Rappresentazione onda elettromagnetica (o.e.) (campo elettromagnetico nel vuoto). I vettori del campo elettrico (E) e magnetico (H) sono mutuamente perpendicolari (medesima dipendenza dal tempo e quindi sempre in fase fra loro in tutti i punti del campo).
le componenti scalari del campo
elettromagnetico (Ex, Ey, Ez, Bx, By, Bz) obbediscono alla equazione differenziale scalare dell’onda
Le costanti (permeabilità µ e dielettrica _), ottenute sperimentalmente, furono la chiave per
verificare che la velocità V di propagazione dell’o.e. corrispondeva a quella della luce
la velocità di propagazione dell’onda elettromagnetica è così simile a quella della luce che possiamo ragionevolmente pensare che la luce stessa è una alterazione elettromagnetica che si propaga in modo ondulatorio attraverso il campo elettromagnetico [Maxwell]
Il comportamento del campo elettromagnetico in un mezzo diverso dal vuoto è ovviamente di
grande interesse per l’ottica. La presenza del mezzo si inserisce nelle equazioni di Maxwell tramite i coefficienti ε≠ε0 e µ≠µ0. La velocità di fase diventa quindi V = 1/ εµ
Tutte le sostanze sono debolmente magnetiche ma nessuna, eccetto le ferromagnetiche, lo sono
fortemente: Il rapporto μ/μ0 si può porre, a parte condizioni molto particolari, pari circa ad 1. Il rapporto ε/ε0 è la costante dielettrica del mezzo. A complicare il tutto si deve tener presente che _, e quindi n, è dipendente dalla frequenza dell’onda; questo effetto è meglio noto come dispersione (quando un mezzo dielettrico è sottoposto ad un campo elettrico esterno le sue cariche subiscono una distorsione).
Le grandezze radiometriche possono essere espresse in termini di numero di fotoni al secondo. Infatti ogni fotone possiede una certa quantità di energia, che si può esprimere utilizzando i concetti derivati dalla teoria quantistica della radiazione elettromagnetica (teoria dei quanti).
λ in µm, l’energia di un fotone vale 1.9863*10-19/λ J. Per esempio, l’energia di un fotone IR di λ=5 µm è 3.97*10-20 J.
A volte si può trovare una descrizione del fotone basata sulla sua frequenza (_), la cui unità di
misura è l’Hertz (Hz) anziché in λ. La relazione fra lunghezza d’onda e frequenza è v=c/λ cosicché, ad esempio, la frequenza di un fotone di λ=10 µm vale 3*1013 Hz. La costante h è la costante di Planck, il cui valore misurato è dato da: h=6,626 06896(33) x 10-34 Js
La luce che attraversa una fenditura non si propaga solo “in avanti”, come farebbe un corpuscolo materiale, ma tende a espandersi nello spazio, coprendo una regione ben più grande della fenditura attraverso la quale è passata. Questo fenomeno prende il nome di diffrazione, e si manifesta quando le dimensioni degli ostacoli che l’onda incontra risultano paragonabili alla sua lunghezza d’onda.
Identificando un fronte d’onda di un gruppo di onde come un fascio di particelle la cui fase cambia con il tempo ma rimane costante su tutto il fronte, si può dunque definire fronte d’onda il luogo dei punti in cui le onde elettromagnetiche hanno fase costante. Il raggio è definito come la normale al fronte d’onda (analogamente alle linee di forza in un campo le quali sono ortogonali al campo)
Il fronte d’onda unisce i due punti a uguale fase d’onda (φ1 = φ2). I raggi 1 e 2 sono ortogonali localmente al fronte d’onda definito. Se le onde partono nel medesimo istante di tempo, allora il fronte d’onda sarà rappresentato da una superficie sferica con centro nel punto sorgente.
Siccome la velocità di un’onda elettromagnetica varia a seconda del mezzo in cui si propaga, è utile definire il cosiddetto cammino ottico (OPL: optical path length), definito come il prodotto della lunghezza fisica del sistema di ottiche per l’indice di rifrazione del mezzo in cui l’onda si propaga: OPL=L x n
nel vuoto n =1 per definizione. La velocità di propagazione nell’aria si pone uguale a quella nel vuoto, con una certa approssimazione. In riferimento ad applicazioni usuali (vedi ADC), gli indici di rifrazioni dei comuni vetri ottici è maggiore di 1. Significa che la velocità dell’o. e. all’interno del vetro è minore di quella nel vuoto
=> Il fronte d’onda ha un ritardo passando attraverso un mezzo
Quando un fronte d’onda viaggia attraverso un mezzo ad indice di rifrazione n’ maggiore di quello del mezzo dove è stato generato n (n’>n), esso subisce un ritardo di fase. Il cammino ottico nel fronte d’onda si mantiene però costante: OP1 = OP2. Si noti che nella realtà l’onda è soggetta a diffrazione e quella in figura è solo una rappresentazione geometrica schematica
Partiamo da un postulato: “nessun sistema ottico è perfetto”. Ma cos’è un sistema ottico?
Esso si compone di:
a) definisce la frazione di flusso e.m. (e quindi dell’energia) che raggiunge il
ricevitore (stop di apertura) oppure, in alternativa,
b) definisce l’area della sorgente che il rivelatore riesce a misurare (stop di campo).
Consideriamo il sistema ottico generico. Esso è costituito da una lente semplice la quale crea
l’immagine L’ dell’oggetto esteso L. Il rapporto fra le dimensioni fisiche L e L’ è l’ingrandimento del sistema ottico.
Nel caso reale, l’immagine è sempre affetta da degrado.
Il campionamento ideale si ha ponendo due pixel sull’immagine Θimage.
Nel caso in cui Θimage= ΘAiry (diffraction limited) a volte si preferisce mettere quattro pixel sul disco di Airy in modo da campionare secondo il criterio di Rayleigh. Questi osservò infatti che la qualità dell’immagine non è alterata finchè il fronte d’onda rimane confinato entro due sfere concentriche, separate da ¼ della lunghezza d’onda.
due sorgenti puntiformi sono distinguibili se la loro separazione angolare è maggiore o uguale a:
risoluzione angolare
dove λ è la lunghezza d’onda della luce osservata e d è il diametro del foro di osservazione (in mm)
Escludiamo per ora l’effetto delle aberrazioni. L’immagine di un punto oggetto, anche per uno strumento ideale, ha una dimensione fisica finita, determinata dal diametro del disco di diffrazione (disco di Airy), di dimensione angolare ΘAiry = 2.44 λ/D, con λ la lunghezza d’onda a cui si osserva e D il diametro della pupilla d’ingresso. La dimensione fisica (ad es. in micron) si trova moltiplicando la dimensione angolare per la focale dello strumento:
ΘAiry = foc x ΘAiry.
In un sistema di ottica geometrica, qualunque dimensione lineare si ottiene dal prodotto di quella angolare per la focale del sistema.
per la luce visibile (0.55µm), il diametro del disco di Airy (espresso in m) risulta approssimativamente pari all’effettivo rapporto tra la focale e la pupilla di uscita (f# = f/D). Il raggio del primo anello è dunque ottenibile dalla relazione = 1.22_/D che definisce il potere risolutivo angolare del telescopio. Ciò è dovuto al fatto che la frazione di energia totale contenuta in un cerchio di raggio r attorno al centro della figura di diffrazione risulta essere:
Dove con J si è indicata la funzione di Bessel di ordine specificato dal pedice. In questo caso il rapporto relativo al primo anello risulta essere:
La configurazione ottica prevalente nelle nostre considerazioni prevede un sistema basato su due ottiche, dette primario (pupilla) e secondario. Questi sono anche detti specchi principali.
I due specchi principali devono mantenere un elevato grado di allineamento rispetto all’asse ottico comune, in modo da garantire una corretta qualità ottica. Il disallineamento dello specchio secondario rispetto al primario introduce alcuni effetti indesiderati, principalmente aberrazioni legate a sfocamento (defocus), tilt e coma da decentramento (decentering coma)
con l’aumentare dell’ingrandimento, il problema delle aberrazioni deve essere affrontato contemporaneamente su due fronti: da un lato un più preciso controllo del disallineamento del secondario (controlli attivi) e dall’altro, una correzione modale delle distorsioni del fronte d’onda indotte sul primario.
Le principali sorgenti di degrado della qualità ottica dell’immagine di un telescopio, sono rappresentate dalla turbolenza atmosferica, che si manifesta mediante il fenomeno osservativo del seeing, e dai gradienti gravitazionali e termici (ipotizzando un perfetto sistema di controllo delle parti attive e un adeguato accoppiamento opto-meccanico del telescopio).
Questi fenomeni, agendo sulla struttura del telescopio, lo allontanano dalla configurazione ottica ideale (sistema stigmatico: sistema ottico in cui tutti i raggi convergono in un solo punto), generando disallineamenti delle ottiche.
Dunque l’immagine di un punto non è un punto, ma un disco luminoso più o meno grande e/o deformato a seconda delle aberrazioni presenti (sicuramente maggiore del disco di diffrazione). In tal caso possono presentarsi le seguenti aberrazioni:
ABERRAZIONI GEOMETRICHE (sistemi ottici centrati)
ABERRAZIONI DA DISALLINEAMENTO (sistemi ottici decentrati)
L’aberrazione di un sistema ottico si descrive comparando un fronte d’onda sferico di riferimento RS con quello aberrato AWF. RS è centrato sul punto immagine e tangente alla pupilla di uscita.
In generale dunque, il fronte d’onda non è una sfera perfetta, bensì aberrata, cioè parti differenti del fronte convergono al fuoco in zone differenti.
W differenza di cammino ottico tra i due fronti
dW variazione di fase fra punti vicini nella pupilla
T aberrazione trasversale o differenza di quota fra il centro di curvatura di RS ed il punto del raggio che interseca il piano del fuoco parassiale
R raggio di curvatura
La figura mostra un fronte d’onda aberrato che può non avere un unico fuoco, ma che ha i raggi in un’area racchiusa nel cerchio che interseca il piano immagine parassiale nel punto y0=-T.
ΔW è allora la distanza tra RS e AWF e l’angolo AA tra i raggi e l’asse ottico è chiamato aberrazione angolare. (l’aberrazione trasversa si ottiene da quella angolare moltiplicata per la focale R).
Un fronte d’onda nella sua forma più generale, può essere espresso analiticamente come somma di monomi:
Ove i coefficienti rappresentano i contributi di:
A = aberrazione sferica
B = coma
C = astigmatismo
D = defocusing
E = inclinazione rispetto all’asse x
F = inclinazione rispetto all’asse y
Ove k è il grado del polinomio. Nel caso di aberrazioni primarie si ottiene:
Consideriamo una superficie riflettente curva, come nella seguente figura. Consideriamo una
particolare famiglie di curve composta dalle curve coniche del tipo:
Ove R è il raggio di curvatura della sfera osculatrice della conica, e è l’eccentricità della conica. Risolvendo l’equazione di secondo grado:
dove K è la costante conica. Sviluppando in serie di Taylor si ottiene:
La superficie che produce un’immagine priva di aberrazione sferica è la parabola (supponendo la sorgente posta all’infinito, caso astronomico). Le altre sono asferiche solo se sorgente ed immagine sono all’interno dei fuochi (p e q) delle curve (cioè a distanza finita, che ci interessano comunque per ottiche a due specchi, tipiche dei telescopi!)
Le coniche non sferiche producono immagini affette da aberrazioni fuori-asse. Ricordiamoci che, rispetto ai due fuochi, vale l’utile relazione (m è l’ingrandimento):
la parabola fu (e rimane) la soluzione naturale per lo specchio primario di molti telescopi
L’aberrazione sferica è un difetto che in un sistema ottico porta alla formazione di una immagine distorta. Essa è anche nota come aberrazione in asse, invariante cioè rispetto ad uno shift angolare rispetto a direzioni ortogonali all’asse ottico. Ciò perché si manifesta per un effetto di “sfocamento” lungo l’asse ottico, proporzionale a y4.
È provocato dal fatto che, in generale, la sfera non è la superficie ideale per realizzare una lente/specchio, ma è comunemente usata per semplicità costruttiva.
I raggi distanti dall’asse vengono focalizzati ad una distanza differente dalla lente rispetto a quelli più centrali. Per evitare il fenomeno si utilizzano particolari lenti non sferiche, chiamate asferiche, più complesse da realizzare e molto costose. Il difetto può anche essere minimizzato scegliendo opportunamente il tipo di lente adatto all’impiego specifico.
Quando l’oggetto non giace sull’asse ottico si presentano aberrazioni definite fuori asse. Si consideri un fascio collimato che incide con un angolo θ su una superficie conica. Si ha dunque:
Sostituendo nell’equazione
Si ottiene:
I cui termini sono rispettivamente il coma, l’astigmatismo e la distorsione. Il loro carattere dipende dalle rispettive potenze con cui y e θ sono rappresentati.
esempio:
L’immagine in presenza di coma appare asimmetrica ed ha la forma di una cometa di cui il fuoco parassiale costituisce la testa. La coda dell’immagine, ovvero la parte meno luminosa, è diretta radialmente rispetto all’asse ottico. Il coma è positivo quando la coda è diretta dalla parte opposta rispetto all’asse ottico ed aumenta in proporzione all’angolo di inclinazione del fascio incidente; quindi risulta maggiore per oggetti più distanti dall’asse ottico. Il coma è proporzionale a y2θ e quindi cambia segno con l’angolo d’inclinazione, ma è invariante per cambi di segno di y. Può manifestarsi sia fuori asse o anche al centro del FOV (cioè in asse).
I raggi che passano per il centro di una lente con distanza focale f, sono focalizzati alla distanza f tanθ.
I raggi che passano in periferia sono focalizzati invece in un punto diverso sull’asse, più lontano nel caso della coma positiva e più vicino nella coma negativa
è proporzionale a yθ2 e quindi non cambia segno al variare di quello di θ, ma di y, per cui raggi provenienti dalla parte opposta allo specchio giacciono da parti opposte rispetto al raggio centrale vicino al fuoco parassiale. L’immagine in presenza di astigmatismo è pertanto traversa rispetto al raggio centrale.
All’origine dell’astigmatismo vi può essere un errato montaggio degli elementi ottici o, peggio ancora, una serie di errori più o meno grossolani di lavorazione degli stessi. Entrambi i motivi sopraelencati portano alla presenza di più assi ottici nell’ambito dello schema del telescopio
è proporzionale a θ3 e non dipende da y. Per un insieme di punti oggetto equispaziati perpendicolarmente all’asse ottico, l’insieme di immagini risulterà non equispaziata. Questo vuol dire che la lunghezza focale cambia con l’angolo di campo. La distorsione è detta “a barilotto” o “a menisco” in base alla forma caratteristica che assume rispettivamente quando è positiva e negativa
I fuochi corrispondenti a diversi angoli d’incidenza dei raggi, in assenza di altre aberrazioni, giacciono su una superficie curva. E’ proporzionale a y_2
Delle cinque aberrazioni descritte, solo quella sferica non dipende dall’angolo di incidenza del raggio sulla superficie, mentre le altre dipendono dalle potenze di θ. La distorsione e la curvatura di campo hanno effetto sulla posizione dell’immagine. Ciascuna aberrazione è proporzionale a ynθm, ove n + m = 3. Quindi ciascuna di esse è chiamata del terzo ordine. Oltre alle aberrazioni primarie o “acromatiche”, vi sono le aberrazioni “cromatiche”, legate all’indice di rifrazione n del mezzo e dalla lunghezza d’onda λ della radiazione in esame. Poiché l’indice di rifrazione del raggio, incidente e riflesso da uno specchio, è il medesimo, gli specchi non sono affetti da questo tipo di aberrazione. Delle cinque aberrazioni del terzo ordine, quella sferica non dipende dal campo; il coma vi dipende linearmente; l’astigmatismo e la curvatura quadraticamente; la distorsione ha invece una dipendenza cubica
Ponendo uno specchio iperbolico con uno dei fuochi sul piano focale del primario M1 (parabolico) otteniamo un teleobiettivo con focale equivalente maggiore delle dimensioni fisiche dello strumento con aberrazione sferica corretta. Un caso particolare di teleobiettivo è il telescopio classico a due specchi. Un telescopio costruito in questo modo si chiama Cassegrain. Sebbene l’aberrazione sferica per oggetti in asse è annullata, permangono tutte le altre aberrazioni fuori asse.
L’F-number (detto anche apertura numerica o F/#) esprime il diametro dell’apertura del diaframma in termini dell’effettiva lunghezza focale e della lente. Ad esempio, F/16 rappresenta un diametro di apertura del diaframma pari ad un sedicesimo delle lunghezza focale.
Il parametro s = 206264.8/f è la scala angolare del telescopio (arcsec/mm)
(Non si confonda l’ingrandimento con la scala; l’ingrandimento è il rapporto tra la focale del telescopio e quella dell’obiettivo, serve dunque per osservazioni visuali. E’ facile avere ingrandimenti di 1000 o oltre, ma in pratica la turbolenza atmosferica e la qualità delle ottiche limitano i valori utili a 200, o 300)
Il parametro s va confrontato con le dimensioni dell’elemento di immagine (ad es. le dimensioni del pixel del CCD in micron) sul piano focale del telescopio, per ottenere la scala spaziale dello strumento. Ad es, se la focale f fornisce s = 10″/mm e il CCD ha pixel di lato 10μm, avremo scala spaziale di 0″.1/px
Il più banale telescopio è costituito da una lente convergente di focale f ed un rivelatore posto al fuoco (punto di convergenza o “concentrazione” dei raggi della sorgente). Qualunque telescopio permette quindi di misurare la brillanza del cielo B(α,δ), convogliando sul rivelatore la massima potenza (flusso di energia) possibile.
Ciascun pixel di area AP del rivelatore riceve dunque radiazione e.m. da un angolo solido in cielo quantificabile in:
La potenza luminosa totale raccolta dal rivelatore sarà allora:
dove Al è l’area della lente
Risulta evidente dunque che un’alta risoluzione angolare (inversamente proporzionale a _s) ed un’alta sensibilità P sono esigenze incompatibili e si deve trovare il giusto compromesso. Infatti:
A parità di risoluzione angolare e brillanza, la potenza raccolta è proporzionale ad Ap
A parità di risoluzione angolare, telescopi con f più corta concentrano la stessa potenza su rivelatori di area minore. La limitazione però è costruttiva (pixel molto piccoli).
Telescopi con grande F/# sono poco luminosi ma con alta risoluzione angolare. Piccola F/# invece implica telescopi molto luminosi, ma con bassa risoluzione angolare.
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