti fino a questo punto, ma effettuato su sistemi dedicati, capaci di fornire prestazioni molto elevate. La fase mobile viene fatta passare sotto elevata pressione, fino a 55 MPa (550 Bar), in colonne in genere di piccolo diametro (2-5 mm), resistenti alla pressione. La matrice è tipicamente costituita da particelle di ridotta dimensione (3-10µm) e il sistema, nel suo complesso è caratterizzato da alto numero di piatti teorici, che permettono separazioni di elevata qualità, in tempi rapidi, dell’ordine di 5-20 min. Il sistema è in genere in grado di utilizzare colonne di dimensioni diverse. Colonne più grandi permettono di separare quantità maggiori di campione, mentre colonne di lunghezza maggiore sono usate per migliorare le caratteristiche di separazione tra molecole simili.

HPLC in fase inversa

Il modo HPLC piu comune è probabilmente la separazione su colonne in fase inversa, caratterizzate da una fase stazionaria idrofobica legata a gel di silice e una fase mobile polare costituita da miscele di metanolo/acetonitrile e acqua. In queste condizioni gli analiti polari eluiscono prima mentre i non polari sono ritenuti più a lungo. Per l’eluizione può essere utilizzato un gradiente discendente di forza ionica o un gradiente ascendente di solventi organici (alcoli). In alcuni casi il legame risulta così forte che si rendono necessari detergenti. Il metodo può essere utlizzato per la separazione di proteine di membrana e per la separazione degli amminoacidi sulla base della loro diversa polarità.

HPLC

Per la valutazione analitica della HPLC, il sistema cromatografico prevede un rivelatore, che può essere basato su principi diversi, in dipendenza dal tipo di molecole in esame:

  • Rivelatori di assorbanza, a lunghezza d’onda fissa o variabile, o a scansione mediante serie di diodi
  • Rivelatori di fluorescenza
  • Misuratori di indice di rifrazione
  • Spettrometri di massa
  • Rivelatori di conducibilità
  • Rivelatori di radioattività

E’ riportato un cromatogramma ottenuto mediante utilizzo di un rivelatore di assorbanza.
Le applicazioni del metodo sono molto ampie e variegate e includono, per esempio, l’analisi della farmacocinetica e del metabolismo di farmaci di nuova sintesi, test di purezza e stabilità di materie prime utilizzate nell’industria alimentare, caratterizzazione di proteine, separazione di miscele di peptidi, di DNA, RNA e polinucleotidi.

Cromatografia di affinità

L’obiettivo della cromatografia per affinità è separare molecole sfruttando interazioni specifiche tra un ligando immobilizzato sulla fase stazionaria e le molecole stesse. E’ mostrato uno schema delle fasi attraverso le quali si svolge la procedura.

Il ligando è una molecola che si lega con alta specificità alla proteina di interesse e viene legato covalentemente ad una matrice inerte. Il ligando deve avere affinità elevata per catturare la molecola di interesse, ma non così alta da impedire il suo distacco senza denaturazione A causa dell’alta specificità di tali interazioni, la selettività della cromatografia per affinita è potenzialmente la più alta tra i tipi di cromatografia, offrendo la possibilità di purificazioni in one-step di una molecola specifica da una miscela anche molto complessa. Generalmente si utilizza un braccio spaziatore, di 6-10 atomi di carbonio, che facilita le interazioni tra il ligando e la proteina bersaglio.

La procedura di eluizione che consente il recupero della proteina favorendo il suo distacco dal ligando, può essere effettuata in diversi modi, per esempio mediante utilizzo di soluzioni ad alta concentrazione di ligando libero, oppure mediante soluzioni con pH o forza ionica diversi, che riducono l’affinità tra colonna e ligando.

Cromatografia di affinità

I ligandi per cromatografia di affinità vengono selezionati sulla base di alcune caratteristiche specifiche, per esempio:

  • Specificità assoluta
  • Selettività di gruppo
  • Capacità di legare una classe di composti correlati con caratteristiche strutturali e/o biochimiche simili (es. il 5′AMP lega reversibilmente le deidrognasi NAD+ dipendenti).

Ligandi tipicamente usati sono substrati di reazioni enzimatiche, inibitori, cofattori, recettori, basi di sequenza complementare, catene di poli-u o poli-t, enzimi, anticorpi, ormoni.

Le matrici utilizzate per immobilizzare il ligando sono caratterizzate da scarse interazioni aspecifiche e da buone proprietà di flusso, esse in genere sono costituite da gruppi chimici modificabili (NH3 -COOH -SH -OH) e sono stabili rispetto a variazioni di Ph, temperatura, etc. Tipicamente si utilizzano matrici di agarosio, cellulosa, destrano, poliacrilamide o sefarosio.

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Progetto "Campus Virtuale" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, realizzato con il cofinanziamento dell'Unione europea. Asse V - Società dell'informazione - Obiettivo Operativo 5.1 e-Government ed e-Inclusion

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