Le fonti energetiche oggigiorno disponibili sono svariate, estendendosi da quelle fossili (carbone, petrolio, gas naturale) a quelle rinnovabili, come fonti derivate da biomasse, o basate su energia solare, eolica, idrica ecc.
Appare evidente come, soprattutto nel breve e nel medio periodo, la soluzione migliore dal punto di vista socio-politico-economico, ed ambientale, sia puntare non ad una sola fonte energetica, ma ad una diversificazione del “portafoglio energetico” in dotazione a ciascuna comunità.
Pertanto, in questa lezione si farà riferimento a due classi di combustibili solidi: il carbone (fossile) e le biomasse (rinnovabili). E’ importante notare che le conoscenze riguardanti l’impiego del carbone, sotto gli aspetti chimico-fisici ed impiantistici, possono essere molto utili nell’utilizzo, alternativo o insieme (co-combustione) al carbone, di svariate biomasse.
La formazione del carbone, lungo ere geologiche, è legata alla decomposizione anaerobia di residui vegetali ricoperti da sedimenti argillosi. Ciò ne determina una struttura organica eccezionalmente complessa, riassumibile in un polimero organico costituito da anelli aromatici legati tra loro da catene di idrocarburi saturi e non, in presenza di eteroatomi (principalmente N, S, O).
Ciò significa che i 5 principali elementi di un carbone sono C, H e i tre eteroatomi. L’analisi elementale (“ultimate analysis”) per un carbone riporta le percentuali in peso di questi elementi (intervalli tipici in Figura).
L’analisi tecnica o immediata (“proximate analysis”), invece, tiene conto della composizione di un combustibile solido in termini di: 1) umidità; 2) volatili; 3) carbonio (C) fisso; 4) ceneri.
Le ceneri rappresentano la frazione (inorganica) residua non combustibile, e tipicamente sono presenti in misura del 5-15%. Esse mostrano un contenuto silico-alluminoso (SiO2+Al2O3), uno solfo-calcico (CaSO4+CaO), uno ferrico (FexOy), più altri.
Tra i volatili evoluti durante il riscaldamento del combustibile, i principali elencabili sono: H2, N2, O2, CH4, NH3, CO, CO2, HCN, H2S, COS. In aggiunta, bisogna considerare volatili ad alto peso molecolare (CnHm), che possono condensare al successivo raffreddamento: essi sono composti catramosi generalmente indicati come “tar”.
Il potere calorifico inferiore (“lower heating value”, LHV) di un combustibile in genere rappresenta la massima energia ottenibile (nelle ipotesi di combustione completa) da una data quantità di combustibile.
E’ detto “inferiore” perché considera, a seguito della combustione, la produzione di H2O come vapore, e quindi si tiene già conto dell’energia richiesta dal sistema per il passaggio di stato liquido-vapore di H2O (cosa non tenuta in conto nel valore del potere calorifico “superiore”).
Tipicamente, carboni con minore tenore di umidità, volatili e ceneri, e maggiore frazione di C, presentano migliori valori di LHV.
I carboni più giovani sono le torbe (processo di carbonizzazione anaerobia, ovvero età, nell’ordine di 1 milione di anni; Figura). Su base priva di ceneri, si possono osservare valori alti di umidità e volatili, e modesti per C. Anche LHV non è particolarmente elevato. Le torbe, quindi, possono essere viste come dei precursori del carbone vero e proprio, all’inizio del processo di “coalification”.
Per età di un ordine di grandezza maggiore (10 milioni di anni), si incontrano le ligniti, combustibili più nobili. Infatti, la maggiore età determina una diminuzione delle % di umidità e volatili, ed un conseguente aumento della frazione carboniosa e del potere calorifico.
Il “carbon fossile” vero e proprio è però formato per tempi geologici maggiori (ordine di 100 milioni di anni). Si hanno i litantraci, dove umidità e volatili decrescono ulteriormente, a favore di C e LHV (Figura).
Il litantrace può essere sub-bituminoso oppure bituminoso, a seconda del valore di LHV, più prossimo a 6000 kcal kg-1 (25 MJ kg-1) o 8000 kcal kg-1 (33 MJ kg-1), rispettivamente.
Per età ancora maggiore, si hanno le antraciti, che però non vengono generalmente considerate buoni combustibili, perché la troppo bassa % di volatili determina una generale instabilità di fiamma.
Nei diagrammi come in Figura, si possono notare le posizioni delle 4 tipologie di carbone (“peat”, “lignite”, “coal”, “anthracite”, rispettivamente), in funzione del rapporto atomico O/C (ascissa) e H/C (ordinata).
Nell’andare da torba ad antracite, si osserva un aumento del tenore di C, a sfavore di O ed H. Questo comporta maggiori valori di LHV.
Ciò non ostante, il discorso è invertito per quanto riguarda la reattività. Infatti, maggiori tenori di O ed H (e, in genere, di volatili), migliorano la reattività del combustibile. Ciò sottolinea la scarsa reattività dell’antracite, e come il litantrace possa essere visto in qualità di miglior compromesso tra i differenti aspetti.
Focalizzando l’attenzione su biomasse solide da impiegarsi come combustibili, esse si possono intendere come materiali non fossili di origine naturale, formatisi fissando l’energia solare in presenza di CO2 e vapore acqueo.
Durante i processi di combustione, le biomasse idealmente restituiscono, in qualità di energia termica, l’energia precedentemente immagazzinata sotto forma di legami chimici, liberando le stesse quantità di CO2 e H2O.
Per biomasse si possono qui intendere una pletora di materiali, come ad es. materiali legnosi, paglie, prodotti e scarti agricoli e animali e, per estensione, anche particolari frazioni di rifiuti solidi.
La ciclicità, in termini di CO2, è qui fatta salva, nel senso che l’emissione netta di CO2 a seguito della combustione di una biomassa è virtualmente nulla (la biomassa emette la stessa quantità di CO2 precedentemente fissata). C’è però da sottolineare che le scale temporali dei due processi sono molto diverse: la biomassa emette CO2 più rapidamente di quanto ne fissi precedentemente. Quindi, anche se nel lungo periodo la combustione di una biomassa non ha impatto-serra, ciò è solo parzialmente vero su scale temporali più brevi.
L’uso delle biomasse è comunque ambientalmente molto più attraente rispetto all’uso di un carbone, anche se non vanno tralasciati gli aspetti socio-ambientali legati a coltivazioni intensive finalizzate all’impiego di biomasse, a discapito di coltivazioni destinate all’alimentazione umana ed animale (problema “fuel-vs.-food”).
Intervalli tipici per le frazioni dei 5 elementi principali in una biomassa sono riportati in Figura, con il paragone rispetto a quanto visto precedentemente per un carbone (litantrace). Si nota come, in genere, le biomasse siano caratterizzate da minor tenore di C, N e S, e da più ossigeno.
In termini di analisi tecnica, le biomasse hanno (rispetto al carbone) meno carbonio fisso, meno ceneri e più volatili. Quindi, LHV per una biomassa (circa 4000 kcal kg-1, cioè 17 MJ kg-1) è minore rispetto a quanto visto per un litantrace, ed è solo di poco superiore ad LHV per una torba.
Un altro limite per le biomasse è caratterizzato dalla loro generalmente bassa densità (ad es. la paglia ha una gravità specifica pari a circa 0.1, il legno a circa 0.5; un carbone presenta valori maggiori di 1), il che comporta la necessità di maggiori volumi di reazione in gioco.
Le biomasse presentano minori quantitativi di ceneri rispetto a un carbone (vantaggio economico-ambientale legato al minor quantitativo di ceneri da smaltire), e più volatili. Ciò ne migliora la reattività, come si evince dal diagramma di van Krevelen (Figura).
Si consideri, come in Figura, una particella di combustibile solido (carbone/biomassa), soggetta a riscaldamento. Seguendo il destino della particella nelle varie fasi del suo ciclo vitale, il primo processo a cui essa sarà soggetta è la perdita d’acqua (deumidificazione), a temperature di poco superiori a 100°C. Ciò determina una particella secca.
A temperature variabili (ad es., 400-700°C), ha luogo il processo di devolatilizzazione (pirolisi), lungo scale temporali altrettanto variabili (ms-min), in funzione ad esempio delle caratteristiche fisiche e chimiche della particella. Durante questo stadio, la particella emette composti volatili.
Si definisca la frazione di volatili:
dove mV è la massa di volatili che può essere emessa da una massa iniziale di “dry fuel” md.f.(t=0).
Pertanto, se il grado di avanzamento del processo di pirolisi è definito XP(t), l’evoluzione temporale della massa di combustibile (base secca) a seguito del processo di pirolisi è:
Il modello di devolatilizzazione “SFOR” (Single First-Order Reaction) assume, per semplicità, che il processo di pirolisi avvenga secondo un’unica macro-reazione, globalmente governata da una cinetica del primo ordine con costante k nota. In questi casi, è:
utilizzabile nella (2).
I volatili emessi dalla particella non vanno considerati come inerti. Alcuni di essi (ad es., H2, CO, CH4) possono bruciare intorno alla particella (e con ciò sostenendo il processo), e poi vi possono essere reazioni in fase gassosa, come il processo di spostamento (reazione di shift) del gas d’acqua (CO+H2O=CO2+H2). I tar possono anch’essi bruciare, oppure termodegradarsi sino ad avere H2 e soot carbonioso.
Il prodotto della pirolisi è detto “char”, una particella che contiene ora carbonio e ceneri. Sin quando il processo di devolatilizzazione non ha avuto fine, l’agente gassoso (O2 oppure vapore acqueo) non può interagire (non riuscendo ad entrare in contatto) con la particella di char per i successivi stadi.
Il char, naturalmente più poroso/meno denso del combustibile di partenza, in atmosfera con ossigeno subirà combustione, mentre con vapore acqueo, gassificazione. Entrambi i processi eterogenei decorrono secondo scale temporali mediamente più lunghe rispetto alla pirolisi: s-min per la combustione, min-h per la gassificazione, intrinsecamente più lenta.
In ciascun caso, il residuo dei processi di termoconversione sono le ceneri, le cui possibilità di reimpiego sono ampiamente affrontate in altre lezioni.
1. Carbone e biomasse: generalità
2. Processi reattivi del char: aspetti cinetici e diffusivi - parte prima
3. Processi reattivi del char: aspetti cinetici e diffusivi - parte seconda
4. Processi reattivi del char: aspetti reattoristici
5. Combustione: aspetti cinetici e bilanci di materia
6. Desolforazione in situ in combustori a letto fluidizzato - parte prima (modello a grani)
7. Desolforazione in situ in combustori a letto fluidizzato - parte seconda (bilancio di popolazione)
8. Gassificazione - parte prima
9. Gassificazione - parte seconda
10. Rimozione di particolato da reflui gassosi: applicazioni esercitative - parte prima
11. Rimozione di particolato da reflui gassosi: applicazioni esercitative - parte seconda
12. Assorbimento con reazione chimica: applicazioni esercitative
13. Adsorbimento: modellazione frattale di dati cinetici
14. Evoluzione dinamica di processi chimici: trasformate di Laplace per funzioni di interesse
15. Evoluzione dinamica di processi chimici: applicazioni esercitative
16. Reattori chimici: integrazioni esercitative
17. Analisi granulometrica e porosimetrica: applicazioni esercitative