Nel gennaio 2011, l’improvviso potente urlo, a lungo soffocato, della giovane folla egiziana di Piazza Tahrir, assetata di libertà e democrazia, coraggiosamente decisa a fronteggiare e sfidare, a mani nude, gli spietati e sanguinosi tentativi di repressione subito messa in atto dalle forze di sicurezza, mandava letteralmente in frantumi Hosni Mubarak e il suo dispotico regime.
I giovani di Piazza Tahrir, appassionati custodi dello spirito originario e delle parole d’ordine della primavera egiziana (libertà, democrazia e giustizia sociale) utilizzando tutti i possibili mezzi di comunicazione, dai telefonini a Twitter e a Facebook, hanno rappresentato la preziosa avanguardia rivoluzionaria egiziana, che ha sprigionato una forte carica liberatoria, riaccendendo tante nuove speranze e, soprattutto, spingendo l’Egitto “a rialzare la testa” come al tempo della ribellione alla dominazione coloniale.
Iniziava così una nuova delicata, lunga e tormentata fase di transizione orientata e guidata (non senza ambiguità e compromessi con la vecchia nomenklatura, soprattutto sotto il profilo della mancata discontinuità con le vecchie logiche di potere) dai militari del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf). Finalmente, domenica 24 giugno 2012, dopo circa dieci giorni dall’annuncio dei risultati del secondo turno elettorale fra i due candidati alla presidenza, giorni di attesa snervante, in un clima politico avvelenato da denunce, sospetti, inquietanti minacce, esibizioni muscolari dei militari, oscure trattative, la Commissione elettorale egiziana proclamava ufficialmente Mohammed Morsi, presidente della Repubblica egiziana.
Mohammed Morsi è il primo presidente egiziano non militare. È un autorevole esponente dell’Associazione dei Fratelli Musulmani, cui si ispira il Partito Libertà e Giustizia, partito di maggioranza relativa alle prime libere elezioni. Il consistente successo elettorale dei partiti vicini alle organizzazioni islamiche era largamente prevedibile, tenuto conto del radicamento territoriale di queste organizzazioni che operano, non solo nel campo della formazione religiosa, ma anche e soprattutto in quello dell’assistenza sociale e sanitaria nei confronti dei ceti meno abbienti e della vasta popolazione rurale. Fra queste organizzazioni, l’Associazione dei Fratelli musulmani (fondata nel 1928) è la più importante, meglio strutturata e capillarmente diffusa organizzazione islamica, perseguitata e combattuta dal deposto regime egiziano, ma sempre molto attiva in Egitto e in tutta l’Africa mediterranea.
La transizione egiziana era destinata a riservare nuove sorprese. L’iniziale forte consenso popolare intorno a Morsi evaporava rapidamente. Il 3 luglio, dopo massicce manifestazioni di protesta, il presidente Mohammed Morsi, esponente di spicco della Fratellanza musulmana, veniva deposto dai militari guidati dal generale Abdel Al-Sisi fra le grida di giubilo dei manifestanti antigovernativi, in larga parte giovani rivoluzionari di Piazza Tahrir. Il presidente Morsi, regolarmente eletto da appena un anno, non sembrava più sorretto dall’iniziale diffuso consenso popolare e, per di più, era accusato di aver rallentato i processi democratici, di avere esasperato i rapporti istituzionali e di aver ulteriormente aggravato le condizioni economiche del Paese e anche di aver istigato alla violenza.
Superata la fase iniziale di incertezza e smarrimento, i Fratelli musulmani hanno subito rialzato la testa, dando vita ad imponenti manifestazioni popolari a sostegno del reintegro del presidente Morsi, denunciando altresì la illegittimità del governo provvisorio imposto dai generali. E così l’agosto 2013 è stato caratterizzato da ripetute esplosioni di violenza diffusa, che hanno seriamente preoccupato la comunità internazionale impegnata a ricercare, affannosamente, una via di uscita. In un clima carico di forte tensione, i ripetuti tentativi di mediazione e di riattivazione del dialogo fra i sostenitori del presidente Morsi e i sostenitori del nuovo governo vicino ai generali, a vario titolo esperiti da politici e diplomatici americani ed europei, non sortivano i positivi effetti sperati.
Il 14 agosto 2013, a cominciare dal sanguinoso sgombero di Piazza Rabaa al Alawiah, una sorta di fortino dei sostenitori del deposto presidente Morsi, incominciava la dura e violenta repressione di ogni forma di opposizione imposta dai vertici militari che, in un crescendo di misure e provvedimenti restrittivi, culminava con l’arresto della guida spirituale Mohamed Badie, nonché di molti altri dirigenti e militanti della Fratellanza Musulmana. Incuranti dello sconcerto suscitato nella comunità internazionale per le modalità della loro azione, i militari egiziani ben consapevoli della centralità dell’Egitto nel mantenimento della sicurezza delle province di confine (a cominciare dalla penisola del Sinai), non cambiavano né linea né atteggiamento, imponendo all’Egitto una nuova forzata normalizzazione tutt’ora in corso e il cui esito finale appare ancora incerto.
1. Parte prima: Il Mediterraneo nel XX secolo
2. Il mediterraneo alla vigilia della prima guerra mondiale
3. Il mediterraneo e la prima guerra mondiale
4. Il Mediterraneo fra le due guerre mondiali
5. Il Mediterraneo nel secondo dopoguerra
6. La “Liberazione” del Mediterraneo
7. La Battaglia di Algeri e la Crisi di Suez
8. La politica mediterranea della Repubblica italiana
9. Il difficile cammino della pace nell'Oriente mediterraneo
10. Dalla Conferenza di Barcellona alla Unione per il Mediterraneo
11. Parte seconda: La Primavera araba e il nuovo scenario mediterraneo 2013
Articoli di Matteo Pizzigallo pubblicati sulla rivista scientifica trimestrale Gnosis, annata 2011-2013