Il microscopio ottico si applica per osservare strutture la cui grandezza va di pochi millimetri a pochi decimi di micrometri, mentre per il microscopio elettronico il campo d’uso è per strutture da 100 micrometri ad alcuni decimi di nanometro.
Le cellule e gli organelli in essi contenuti hanno dimensioni tali da non poter essere risolte dall'occhio umano. Fonte: Becker, Kleinsmith, Hardin, Il mondo della cellula, Edises, 2006
Il potere di risoluzione è la distanza minima entro la quale due oggetti risultano separati.
Le lenti in uso in miscoscopia ottica sono le lenti convergenti (ovvero le lenti che convergono in un punto (detto Fuoco) i raggi provenienti da una sorgente luminosa).
L’immagine finale è virtuale, capovolta e ingrandita di un valore dato dal prodotto del potere di ingrandimento della lente obiettivo e quella oculare (ad esempio con un obiettivo = 40x e un oculare = 10x, l’ingrandimento finale è 400x).
Risoluzione = distanza minima entro la quale due oggetti risultano separati.
La risoluzione di un microscopio ottico è circa la metà della lunghezza d’onda della sorgente luminosa.
L’espressione matematica del potere di risoluzione fu formulata da Ernst Abbe nel 1870.
Le lenti convergenti danno origine a due tipi di aberrazioni (la cromatica – provoca nell’immagine la comparsa di aloni colorati – e la sferica – provoca la messa a fuoco dell’immagine su piani diversi).
Occorre pertanto correggere tali aberrazioni.
La fluorescenza è la proprietà che hanno alcune sostanze di assorbire la luce a una particolare lunghezza d’onda e di rilasciarla ad una lunghezza d’onda superiore, ad energia inferiore rispetto a quella assorbita. La fluorescenza si dice primaria nel caso di sostanze naturalmente fluorescenti (ad esempio la cellulosa); è detta secondaria quando la fluorescenza è indotta da fluorocromi legati al campione in esame.
1) La lampada a vapori di mercurio emette radiazioni ad elevata energia; 2) il filtro di eccitazione lascia passare le radiazioni ad una ristretta lunghezza (in verde) d’onda; 3) tali radiazioni penetrano nell’obiettivo, sono riflesse dallo specchio dicroico e eccitano il fluorocromo legato al campione; 4) le radiazioni emesse dal fluorocromo (in rosso) passano sia attraverso lo specchio dicroico (5) sia il filtro di sbarramento (6), il quale, invece, blocca le eventuali radiazioni non assorbite.
Il Microscopio confocale focalizza selettivamente un piano per volta nello spessore dell’oggetto e poi ricostruisce elettronicamente l’immagine finale mettendo insieme tutte le altre.
Con la microscopia ottica tradizionale i preparati citologici o istologici si possono osservare solo se opportunamente colorati. Essi modificano sia l’ampiezza (la luminosità) sia la lunghezza d’onda (il colore) del raggio di luce che li attraversa. I preparati non colorati provocano solo una leggera sfasatura (differenza di fase) della lunghezza d’onda del raggio che li attraversa; il microscopio a contrasto di fase converte la differenza di fase (invisibile all’occhio) in differenza di ampiezza (visibile all’occhio) del raggio che li attraversa.
Percorso della luce quando attraversa un preparato colorato (A) e non colorato (B). In (A) il raggio (rosso) che emerge è modificato sia in ampiezza sia in lunghezza d’onda. In (B) il raggio che emerge (azzurro) è solo sfasato. La linea tratteggiata in (A) e in (B) rappresenta il percorso del raggio in assenza di modificazioni.
Serve ad osservare cellule e tessuti in vivo.
Fu messo a punto dall’olandese Fritz Zernike (premio Nobel per fisica) nel 1934.
L’anello di fase proietta sul preparato un cono di luce, cavo al centro. I raggi che colpiscono gli organelli citoplasmatici producono due raggi: uno diretto (che non subisce alterazioni); l’altro che risulterà deviato e sfasato di valore pari a una frazione di λ (x·λ). Quest’ultimo subisce un ulteriore ritardo di fase, pari a ¼ λ (ritardo finale= ¼ λ+x·λ) quando attraversa la parte più spessa dell’anello di fase. I raggi deviati interferiscono con quelli diretti dando origine a raggi finali che avranno una minore ampiezza (minore luminosità). Gli organelli, pertanto, risulteranno visibili, con diverse tonalità di grigio fino al nero.
Dà informazioni sulla struttura dei campioni, indicando se modificano (anisotropi) o meno (isotropi) il piano di vibrazione della luce polarizzata.
Le particelle di luce della lampada vibrano in tutti i piani. Nel passare attraverso il primo filtro di Nicols, la luce viene modificata (polarizzata) in quanto le sue particelle vibrano in un solo piano. Passando attraverso il secondo filtro di Nicols, la luce riesce ad emergere solo se i piani del reticolo cristallino del polarizzazione del primo e secondo filtro sono paralleli (A); se sono perpendicolari (polarizzatori incrociati) i raggi luminosi vengono bloccati; pertanto si ha il buio (B).
Nel microscopio polarizzatore i filtri e/o il campione possono ruotare. A filtri incrociati, se il campione in esame è isotropo, risulterà buio. Infatti, in qualsiasi direzione esso viene osservato altera il piano della luce polarizzata, la quale che sarà bloccata dal secondo filtro Nicols (A).
A filtri incrociati se l’oggetto in esame è anisotropo (ad esempio le fibre collagene, alcuni parti della fibra muscolare striata), osservato in una data direzione altera il piano di vibrazione della luce polarizzata. Le particelle di luce che emergono dal campione ruotano il loro piano di vibrazione risultando parallelo al reticolo del secondo filtro di Nicols, da cui emergono; il campione o sue parti risultano pertanto illuminate (B).
Nel microscopio elettronico a trasmissione gli elettroni generati da un tubo catodico, sotto vuoto spinto, vengono convogliati da un primo campo magnetico (condensatore) sul campione. Gli elettroni che lo attraversano vengono raccolti da un secondo campo magnetico (obiettivo) e inviati ad un campo magnetico (proiettivo) ed infine proiettati su una schermo fluorescente e/o su una lastra fotografica, dove si possono osservare zone chiare, corrispondenti a parti del campione attraversate dagli elettroni (zone elettron-chiare) e zone scure, corrispondenti a zone opache agli elettroni (zone elettron-dense).
La l degli elettroni è in relazione con la differenza di potenziale applicata al tubo catodico secondo la formula in figura.
Applicando la formula di ABBE (P.R= λ/2n sen a), con una apertura numerica teorica prossima a 1, il potere di risoluzione del microscopio elettronico sarebbe di P.R. (teorico) ≈ 0,02 nm. In pratica, a causa delle distorsioni causate dai campi magnetici, il P.R. (effettivo) è di 0,2 nm.
E’ principalmente impiegato per lo studio topografico della superficie dei campioni in esame.
Tale microscopio utilizza un sottile raggio di elettroni primari (circa 7 nm) che tramite l’unità di scansione esplora il campione, in precedenza fissato e rivestito da un sottile strato di metalli pesanti (oro, oro-palladio). La superficie del campione eccitata dal fascio di elettroni primari emette elettroni secondari (e Raggi X), i quali tramite il rilevatore raggiungono l’elaboratore di immagine. L’unità di scansione sincronizza la scansione sul campione e sul monitor dell’elaboratore; pertanto l’immagine finale riproduce la struttura della superficie esplorata con effetto tridimensionale ad una risoluzione di solito di 20 nm.
Per approfondimenti sulla microscopia ottica consultare sito Molecular Expressions dove oltre alle informazioni in esso contenute sono presenti il link per le principali case produttrici di microscopi, in ordine alfabetico: Nicon, Leica, Olympus, Zeiss.
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