Dopo avere affrontato in maniera fenomenologica i processi termici; sviluppiamo questa tematica con maggiore sistematicità per giungere al primo principio della termodinamica, ovvero la generalizzazione della legge conservazione dell’energia. Per sistema termodinamico si intende un sistema macroscopico, per esempio un blocco di materiale, un volume di liquido, una quantità di gas ecc. Sappiamo oggi che la materia ha una struttura microscopica (su scala atomica ~10-10m); e dunque il numero di punti di un sistema macroscopico è enorme (numero di Avogadro~1023); pertanto si possono seguire due approcci:
1. il punto di vista microscopico che consiste nello studiare il sistema in tutta la sua complessità. Naturalmente, dato il numero di gradi di libertà, si devono sviluppare dei metodi probabilistici e statistici (meccanica statistica e teoria cinetica), che in realtà si riescono ad applicare ai sistemi più semplici (gas, ecc..);
2. il punto di vista macroscopico, o termodinamico, che consiste nell’identificare un limitato numero di grandezze globali (pressione, geometria, massa, temperatura, …) e studiarne le relazioni indipendentemente dalla struttura microscopica.
Seguiremo il secondo metodo cercando di evidenziare, in modo qualitativo, il nesso con l’interpretazione microscopica.
Cerchiamo di specificare meglio, almeno a livello qualitativo, questa connessione fra i due punti di vista. Uno stato microscopico è definito quando lo sono i valori di tutte le variabili (~1023!!), naturalmente non ci aspettiamo che, cambiando il valore della velocità o posizione di una molecola, lo stato macroscopico cambi significativamente. Dunque al particolare stato macroscopico i-esimo, come vedremo specificato dai valori di un numero limitato di variabili, corrisponde in generale un numero, Ωi molto grande, di configurazioni microscopiche. Pertanto le grandezze macroscopiche possono essere interpretate come dei valori medi di quelle microscopiche su tutti gli stati corrispondenti.
Lo scopo della teoria cinetica e meccanica statistica sarà proprio quello di ritrovare questa connessione fra i due punti di vista.
La relazione, fra uno stato macroscopico ed il numero Ωi di quelli microscopici che lo “realizzano”, può essere interpretata in termini di probabilità di realizzare un particolare stato macroscopico; e questo fornisce la chiave di comprensione, di natura probabilistica, dei fenomeni irreversibili che si osservano in natura e che sono alla base del secondo principio della termodinamica per il quale rimandiamo al corso del terzo anno.
Dato un sistema, abbiamo un certo numero di variabili, dette di stato, che lo descrivono; fra queste ricordiamo per esempio il volume ( o altre dimensioni geometriche), la massa, la pressione (nel caso dei fluidi in particolare), e la temperatura sulla quale torneremo in seguito. In generale un sistema potrà interagire con l’ambiente che lo circonda che, dal punto di vista termodinamico, risulta un altro sistema termodinamico. Per interazione si intendono eventuali scambi di energia e materia che modificano lo stato del sistema ed dell’ambiente che lo circonda. In genere si classificano i sistemi come:
L’universo, corrispondente all’unione del sistema con l’ambiente circostante, è per definizione isolato.
Le variabili di stato si possono classificare, a secondo del loro comportamento quando si uniscono due sistemi uguali, in due grandi categorie:
Questa differenza corrisponde al concetto di variabile globale (estensiva) rispetto a locale (intensiva).
Per definire in modo coerente la temperatura, consideriamo le sole variabili meccaniche di un sistema (p, V, m). Sperimentalmente si osserva che, mettendo due sistemi in contatto tramite una parete rigida, si possono verificare due casi:
Naturalmente l’esistenza di una parete adiabatica è una schematizzazione ideale, che si riesce a realizzare comunque con buona approssimazione, come nei termos, con materiali tipo legno, plastica, polistirolo o lasciando uno strato vuoto. Le pareti diatermiche invece si ottengono con i metalli, la pietra, la ceramica.
Questa definizione cerca, in modo un po’ artificioso in verità, di evitare di fare riferimento al concetto intuitivo di quantità di calore, come lo abbiamo esposto precedentemente.
L’interazione, che avviene nel caso di pareti diatermiche, sarà quella termica che viene caratterizzata dallo scambio di calore.
Consideriamo una parete diatermica ed usiamola per separare due sistemi. In alcuni casi particolari si osserva, sperimentalmente, che questi non interagiscono e le loro variabili non evolvono; diremo che sono in equilibrio termico.
Possiamo raggruppare i diversi stati dei sistemi termodinamici in tante classi corrispondenti a sistemi che sono fra loro in equilibrio termico (da un punto di vista matematico è come definire una relazione di equivalenza!). Ogni classe corrisponde ad una nuova proprietà del sistema: la sua temperatura!
Naturalmente converrà associare un valore numerico ad ogni classe, e questo è quello che abbiamo fatto nel capitolo precedente con la misura fornita dal termometro. Questa definizione un pò astratta (presentata in un seconda fase) offre il vantaggio di caratterizzare la temperatura tramite l’equilibrio termico ed in modo indipendente dal tipo di termometro che viene usato.
Da questa definizione deriva il principio zero della termodinamica: se A è alla stessa temperatura di B, e B è alla stessa temperatura di C, allora A e C sono alla stessa temperatura.
Questa affermazione, apparentemente ovvia perché è ben radicata in mente la corrispondenza fra la temperatura e la sua rappresentazione numerica, va, in ultima analisi, verificata sperimentalmente.
Con la definizione, rigorosa, di temperatura possiamo adesso passare alla classificazione dei diversi stati di un sistema:
Per esempio una sbarra tenuta fra due sorgenti a temperature diverse è in uno stato stazionario, ma non di equilibrio perché la temperatura non è costante lungo la sbarra. Più in generale i sistemi possono avere anche interazioni meccaniche o chimiche; per questo si caratterizza lo stato di equilibrio termodinamico tramite:
Gli stati di equilibrio si rappresentano sui diagrammi di stato con assi corrispondenti alle variabili, per esempio quello di Clapeyron p-V. Per gli stati di equilibrio vale una relazione, detta equazione di stato, che lega le grandezze:
e che va determinata sperimentalmente caso per caso.
Come abbiamo visto i sistemi termodinamici interagiscono con l’ambiente circostante e dunque subiscono delle trasformazioni, cioè cambiano di stato A→B:
nelle quali le variabili di stato variano. Un concetto utile è quello di trasformazione infinitesima, in cui lo stato del sistema cambia poco e le variabili subiscono una variazione infinitesima:
Le trasformazioni più facili da trattare sono quelle in cui gli stati finali sono di equilibrio e dunque corrispondono a due punti distinti del diagramma di stato. Fra queste esistono due grandi categorie:
Le trasformazioni reversibili rappresentano una schematizzazione ideale, praticamente non realizzabile nella realtà, ma che premette di ottenere molti risultati e limiti interessanti.
Gli scambi energetici svolgono un ruolo primario in termodinamica. In particolare un sistema può fornire del lavoro meccanico, caratteristica alla base della termodinamica, nata come scienza industriale alla fine del settecento. Il tipo di lavoro più comune, utilizzato per esempio nelle macchine termiche, è quello dovuto alle variazioni del volume di un sistema contro una pressione, per esempio un gas che espandendosi solleva un peso (idrostatico).
Convenzionalmente si considera W>0 quello fatto dal sistema sull’ambiente, corrisponde a fare il prodotto scalare fra la forza sistema → ambiente per lo spostamento del suo punto di applicazione. Per esempio nel caso del lavoro idrostatico:
Nel caso di una trasformazione reversibile di un gas pest≡p e dunque:
e W corrisponde all’area sotto la curva della trasformazione nel piano di Clapeyron.
L’altra forma di lavoro più frequente è quello degli effetti dissipativi, forze di attrito o resistenza elettrica. In questi casi è facile mostrare che, con la convenzione scelta, risulta sempre Wdissi<0.
L’altro processo fondamentale in termodinamica è lo scambio di calore. Nell’esperienza comune il lavoro ed il calore sono legati, infatti ci scaldiamo le mani o mettendole sulla stufa (calore) o strofinandole (lavoro attrito). Joule studiò questa correlazione effettuando diversi esperimenti:
1. il primo, detto del mulinello e schematizzato nella prima figura, consiste nel confrontare, quantitativamente, il lavoro meccanico dell’attrito ed il calore fornito che servono per provocare la stesso salto termico di una massa di acqua;
2. il secondo, detto dell’effetto Joule mostrato nella seconda figura, studiava la stessa tematica analizzando però il lavoro dissipativo di tipo elettrico (quello per esempio alla base del funzionamento di uno scaldabagno elettrico).
Misurando il lavoro effettuato W ed il calore successivamente scambiato Q per ritornare nello stato iniziale (trasformazione ciclica), il loro rapporto è un valore costante, indipendente dal processo (meccanico o elettrico) e dal dimensionamento dell’esperimento: . Questo risultato mostra che il calore è una forma di scambio di energia, come avevamo intuito nel capitolo precedente, ma storicamente misurata in un’unità diversa (1cal=4,186J).
Il risultato degli esperimenti di Joule, avendo scelto di misurare il calore come un’energia, si scrive: dove la trasformazione ciclica, se reversibile, viene rappresentata da una curva chiusa nel diagramma di stato. Naturalmente il calore e lavoro scambiati si possono vedere come la somma di tutti i contributi durante le successive trasformazioni infinitesime che costituiscono il ciclo, e dunque:
Questa relazione possiede un’analogia profonda con la tematiche delle forze conservative ( a parte i dettagli matematici sul tipo di integrazione). In particolare, dato un sistema che effettua una trasformazione generica A→B, allora:
non dipende dal tipo di percorso seguito (trasformazione effettuata). Allora possiamo trovare una funzione di stato Uint, detta energia interna, la cui variazione nella trasformazione dipende dal calore e lavoro scambiati:
Questo è il Primo Principio della termodinamica.
Nel corso di una trasformazione di un sistema da A → B, abbiamo visto che la quantità di calore scambiata QA→B ed il lavoro WA→B sono legati dalla relazione: dove U è la funzione energia interna del sistema. Osserviamo che: U=U(p,V,T,..) è una funzione di stato, cioè dipende soltanto dalle variabili termodinamiche dello stato e non dal modo con cui si effettua la trasformazione A→B; si può dire che un sistema possiede una data quantità di energia interna; gli scambi energetici di calore QA→B e lavoro WA→B invece dipendono in generale dal modo di effettuare la trasformazione A→B. Non è possibile dire che un sistema possiede del calore o del lavoro, ma li può scambiare modificando la sua energia; la funzione energia interna si determina sperimentalmente, e visto che è una funzione di stato conviene scegliere una trasformazione opportuna per determinarne la variazione; se un sistema assorbe solo calore (Q>0) o riceve solo lavoro(-W>0) allora ΔU>0 e si osserva, sperimentalmente, che il sistema si scalda; se ne deduce che la dipendenza principale dell’energia interna deriva dalla temperatura, avvalorandone l’interpretazione microscopica.
Un’ interessante analogia del concetto di energia è mostrato in figura.
Il primo principio della termodinamica rappresenta un’estensione della legge di conservazione dell’energia che abbiamo visto in precedenza per tenere conto dei processi termici. In particolare dato un sistema, potremo distinguere:
e la somma di questi tre termini corrisponde all’energia totale. E la formulazione corretta del primo principio fa intervenire questa grandezza:
Spesso nelle applicazioni in termodinamica i termini EK e Epot sono trascurabili; tuttavia, per descrivere correttamente il fenomeno (caso dell’esperienza del mulinello di Joule) si devono prendere in considerazione tutti i termini. L’energia interna del sistema dal punto di vista microscopico sarà connessa a tutte le forme di energia cinetica e potenziale dei costituenti microscopici; e la dipendenza di Uint dalla temperatura fornirà l’interpretazione microscopica, in termini fisici fondamentali, della grandezza temperatura.
Nel prossimo capitolo studieremo i sistemi gassosi che rappresentano il prototipo del sistema per evidenziare i concetti della termodinamica. Per il momento interessiamoci al caso di un sistema costituito da un solido omogeneo; e ne vogliamo trovare l’energia interna in funzione delle sue variabili di stato: massa, pressione, volume e temperatura. Per determinare Uint conviene scegliere una trasformazione particolare; supponiamo di fornire una quantità di calore Q>0 al sistema in condizioni normali, allora:
Se scriviamo il primo principio in assenza di energia cinetica macroscopica e potenziale esterna:
e dunque otteniamo la dipendenza dell’energia interna dalla massa e temperatura:
1. Le grandezze fisiche e la loro misura
2. La cinematica del moto unidimensionale
3. La cinematica del moto multidimensionale
4. I principi della dinamica del punto materiale
5. Applicazioni dei principi della dinamica
6. Energetica del punto materiale