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Massimo Brescia » 5.Caratterizzazione dell'atmosfera per le osservazioni - parte quarta. Principi di Fotometria e Spettroscopia parte prima


Calcolo del seeing – DIMM – 5

Avendo a disposizione i valori in arcsec delle stime, è possibile calcolare i valori relativi al parametro di Fried rispetto agli assi longitudinale e trasverso :
Siano, λ = 0.5E-06 [m], lunghezza d’onda della radiazione incidente (luce) ;
D = diametro apertura spot = 0.6 [m] ;
d = distanza tra spots = 0.15 [m] ;

r0x=\frac{\sigma _{l}^{-\frac{6}{5}}}{{{\left[ 2*{{\lambda }^{2}}*\left( 0.179*{{D}^{-\frac{1}{3}}}-0.0968*{{d}^{\frac{-1}{3}}} \right) \right]}^{-\frac{3}{5}}}}[m/arc\sec ]
r0y=\frac{\sigma _{t}^{-\frac{6}{5}}}{{{\left[ 2*{{\lambda }^{2}}*\left( 0.179*{{D}^{-\frac{1}{3}}}-0.145*{{d}^{\frac{-1}{3}}} \right) \right]}^{-\frac{3}{5}}}}[m/arc\sec ]

Utilizzando queste espressioni, i due valori del seeing, espressi utilizzando la funzione FWHM della lunghezza d’onda (Full Width Half Maximum), sono dati dalle seguenti espressioni:

FWHMy=\frac{0.98\lambda }{r0y}*206265[arc\sec ]

FWHMx=\frac{0.98\lambda }{r0x}*206265[arc\sec ]

 

Tecnologia del DIMM

Dimm del TNG

Dimm del TNG


Il seeing in output


Estinsione ed emissione

Oltre agli effetti caotici della rifrazione, l’atmosfera assorbe una frazione di luce incidente.
Inoltre essa spontaneamente emette luce in bande atomiche e molecolari particolari (da non confondere con lo scattering dovuto alle luci artificiali).

In particolare l’assorbimento varia con l’elemento chimico di cui è composto l’oggetto emittente e per ciascuno esiste sperimentalmente una misura dell’intensità apparente di un oggetto osservato.
Gli astronomi usano una particolare misura dell’intensità apparente, chiamata magnitudine, definita come m = m0 -2.5logI, da cui:

{{m}_{\text{ground}}}={{m}_{outside}}-2.5{{D}_{\lambda }}(\infty )\cdot \sec z

è chiamata la densità ottica dell’atmosfera, mentre la variabile X(z) = secz è chiamata air-mass . Il minimo valore dell’air mass è 1 allo Zenith e 2 a z = 60° (zenith angle).

Inquinamento luminoso – 1

Source: paper by Cinzano, Falchi e Elvidge (2001)

Source: paper by Cinzano, Falchi e Elvidge (2001)


Inquinamento luminoso – 2

E in altre parti del globo non sono messi meglio… Fonte: paper by Cinzano, Falchi e Elvidge (2001)

E in altre parti del globo non sono messi meglio... Fonte: paper by Cinzano, Falchi e Elvidge (2001)


Inquinamento luminoso – 3

ROADPOLLUTION è un programma per l’analisi degli impianti di illuminazione stradale e per la valutazione dell’impatto ambientale da inquinamento luminoso. Esso produce un rapporto dettagliato che raccoglie moltissimi parametri utili per quantificare la qualità del progetto illuminotecnico, la sua efficacia nel contenere i consumi energetici, la sua corrispondenza ai requisiti necessari per minimizzare l’inquinamento luminoso e la sua rispondenza alla leggi contro l’inquinamento luminoso.

Si veda il sito lightpollution

Sorgenti di background

Per completare l’analisi delle sorgenti di alterazione della qualità osservativa a causa dell’atmosfera, dobbiamo menzionare le cosiddette sorgenti di background.
Esse sono riassunte nello schema sotto.
Si dividono in:

  • celestial background;
  • atmospheric background;
  • stray light & detector background;
  • thermal emission background;
  • locally induced seeing.
Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Celestial background – 1

Per celestial background si intendono gli effetti “noisy” sulle osservazioni ground-based dovuti a tre fonti primarie:

  • galactic emission: dovuto soprattutto a stelle lontane e polvere, caratterizzato da “chiazze” o aloni irregolari di emissione, in genere noti come “cirri galattici”;
  • zodiacal light: dovuta a grani di polvere orbitanti intorno al Sole e concentrati nel piano dell’eclittica. E’ dovuta a due effetti principali: scattering della luce solare ed emissione termica dei grani di polvere riscaldati dal Sole;
  • cosmic rays: nuclei atomici (protoni ed elettroni) accellerati ad alte energie, originati dai vari corpi celesti. Producono cariche spurie nei detectors.

Nella figura a lato: brightness delle sorgenti di celestial background, come funzione della lunghezza d’onda.

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Celestial background – 2

Per il zodiacal background, occorre dire anche che tra le bande di scattering e di thermal emission esiste una finestra, nota come “cosmological window”, a circa 3.5 μm, che permette osservazioni spaziali con il minimo valore di noise. Lo zodiacal background non è uniforme. Ha un massimo a latitudini prossime al piano dell’eclittica e valori minimi al di sopra dei 60° di latitudine eclittica, a causa della combinazione di minimo spessore della “nuvola zodiacale” e della bassa temperatura della polvere.

Scattering e thermal emission

Scattering e thermal emission

Schema del disco zodiacale. Fonte: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Schema del disco zodiacale. Fonte: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Celestial background – 3

I cosmic rays sono, come anticipato, responsabili di cariche spurie sui detectors, che alterano singoli o gruppi di pixels adiacenti. Sono quindi una importante sorgente di degradazione delle osservazioni, sia nello spazio che a terra.
Queste particelle viaggiano di solito a 0.9c con energie sopra i 1017 eV. Alcuni provengono dal Sole, ma anche dai vari corpi galattici (soprattutto supernovae e AGN). Alcune di queste particelle sono intrappolate dal campo magnetico terrestre, formando zone ad alta radiazione (le cinture di Van Allen). Altri sono in genere attenuati dall’atmosfera, in cui però avvengono reazioni che generano scariche di particelle secondarie. A livello del suolo (da 0 a 4 km) esse consistono soprattutto in muoni, con una concentrazione di circa 50xcm2 all’ora. Nello spazio arrivano fino a 3600xcm2 all’ora. Esiste anche la cosiddetta SAA (South Atlantic Anomaly) sopra il Brasile, in cui vi è una depressione del campo magnetico terrestre che provoca tempeste di raggi cosmici. In questa zona i telescopi spaziali a bassa orbita devono spegnere i dispositivi elettronici.

Celestial background

Celestial background


Atmospheric background

Il background di tipo atmosferico si manifesta in tre categorie principali:

  • ottico, al di sotto di 1 μm, dovuto allo scattering della Luna;
  • infrarosso non-termico, in [1, 2.5] μm, dominato dalle linee di emissione OH;
  • termico, al di sopra dei 3 μm.

La tipologia di notte fotometrica viene stabilita in base alla fase lunare. Lo scattering lunare influisce classificando “dark time” quando la Luna è minore di un quarto; “bright time” quando la Luna è piena per oltre metà; in tutti gli altri casi si ha il “gray time”.
Il dark time è solitamente destinato ad osservazioni fotometriche, mentre il bright time è usato per osservazioni nell’infrarosso o per spettrografia ad alta risoluzione.

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Stray light & detector background

La stray light (letteralmente “luce sporadica”) si manifesta per luce indiretta sul campo di vista (FOV) dovuta a corpi celesti circostanti o per emissione termica dal telescopio e dagli strumenti. Ad esempio, gli stessi detectors sono in grado di generare noise elettronico (fotoelettroni) nei pixels o attraverso il processo di lettura (lo vedremo più avanti in dettaglio).

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Thermal emission background -1

In generale le osservazioni ground-based nell’infrarosso differiscono da quelle nell’ottico a causa della differenza di flusso di background dovuto all’emissione termica del telescopio ed all’atmosfera. Il picco di tale flusso è intorno ai 10μm. In generale, tale flusso costituisce un “background” che deve essere poi sottratto all’immagine in fase di riduzione dati. Al di sopra dei 2.5 μm, il background è ancora gestibile e se l’oggetto osservato è piccolo rispetto al FOV, non è necessario compiere esposizioni separate del cielo (sky flat fields). Si può piuttosto ricorrere al “dithering“, cioè allo spostamento intorno alla sorgente per ottenere valori di sky background da sottrarre. Il dithering è in pratica l’operazione di posizionare l’oggetto in differenti posizioni sul detector muovendo il telescopio.

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Thermal emission background – 2

Al di sopra dei 2.5 μm, il background è talmente alto e variabile nel tempo che il dithering non è sufficiente per valutarlo. In tal caso, l’unica soluzione è puntare ripetutamente la sorgente alternando puntamenti di zone vuote di cielo con una periodicità paragonabile alla variabilità dello sky background (diciamo una sorta di tecnica di “puntamento adattivo”, detta anche Chopping). La frequenza di chopping dipende dalle condizioni locali di cielo, atmosfera, lunghezza d’onda, ma è di solito compresa tra i 3 e i 10 Hz. Naturalmente, data l’inerzia dei grandi telescopi, il chopping avviene su una delle ottiche (M2), che comunque condiziona la frequenza. Il problema collaterale è lo scattering delle superfici ad alta emissività (top ring, spiders) durante gli spostamenti,che causa background residuo. La soluzione è ripuntare l’intero telescopio ogni tanto (60sec).

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Locally induced seeing – 1

In generale il controllo termico di una stazione osservativa ground-based è un problema notevole. In particolare l’instabilità termica generata dalla presenza stessa di un telescopio e di strumentazione, può causare il fenomeno classico del “dome seeing“. Come noto dalle leggi della “convezione libera”, il gradiente termico è maggiore in prossimità della fonte di calore. Inoltre si può applicare quanto appreso per la turbolenza atmosferica al caso della turbolenza nell’ambiente in prossimità del telescopio, laddove l’alta concentrazione in pochi metri di volume di sorgenti di emissione amplifica ciò che avviene negli strati di atmosfera in volumi molto più estesi.
Per un singolo strato di spessore l nel volume che circonda una stazione osservativa, in cui la temperatura varia in media di ΔT, la variazione angolare di un’immagine è approssimabile a:

\theta =k\frac{\Delta {{T}^{6/5}}}{{{l}^{3/5}}}

Su tutto il volume visto come successione di strati, ovviamente la variazione angolare sarà l’integrale rispetto a l.

Locally induced seeing – 1

Le principali sorgenti (contributi) di convezione libera nell’ambiente telescopio sono in genere:

  • convezione attraverso l’intero spazio interno e pavimento della cupola (edificio) generata per differenza di temperatura con l’aria esterna circostante, chiamato θencl;
  • convezione causata da differenza di temperatura tra il volume posto tra M1 e M2 e l’ambiente circostante, chiamato θm;
  • convezione localizzata (heat sources) nell’edificio (ad esempio nei quadri elettrici, motori etc…), θhs.

\theta ={{\left( \theta _{encl}^{5/3}+\theta _{m}^{5/3}+\theta _{hs}^{5/3} \right)}^{3/5}}

Locally induced seeing – 2

Come detto, il dome seeing si riduce se si mantiene al minimo (entro +/- 1 °C) la differenza di temperatura tra interno ed esterno, durante tutto il giorno. Per far questo si può realizzare:

  • superficie esterna cupola con materiale e colore termo-repellente;
  • isolamento termico interno delle pareti dell’edificio e cupola;
  • sistema di climatizzazione interna dell’edificio, in cui si mantenga una temperatura prossima a quella del tramonto nel sito (orario di apertura cupola). Ma per evitare condensa residua sulle ottiche, conviene avere un sensore di dew point interno all’edificio, in modo che non si raggiunga mai una temperatura inferiore al dew point dell’ambiente.

Locally induced seeing – 2

Con dew point o punto di rugiada si intende la temperatura alla quale, a pressione costante, l’aria (o la miscela aria-vapore) diventa satura di vapore acqueo. Esso indica a che temperatura deve essere portata l’aria per farla condensare in rugiada, senza alcun cambiamento di pressione.
In altre parole il punto di rugiada è quella temperatura a cui una massa d’aria deve essere raffreddata, a pressione costante, affinché diventi satura e quindi possa cominciare a condensare nel caso perdesse ulteriormente calore.

Il calcolo del dew point si basa su una semplice formula:
Dati T temperatura ambiente [°C] e R umidità relativa [%], con la costante di conversione t0 (pari a 273.16 °C), il dew point DP è ottenuto da:

DP(T,R)=\frac{\left[ \left( 15\log \left( \frac{100}{R} \right)-\left( 2.1T \right)+2711.5 \right)\left( T+{{t}_{0}} \right) \right]}{\left[ \frac{\left( T+{{t}_{0}} \right)\log \left( \frac{100}{R} \right)}{2}+\left( 15\log \left( \frac{100}{R} \right)-\left( 2.1T \right)+2711.5 \right) \right]}-{{t}_{0}}

Locally induced seeing – 3

Circa la componente di convezione libera dovuta all’edificio, esiste una formula empirica dovuta a Zago (Zago L., “An engineering handbook for local and dome seeing”, SPIE Proc., Vol. 2871, 1996).

{{\theta }_{encl}}\approx 20.9D_{d}^{-1/5}q_{s}^{4/3}

Dove Dd è il diametro cupola e qs è il flusso di calore di superficie. Questa relazione è anche visualizzata nel grafico seguente. Questo è in pratica il seeing causato da un pavimento “caldo” interno alla cupola, al variare del suo diametro (si tenga conto che per un telescopio da 8m, il diametro minimo della cupola è 25m.)
Quest’effetto può essere mitigato controllando attivamente la temperatura del pavimento, isolandolo termicamente e refrigerandolo in modo da essere prossimo alla temperatura del suolo esterno. (Per questo la pavimentazione esterna è curata con vernici e materiali refrattari al calore).

Dome seeing
Locally induced seeing – cella primaria
Locally induced seeing – cella primaria

Locally induced seeing – 3

Circa la componente di convezione libera dovuta a sorgenti di calore localizzate, non è possibile ridurla a zero, ma solo minimizzare l’equipaggiamento presente in cupola attraverso una policy rigorosa. Ad esempio presso i telescopi ESO, il vincolo è che qualunque sorgente di calore in cupola debba generare al massimo 10 W/m2, che significa tenerla ad una differenza di temperatura < 1.5°C rispetto a quella esterna.

In genere le fonti classiche sono i motori degli assi, i cabinet elettrici e i drive di controllo, il sistema di pattini idrostatici. Ma le fonti primarie sono sicuramente i sistemi di ottica attiva per M1 e M2. Per M1 vi è un discorso a parte. Per M2 si può usare una funzione empirica:

<br />
{{\theta }_{hs}}\approx 0.018{{Q}^{4/5}}{{D}^{-9/5}}

Dove Q è il flusso di calore totale di M2 in Watt e D è il diametro di M2 in metri. Formula empirica ottenuta presso il WFI 2.2m dell’ESO a La Silla.

Il calore generato da piccole o intermittenti sorgenti può essere dissipato per conduzione. Sorgenti continue e grandi richiedono un controllo termico attivo.

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

Source: Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002


Locally induced seeing – 4

Il cosiddetto “mirror seeing” è causato dalla convezione naturale sulla superficie ottica di M1 rispetto all’ambiente circostante. L’effetto di turbolenza è localizzato nel sottile strato di pochi mm sopra la superficie riflettente.
Si deve distinguere tra la condizione in cui M1 è in aria ferma o forzata.

{{\theta }_{m}}\approx 0.4\Delta T_{m}^{6/5}

M1 in aria ferma. Dove ΔTm è la differenza di temperatura tra la superficie e l’ambiente circostante. Il valore finale è in arcsec.
\begin{align}<br />
& {{\theta }_{m}}\approx 0.18F{{r}^{-0.3}}\Delta {{T}_{m}}<br />
& Fr=\frac{T{{V}^{2}}}{\Delta TgD}<br />
\end{align}

M1 in aria forzata. Il seeing diminuisce se M1 è ventilato. Fr è il cosiddetto numero densimetrico di Froude (che mette in relazione forza d’inerzia e forza peso), in cui V è la velocità del vento, D il diametro di M1 e g l’accellerazione di gravità. Questa legge indica che grandi specchi tendono a produrre maggiore seeing di quelli più piccoli, in analoghe condizioni di ventilazione.

Il vento può essere benefico quindi per il mirror seeing, sebbene i suoi effetti dinamici possano inficiare sulle osservazioni. Esiste un punto di equilibrio.


Locally induced seeing – 5

In sintesi, il controllo termico dell’interno di un edificio di giorno, la ventilazione di M1 durante la notte possono migliorare le condizioni di turbolenza locale, ma possono non essere sufficienti.
Ad esempio, vi possono essere condizioni atmosferiche peculiari e impreviste rispetto alla norma del sito. In tali casi la temperatura di M1 può richiedere diverse ore prima di raggiungere l’equilibrio rispetto all’ambiente. In specchi monolitici spesso il sistema di ventilazione è problematico, essendovi ridotta l’area di scambio termico. La soluzione è allora un sistema attivo di raffreddamento sotto lo specchio. Ciò avviene di solito con un “piatto” raffreddato con glicole e acqua, collocato sotto la superficie di M1 attraverso vari canali coibentati e con ventole direzionali per permettere un rapido dissipamento
del calore verso l’esterno di M1.

Interno cella primaria

Interno cella primaria


Fotometria e spettrografia: strumentazione e osservazioni


Che tipo di osservazione vogliamo fare?


L’osservazione astronomica

I fotoni costituiscono il ponte tra noi ed il cosmo.

Il fotone costituisce l’unità base del trasporto di energia della luce, che è un’onda elettromagnetica che viaggia nello spazio.
L’osservazione di una sorgente consiste nella raccolta e nell’analisi di una predefinita porzione di fotoni da essa emessi, per mezzo di rivelatori.


Lo spettro elettromagnetico


La Banda dell’ultravioletto

Questa banda si suole dividere in tre sezioni, caratterizzate da diverse quantità di energia.
UV-A è spesso chiamata luce nera, per le sue capacità di far emettere luce visibile in materiali fluorescenti
UV-B è la forma più distruttiva di luce UV. Ha sufficiente energia per provocare danni a tessuti organici (cancro della pelle).
UV-C è assorbita quasi completamente dall’atmosfera. A contatto con l’ossigeno forma ozono. E’ presente nelle lampade germicida.

La banda dell’ultravioletto

La banda dell'ultravioletto


La Banda dell’infrarosso

La luce nell’infrarosso contiene una bassa quantità di energia per fotone.
Poiché il calore è una fonte di energia infrarossa, un qualunque dispositivo usato per rivelarla è sensibile a fonti di calore esterne al target.

La banda dell’ultravioletto

La banda dell'ultravioletto


La Banda dell’infrarosso (segue)

I fotoni appartenenti a regioni diverse dello spettro elettromagnetico forniscono informazioni su quantità fisiche diverse degli oggetti astronomici.

… se per esempio studiamo gli ammasi di galassie …

  • Ottico NIR
    • distribuzione spaziale delle galaxies;
    • cinematica delle galassie;
    • presenza di sottostrutture;
    • proprietà fotometriche delle galassie.
  • Raggi X
    • gas caldo IntraCluster;
    • gradienti di temperature.
  • Radio
    • interazione tra radio galassie e gas caldo;
    • presenza di campi magnetici;
    • popolazione di particelle relativistiche.

Con quale strumento?


Fotometria

La fotometria studia la misurazione del flusso, o dell’intensità, della radiazione elettromagnetica.
Un’immagine è il risultato della “raccolta” dei fotoni costituenti un’onda luminosa. I fotoni hanno energie differenti, ottenendo immagini diverse a seconda della lunghezza d’onda osservata.

Le lezioni del Corso

I materiali di supporto della lezione

Pierre Y. Bely, The Design and Construction of Large Optical telescopes, New York, Springer, 2002

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Progetto "Campus Virtuale" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, realizzato con il cofinanziamento dell'Unione europea. Asse V - Società dell'informazione - Obiettivo Operativo 5.1 e-Government ed e-Inclusion

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