Agli inizi del secolo XIX, nel pieno delle guerre napoleoniche, il ministro degli esteri francese Talleyrand scriveva a Napoleone che da tempo “une alliance entre la France et la Prusse avait etè considérée comme propre à maintenir la paix sur le continent“; una proposta inattuata e un disegno antico, che sarebbe ritornato alla ribalta più volte nei secoli successivi e altrettante volte sommerso dalla ripresa delle ostilità fino al disastro della seconda guerra mondiale. Un disegno ripreso e rilanciato finalmente da grandi statisti e da più forti spinte favorevoli negli anni cinquanta del secolo XX.
Prendeva corpo l’esaltante esperienza della costruzione della nuova Europa. La strada fu quella di garantire la ripresa del vecchio continente, il suo adeguamento politico alle nuove esigenze dell’economia e dei rapporti internazionali. L’inizio della guerra fredda tra USA e URSS giocò, nella direzione della pace in Europa e della collaborazione tra Stati europei, un ruolo determinante. Forte fu anche la spinta a perseguire una riunificazione fondata sull’unità culturale del continente, sul prevalere dei partiti democratici sulle scorie dei totalitarismi.
L’assoluto bisogno di avviare una rapida ricostruzione economica era la molla potente per gli statisti e per i politici democratici, come Konrad Adenauer tra i fondatori di un movimento di unificazione europeo fondato sulla rinuncia definitiva delle antiche rivalità nazionali.
La comunità culturale e le esigenze dell’economia rappresentarono il denominatore comune di una concreta possibilità di risorgere dalle ceneri della guerra. Una serie di passaggi decisivi vanno percorsi per comprendere come si concretizzarono le condizioni realizzative di ciò che allora moltissimi consideravano un’utopia.
Una spinta essenziale venne dagli USA e dal piano Marshall. Nel 1947 Ernesto Rossi sottolineava che l’European Recovery Program (il famosissimo ERP) era una spinta verso nuove forme di collaborazione per superare gli ostacoli delle sovranità e delle frontiere nazionali. Certo era evidente il disegno di creare un fronte comune contro i pericoli di una espansione sovietica, ma era anche l’occasione per superare le barriere del protezionismo e dell’autarchia. Un disegno che ebbe nell’Organization for European Economic Cooperation (OECE) un elemento di novità e di integrazione.
Gli obiettivi americani ed europei trovavano una sintesi politica ed economica che passava per la creazione di un forte rapporto tra l’America ed un’Europa che abbandonasse progressivamente la filosofia dei sistemi nazionali, a favore di prospettive dichiaratamente liberiste. Alla forza del blocco comunista fu contrapposto non solo un intervento sul piano economico, ma la creazione di un’organizzazione militare che unisse le due sponde. Dopo le iniziative inglese e americana del 1948, si poneva il problema del futuro della Germania e di un’Europa che non poteva pensare di ricostruire senza la presenza tedesca. Il futuro dell’alleanza e della Germania erano profondamente legati. Allo stesso tempo anche la presenza dell’Italia nel nuovo concerto atlantico fu accettata e creò le premesse di quel Patto Atlantico (4 aprile 1948) che deve essere considerato il passaggio decisivo verso l’inizio dell’integrazione europea.
Dopo le devastazioni della guerra sembrava prendere corpo l’antica visione kantiana di una comunità di Stati che cooperano per garantire la pace. Statisti come Churchill, De Gasperi e Spaak, pur con molte differenze, aprivano le strade nazionali all’unione occidentale tra espliciti consensi e moltissimi veti, timori ed esitazioni. Si confrontavano comunque due strategie di fondo: una volta a realizzare un sistema di cooperazione politica tendenzialmente federale e l’altra che mirava ad un processo di integrazione fondato sulla collaborazione in singoli settori economici, strada quest’ultima che avrebbe portato alla costituzione della CECA.
Alla fine degli anni ‘40 si sviluppò dal confronto tra strategie diverse un fondamentale movimento politico, culturale e di fittissime relazioni internazionali. In questo contesto il congresso “federalista” dell’Aja nel maggio del 1948 lanciò la proposta di una costituente europea da cui prese origine il Consiglio d’Europa nel 1949, attraverso cui passò non solo la visibilità istituzionale del movimento federalista ma soprattutto la conversione verso il più immediato e realizzabile processo di cooperazione economica tra Stati.
Paul-Henry Spaak, Primo ministro socialista del Belgio e padre dell'Europa. Fonte: Wikimedia Commons
Fu dunque anche grazie all’appassionato dibattito svoltosi nel Consiglio d’Europa che i governi del Continente si avviarono sulla strada dell’integrazione “funzionalista”. Prendeva forza il piano proposto dal ministro degli esteri Robert Schuman. Una visione dell’integrazione europea sostenuta dalla necessità condivisa di affrontare e soddisfare esigenze economiche prioritarie per la ricostruzione e lo sviluppo. Tra queste ultime quelle della produzione del carbone e dell’acciaio (specialmente per francesi e tedeschi) si presentavano prioritarie e legate alla contesa mai risolta riguardante la regione della Ruhr. Un piano, che ebbe tra gli artefici l’economista e politico Jean Monnet, fu presentato nel 1950 per favorire l’aumento della produzione e la sua più razionale distribuzione sul mercato europeo.
Il piano Monnet doveva pertanto essere sostenuto da un’autorità europea sopranazionale cui venivano attribuiti ampi poteri di controllo e di gestione. Un’autorità – era questa l’innovazione – sostenuta e garantita da un alto comitato formato da ministri rappresentanti dei governi che aderivano all’iniziativa. Non solo, ma l’aspetto istituzionale più rilevante era quello della previsione di una Corte di Giustizia con competenza sulle controversie in materia di produzione e commercializzazione anche per superare eventuali resistenze protezionistiche da parte dei governi nazionali.
Era la vittoria insieme della concorrenza e dell’economicità di gestione delle risorse strategiche, da sempre pomo della discordia tra le potenze europee. Non era questa certo la federazione europea tanto vagheggiata dai profeti dell’unificazione, ma era comunque la realizzazione concreta di una fase comune di sviluppo economico e sociale, che univa soprattutto Francia e Germania e gettava un ponte sopra un nodo di conflitto.
Si muoveva un processo basato sulla constatazione della forza trainante della priorità dell’integrazione delle economie. E in effetti al progetto aderirono non solo i governi francese e tedesco, ma anche l’Italia (governo De Gasperi), Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Era concretamente iniziato dall’economia un lungo, faticoso, esaltante processo di unificazione delle istituzioni europee.
Alcide De Gasperi, padre dell'Europa moderna. Fonte: Wikipedia
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