In questa lezione affronteremo lo studio dei principi della spettroscopia in astrofisica. In particolare, studieremo:
Lo spettro elettromagnetico di una sorgente è la distribuzione in energia della radiazione elettromagnetica in funzione della lunghezza d’onda o della frequenza, dove .
Esiste una varietà di fenomeni di interazione della radiazione elettromagnetica con la materia; ciascuno di essi coinvolge una specifica regione dello spettro.
Pertanto è appropriato definire differenti intervalli della radiazione. In figura, è rappresentata la nomenclatura delle diverse regioni dello spettro elettromagnetico. Lo studente si impadronisca delle corrispondenze tra lunghezze d’onda e frequenze nelle diverse regioni, e verifichi in quali intervalli la radiazione penetra l’atmosfera della terra.
Legge di Wien: la lunghezza d’onda, , alla quale la radiazione di un corpo nero raggiunge l’intensità massima, è inversamente proporzionale alla temperatura
:
.
Domanda: come varia la costante di proporzionalità se la legge è espressa in frequenza?
Legge di Stefan-Boltzmann: la radiazione totale (su tutte le lunghezze d’onda) emessa per unità di superficie da un corpo nero cresce con la quarta potenza della temperatura:
,
dove: .
Come abbiamo già visto, la legge di Stefan-Boltzmann permette di definire la temperatura effettiva di una stella di dati raggio e luminosità, anche quando l’oggetto non è un corpo nero.
Il Sole ha luminosità e raggio
.
Esercizio: Calcolare la sua temperatura effettiva. A quale lunghezza d’onda corrisponde il picco di emissione?
Domanda: Perché il Sole appare giallo, piuttosto che verde?
Esercizio: La stella Spica (Alpha Virginis) è fra le stelle più calde osservabili a occhio nudo, con . Verificare che la corrispondente lunghezza efficace cade nella regione UV dello spettro elettromagnetico.
Domanda: Come mai questa stella è tuttavia osservabile dall’occhio umano?
Al tedesco Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887) dobbiamo l’enunciato delle seguenti tre leggi sulle proprietà spettrali dei gas.
Un gas caldo e denso (o un oggetto solido caldo) produce uno spettro continuo senza righe di assorbimento.
Un gas freddo e diffuso, posto dinanzi ad una sorgente con spettro continuo, produce righe di assorbimento.
Un gas caldo e diffuso produce righe di emissione.
I cosiddetti spettrografi dispersivi utilizzano i seguenti elementi: prismi, grism, reticol ad “echelle”.
Dispersione: indica quanto sono separate le diverse lunghezze d’onda. Essa è determinata dall’elemento dispersivo e viene misurata in Å/mm oppure Å/pixel.
Intervallo spettrale: range di lunghezza d’onda coperto dallo strumento.
Risoluzione spettrale: capacità di separare dettagli spettrali vicini. E’ determinata dall’ampiezza della fenditura, la lunghezza focale della camera, la risoluzione del rivelatore, e dall’elemento dispersivo. Viene misurata come , in Å.
Potere risolutivo (risoluzione spettrale): è il parametro , dove il denominatore è la risoluzione spettrale. Una maggiore risoluzione spettrale permette di distinguere più dettagli in uno spettro.
Risoluzione spaziale: capacità di separare i dettagli in spettri 1D o 2D.
Velocità: quanto rapidamente si ottiene un dato rapporto segnale/rumore per la stessa sorgente.
La dispersione aggiunge ovviamente una dimensione alle due dimensioni spaziali di una sorgente celeste.
Pertanto, una sorgente puntiforme (adimensionale), com’è una stella, produce uno spettro monodimensionale.
Una sorgente lineare produce uno spettro bidimensionale; ad esempio, una galassia vista attraverso una fenditura.
Una sorgente bidimensionale produce un data set tridimensionale, noto in letteratura come data cube.
Lo spettrografo PN.S, montato al fuoco del telescopio W. Herschel a La Palma, Isole Canarie (Spagna). Fonte: PN.S team.
Una sorgente puntiforme, ad esempio una stella, appare estesa al telescopio (perché?): la sua immagine è chiamata disco di seeing.
Lo spettro di una stella è la combinazione delle immagini monocromatiche della fenditura che intercetta il disco di seeing. Maggiore l’apertura della fenditura, minore è la risoluzione spettrale.
E’ possibile migliorare la qualità dello spettro lasciando muovere la stella lungo la fenditura (in genere orientata nella direzione N-S).
Quando la sorgente è estesa (ad esempio, una galassia), una fenditura rettangolare produce uno spettro bidimensionale.
Lungo un asse corrono le lunghezze d’onda, lungo l’altro le coordinate spaziali (unidimensionali) della regione della sorgente intercettata dalla fenditura.
Dato che uno spettro aggiunge un’ulteriore coordinata () alle due coordinate spaziali di una immagine, la spettroscopia di regioni bidimensionali richiede tre coordinate, non disponibili nei rivelatori standard.
Per questa ragione sono state sviluppate specifiche strategie atte a produrre i cosiddetti “data cube”, cioè matrici i cui assi corrispondono alle grandezze .
Nel 1814, il tedesco Joseph von Fraunhofer (1787-1826) catalogò 574 righe oscure nello spettro solare. Lo spettro era stato ottenuto facendo passare la luce del Sole attraverso un prima. Solo più tardi queste righe vennero associate agli atomi e agli ioni che le avevano prodotte (chimica delle stelle).
Righe di assorbimento nello spettro del Sole erano già state osservate nel 1804 dall’inglese William Hyde Wollaston, che tuttavia non ne aveva compreso la natura.
Parte della terminologia introdotta da Fraunhofer per identificare le righe osservate è tuttora in uso.
Il continuo negli spettri stellari varia notevolmente con la temperatura effettiva della stella.
Domanda: da cosa deriva questa forte dipendenza del continuo dalla temperatura effettiva?
Ne segue che anche i colori delle stelle dipendono fortemente dalla loro temperatura.
Queste dipendenze dalla temperatura verranno usate per classificare gli spettri delle stelle.
Anche altre caratteristiche degli spettri delle stelle (righe, bande) dipendono fortemente dalla temperatura. Fonte: M. Capaccioli.
Gli spettri stellari sono classificati in base alla intensità relativa delle loro caratteristiche (righe, bande, andamento del continuo).
La moderna classificazione spettrale, introdotta dal 1918 al 1924 da Annie Jump Cannon a Harvard, consiste di 7 classi principali. In ordine decrescente di temperatura, esse sono indicate con le lettere:
O,B,A,F,G,K,M
(la strana successione di lettere è dovuta al riordino di una sequenza alfabetica basata sul contenuto decrescente di idrogeno).
Un trucco mnemonico per ricordare la sequenza è dato dalla frase: “Oh Be A Fine Girl, Kiss Me“.
Ogni classe spettrale è a sua volta divisa più finemente in 9 sottoclassi, indicate con i numeri da 0 a 9. Pertanto, una stella B2 è più calda di una B9, e questa più calda di una stella A0.
Classi aggiunte all’originale sequenza sono per esempio le classi R,N,S, che rappresentano stelle supergiganti rosse e fredde, di diversa composizione chimica.
Lo schema di Harvard, che contempla solo la temperatura e alcune peculiarità spettrali, è esteso alla luminosità in quello di Yerkes, detto MMK, dalle iniziali dagli autori W.W. Morgan, P.C. Keenan e E. Kellman.
Forma e natura di alcune righe servono a saggiare la pressione e la densità e quindi la gravità superficiale dell’astro, molto più bassa nelle giganti che nelle nane.
Domanda: perché? Suggerimento: nell’evoluzione di una stella la massa cambia pochissimo e moltissimo il raggio.
La classe di luminosità decrescente è indicata da un numero romano da I (supergiganti) a V (nane). La classe I è ulteriormente suddivisa in Ia e Ib.
Confronto fra la versione originale del diagramma HR ed una sua moderna versione. Fonte: M. Capaccioli.
Differenti fenomeni fisici contribuiscono alla ampiezza di una riga spettrale. E’ necessario introdurre una misura dell’ampiezza delle righe spettrali che sia indipendente dalla loro forma.
La larghezza equivalente di una riga è definita come la larghezza del rettangolo, costruito con base sul continuo, di area pari a quella racchiusa dalla riga:
,
dove è il flusso interpolato del continuo, e
quello osservato.
Nel 1842 l’austriaco Christian Doppler scoprì che la lunghezza d’onda di un segnale monocromatico di una sorgente di onde longitudinali (ad esempio, il suono) o trasversali (come la luce) subisce uno spostamento
direttamente proporzionale a
, dove
è la velocità radiale della sorgente rispetto all’osservatore, e inversamente proporzionale alla velocità dell’onda nel mezzo in cui essa si propaga.
Per la luce: , con
.
Si noti che è positiva se di allontanamento (essa genera un redshift), negativa se di avvicinamento (blueshift).
La formula trovata da Doppler vale nell’approssimazione classica (). Quando la velocità della sorgente si approssima a quella della luce, è necessario introdurre la correzione relativistica:
.
Nel caso classico la componente trasversa della velocità della sorgente, , non genera alcuno shift. Nella trattazione relativistica, invece:
,
con , e
.
Dunque, una velocità trasversa produce sempre un redshift.
Tre principali fenomeni concorrono a determinare la larghezza di una riga.
Allargamento naturale
Questo effetto è legato al tempo di vita di uno stato energetico eccitato con incertezza in energia pari a
, in ragione del Principio di indeterminazione formulato nel 1927 dal fisico tedesco Werner Heisenberg.
All’indeterminazione sul livello energetico corrisponde un’incertezza in lunghezza d’onda pari a , dove i pedici
ed
indicano gli stati iniziale e finale, rispettivamente.
L’effetto è piccolo e solitamente trascurabile in astrofisica. L’allargamento naturale della riga H, ad esempio, è pari a
Allargamento Doppler
Questo effetto è dovuto al moto di agitazione termica degli atomi nell’atmosfera stellare.
Un atomo in movimento a velocità , assorbe/emette radiazione spostata in lunghezza d’onda a causa dello spostamento Doppler:
. La velocità tipica in un moto di agitazione termica alla temperatura
è
.
Pertanto l’allargamento Doppler è pari a:
.
In presenza di un moto turbolento, la precedente espressione diventa:
Come è facile calcolare, l’allargamento Doppler per la riga H nel Sole è pari a
, mille volte maggiore dell’allargamento naturale.
Allargamento collisionale o per pressione
In atmosfere stellari molto dense interviene anche il cosiddetto allargamento collisionale (o per pressione).
Sia è la densità numerica di atomi, si consideri l’intervallo di tempo far due collisioni
, dove il cammino libero medio
è dato da
, con
sezione d’urto delle collisioni. Sostituendo queste grandezze nell’equazione dell’allargamento naturale, si ottiene
.
L’effetto è proporzionale alla densità numerica di atomi. Ciò spiega le righe spettrali più strette osservate nelle stelle più luminose, su cui si basa la classificazione MKK in classi di luminosità stellari menzionata in precedenza. Infatti, le stelle supergiganti hanno dimensioni molto grandi e una densità conseguentemente minore.
Nel Sole, il contributo di pressione all’allargamento della riga H è a
.
Come si è visto, in linea di principio è possibile identificare sia la classe spettrale e quella di luminosità a partire dallo spettro.
Di conseguenza, è possibile localizzare la posizione della stella nel digramma HR e determinarne (approssimativamente) la magnitudine assoluta.
Dalla conoscenza della magnitudine assoluta è infine possibile ricavare la distanza della stella (facendo le opportune correzioni: quali?).
Questo metodo prende il nome di parallasse spettroscopica.
Cedendo energia a un atomo, questo si eccita: uno o più elettroni vanno temporaneamente a occupare livelli di energia più elevata rispetto allo stato fondamentale. La probabilità che un elettrone occupi uno stato quantico di energia è proporzionale al fattore di Boltzmann:
.
Quindi, il rapporto fra le probabilità che un elettrone occupi lo stato di energia
e lo stato stato
di energia
è:
.
Degenerazione di uno stato
Ricordiamo che diversi stati fisici possono condividere la medesima energia (degenerazione). Ad esempio, i numeri quantici associati allo spin e al momento angolare dell’elettrone di un atomo di idrogeno isolato non influenzano l’energia dello stato medesimo.
Quindi, il rapporto fra la probabilità che un sistema sia in un qualunque stato di energia rispetto a un qualunque stato con energia
è:
.
Per il solo atomo di idrogeno, la degenerazione dipende al livello energetico :
.
Per la legge dei grandi numeri, nelle atmosfere stellari il rapporto fra le probabilità coincide con il rapporto fra numero di sistemi nei dati stati.
La seguente è nota come equazione di Boltzmann:
dove le quantità sono i fattori di degenerazione.
Esercizio: calcolare, per un atomo di idrogeno neutro a temperatura ambiente, il rapporto fra il numero di elettroni negli stati e
.
Degenerazione di uno stato
Ricordiamo che diversi stati fisici possono condividere la medesima energia (degenerazione). Ad esempio, i numeri quantici associati allo spin e al momento angolare dell’elettrone di un atomo di idrogeno isolato non influenzano l’energia dello stato medesimo.
Quindi, il rapporto fra la probabilità che un sistema sia in un qualunque stato di energia rispetto a un qualunque stato con energia
è:
.
Per il solo atomo di idrogeno, la degenerazione dipende al livello energetico :
.
Se la temperatura (o l’energia ceduta per altra via) è sufficientemente elevata, gli elettroni possono essere rimossi dall’atomo, che diventa quindi ionizzato. Sia l’energia minima necessaria a rimuovere un elettrone da un atomo, in modo che questi accresca il suo stato di ionizzazione da
a
.
Gli stati di ionizzazione sono usualmente indicati con numeri romani. L’atomo di idrogeno neutro è indicato con HI, quello ionizzato con HII. L’elio completamente ionizzato è indicato come HeIII, ma anche come particella alfa.
Domanda: quanta energia è richiesta per ionizzare un atomo di idrogeno che sia nel suo stato fondamentale? Si esprima il valore in elettrovolto (eV).
Funzioni di partizione
Domandiamoci ora quanto sia il numero di atomi nello stato di ionizzazione rispetto a quelli nello stato
. Per rispondere a questa domanda è necessario conoscere la distribuzione degli elettroni in ogni stato di ionizzazione.
La somma dei numeri di possibili configurazioni, pesata per la probabilità di ogni configurazione, è la funzione di partizione:
Nel 1920 il fisico indiano Meghnad Saha derivò un’equazione per il numero relativo di atomi in ogni stato di ionizzazione:
.
Da notare che il rapporto decresce con la densità numerica di elettroni . Infatti, se il numero di elettroni liberi aumenta, aumenta la probabilità per un atomo ionizzato di ricombinarsi e abbassare il suo stato di ionizzazione.
Inoltre, il fattore di Boltzmann implica che è molto più difficile ionizzare atomi con elevato potenziale di ionizzazione.
Esercizio: applicare l’equazione di Saha a un gas di idrogeno con densità di elettroni per metro cubo.
Equazione di Saha: atmosfere di idrogeno
In figura viene riportato l’andamento del fattore di ionizzazione in funzione della temperatura per tre diversi valori della densità numerica di elettroni.
Maggiore la densità numerica di elettroni, più difficile diventa ionizzare un atomo.
Nell’interno delle stelle, la temperatura decresce dal nucleo verso la superficie. La stretta regione all’interno di una stella dove l’idrogeno è parzialmente ioni dell’idrogenozato è detta zona di parziale ionizzazione.
Una celebre serie di righe spettrali dell’idrogeno è quella detta di Balmer.
Essa corrisponde ai salti quantici che fanno riferimento al primo livello eccitato. Per esempio, la riga H_ a 6562Å corrisponde al salto tra i livelli 2 e 3, H_ a 4861Å al salto tra 2 e 4, e così via.
Domanda: a quale temperatura si avrà il massimo di intensità delle righe di Balmer?
La risposta è semplice: la formula di Boltzmann fornisce il numero di atomi a livello
rispetto al numero totale
a livello fondamentale, per ogni valore di
. Da qui si vede che la risposta è
infinito!
Ma essa è sbagliata in quanto non si è tenuto conto del fatto che, al crescere della temperatura, aumenta il numero di atomi ionizzati e dunque diminuisce di conseguenza quello degli atomi neutri su cui si applica la formula di Boltzmann.
Facendo il conto in modo corretto, combinando cioè le formule di Boltzmann e Saha, si vede che la condizione di massimo popolamento del primo livello eccitato si ha per $ K, che è appunto la temperatura efficace delle stelle di tipo A0.
2. Grandezze osservabili: luminosità e distanza delle stelle
3. Grandezze osservabili: gli spettri
6. La struttura delle stelle - Parte Prima
7. Struttura delle stelle - Parte Seconda
8. Struttura delle stelle - Parte terza
9. Profondità ottica e trasferimento radiativo
10. I processi nucleari nelle stelle
12. Il Sole
15. Evoluzione stellare post-sequenza principale
16. Evoluzione post Sequenza Principale - Parte Seconda
18. Il destino delle stelle massive: le supernovae
19. Le nane bianche
21. I buchi neri