È importante sottolineare che le relazioni di ottica geometrica usate per disegnare i telescopi (al primo ordine) valgono in tutte le bande dello spettro elettromagnetico, ovvero i telescopi per onde radio o raggi X (ad esempio) devono obbedire sempre a queste relazioni
Relazioni utili
ESEMPIO 1:
Si disegni un telescopio Cassegrain di apertura numerica F/#=5.5 con specchio primario di diametro D1=2.65m e rapporto focale F1/# = 1.79 (specchi di questo diametro sono difficili da fabbricare e da controllare in fase di utilizzo). Per motivi di posizionamento degli strumenti di piano focale il piano focale del telescopio deve essere a 1.1914 metri dal vertice del primario e sotto di esso.
SOLUZIONE 1:
Lo scopo è quello di trovare i parametri costruttivi del telescopio, ovvero i raggi di curvatura (R1 e R2), le dimensioni degli specchi (D2), le costanti coniche (K1 e K2) e la distanza fra gli specchi.
La focale del telescopio f è, dalla definizione di rapporto focale, f = F/# D1 = 9 1.8 = 14575mm
La focale del riflettore principale è: f1=F1/# D1 = 4743.5mm
troviamo quindi il primo parametro utile: R1 = 2 f1 = 9487mm
La back focal distance β (parametro adimensionale), essendo il fuoco 1.1914 metri sotto il vertice del primario, vale : β = 1191.4/f1 = 1191.4/4743.5 = 0.2512
L’ingrandimento del telescopio è: m = f/f1 = 14575 /4743.5 = 3.0726
L’ostruzione ε vale: ε = (1+ β)/(m+1) = (1+0.2512)/(3.0726+1) = 0.3072
La dimensione dello specchio secondario risulta D2 = e D1 = 814.14mm
Ricaviamo il parametro ρ = mε/(m-1) = 0.4554
si ricava dunque il secondo parametro utile: R2 = ρ R1 = 4320.57mm
q2 = mεf1 = 4477.40mm
Dall’ultima riga della tabella ricaviamo la distanza fra i riflettori D12 = q2 – βf1 = 3285.83 mm
Gli ultimi due parametri costruttivi sono le costanti coniche degli specchi.
Siccome vogliamo fare un Cassegrain il riflettore primario è parabolico: K1 = -1
Mentre la costante conica del secondario è: K2 = -[(m+1)/(m-1)]2 = -4
Con i parametri trovati si iniziano le ottimizzazioni del disegno utilizzando il codice di simulazione (ray tracing).
Ogni superficie ottica può essere utilizzata per correggere una particolare aberrazione. Ne risulta
che con due specchi si possono in realtà correggere due differenti tipi di aberrazione. Come abbiamo visto l’aberrazione più forte (dopo quella sferica) è quella di coma. Un telescopio a due specchi ottimizzato per correggere sferica e coma si dice aplanatico. Per ottenere queste qualità in un telescopio Cassegrain anche il primario diventa iperbolico e il nuovo telescopio si chiama “Cassegrain aplanatico o Ritchey -Chrétien”. Nel caso del telescopio Gregoriano il primario diventa anch’esso un’ellisse come il secondario e il telescopio prende in nome di “Gregoriano aplanatico”.
In entrambi i casi (Cassegrain e Gregoriano aplanatici) le costanti coniche valgono:
In un telescopio aplanatico dunque, l’aberrazione primaria è l’astigmatismo
Coma ed astigmatismo per telescopi cassegrain a due specchi valgono:
Come si nota l’aberrazione di coma è uguale a quella del singolo paraboloide, mentre l’astigmatismo, per m piccoli è all’incirca m volte quello del paraboloide.
Per telescopi aplanatici, da quanto detto risulta:
Per β piccoli l’astigmatismo vale m+(1/2) volte quello del singolo paraboloide. Quindi in un telescopio aplanatico l’astigmatismo è più forte che nel corrispondente classico.
ESEMPIO 2:
Nella stazione spaziale orbitante uno spazio volumetrico a forma di parallelepipedo di dimensioni 500 x 500 x 700 mm può ospitare un telescopio per osservazioni UV a 0.4 μm di lunghezza d’onda. Il pixel di campionamento è equivalente ad un quadrato di 1.6 μm di lato.
Per permettere l’alloggiamento della strumentazione è necessario lasciare 200 mm sul retro del primario ed il rivelatore ha un ingombro di 8 mm.
Calcolare i parametri di disegno delle ottiche per un telescopio Cassegrain classico ed uno aplanatico. Si considerino M1 e M2 di spessore trascurabile.
SOLUZIONE 2:
La distanza fra M1 e M2 può essere al massimo 500 mm (D12=500mm). Il piano focale del telescopio è a 192 mm (200-8) dal vertice del primario (estrazione focale β =192mm). Il diametro del telescopio sarà di 500 mm (D1=500mm). Il campionamento ideale corrisponde a quello del disco di Airy su due pixel (per restare compatibile con il criterio di Rayleigh e con il vincolo di Nyquist).
Dalle relazioni note q2 = mεf1= (f/f1)εf1 = fε = D12+β si ha:
fε = 500+192 = 692 mm, da cui ε = 0.4222
ε = D2/D1 da cui D2 = εD1 = 211.1 mm
Per calcolare f1, occorrerebbe normalizzare β in unità di misura di f1, per cui:
Da: [1+β = ε (m+1)] e [m=f/f1] e [βf1=β/f1] si ottiene:
1+β=1+(β/f1)=ε(m+1)= ε((f/f1)+1) → 1+(β/f1)= βf/f1)+ε) → f1=(β-εf)/(ε-1)=865mm e m = 1.89
R1 = 2 f1 → R1 = 1730 mm
ρ = R2/R1 = mε / (m-1) = 0.899, da cui R2 = ρR1 → R2 = 1555.27mm
Per il telescopio classico: K1 = -1 e K2 = -[(m+1)/(m-1)]2 -> K2 = -10.38
La distinzione fra classico e aplanatico sta solamente nelle coniche degli specchi. Per un telescopio aplanatico si applicano le equazioni viste: K1 = -1.40 e K2= -19.38
L’azione di un’ottica ideale è produrre sul piano immagine un fronte d’onda sferico il cui centro di curvatura coincida con l’origine del sistema di coordinate (x0, y0, z0) del piano immagine. Se R è il raggio di curvatura del fronte d’onda e la superficie ottica ha il suo centro nell’origine del sistema di coordinate (x,y,z) si ha:
L’equazione del fronte d’onda nel sistema (x,y,z) è :
Se x e y sono piccoli rispetto a R e z piccolo da poter trascurare il termine z2 allora l’equazione del fronte d’onda può essere approssimato ad una parabola
Dunque, W(x,y) è il fronte d’onda sferico convergente in un punto a distanza R dalla pupilla d’uscita
La figura mostra la situazione in cui il piano di osservazione è ad una distanza R dalla pupilla di uscita, mentre il fronte d’onda ha un raggio di curvatura maggiore
che se εz è molto piccolo rispetto a R, diventa:
Dunque se vi è uno shift A aggiunto all’onda sferica lungo l’asse ottico, si avrà in pratica uno shift di focale (defocus) pari a
Da un altro punto di vista, se il piano immagine è shiftato lungo l’asse ottico verso la superficie ottica di una quantità εz, allora si avrà un cambio nel fronte d’onda pari a
che, essendo Rsin(U)=D/2, dove U è il massimo angolo del semi-cono descritto dal fascio convergente e, diviene:
Sapendo che F/#=R/D = ->
Supponiamo ora di avere due shift (decentering), ma non lungo l’asse ottico, bensì tali che il centro della sfera sia mosso lungo entrambi gli assi x e y di una quantità rispettivamente εx e εy (in figura è mostrato solo rispetto a x)
Supponiamo al solito εx piccolo tale che ε2x sia omettibile, (stessa cosa per ε2y), così come z2, si ha:
si avranno in pratica due shift in x e y pari a
Allora, combinando i tre shift si ottiene la forma finale della variazione del fronte d’onda:
che rappresenta un fronte d’onda sferico il cui centro di curvatura è posto nel punto con aberrazioni di defocus e decentering
Nei casi precedentemente citati il fronte d’onda può essere espanso in serie di potenze rispetto alle coordinate della pupilla di uscita (x,y) e della posizione del punto immagine (x0, y0). Per la simmetria assiale, il fronte d’onda non cambia in caso di rotazione rigida del punto immagine e degli assi x,y intorno all’asse ottico z. Si può allora selezionare il sistema di coordinate in modo che il punto immagine risulti compreso nel piano contenente gli assi x e z, esprimendo poi il fronte d’onda come variazione del punto immagine rispetto all’asse ottico. Dunque:
defocus, o spostamento longitudinale del fronte d’onda sferico dal piano focale
tilt, o spostamento trasverso del fronte d’onda sferico dal piano focale
Spostamento di fase, costante attorno alla pupilla di uscita (non altera né la forma né altri effetti sull’immagine)
I termini successivi sono detti del terzo ordine rispetto alle 3 variabili (intesi come aberrazioni trasverse).
Le stesse relazioni si possono esprimere in coordinate polari, ponendo
Entrambi ρ e H sono normalizzati a 1, ove ρ è il raggio della pupilla e H dipende dalla posizione del punto in esame sul campo osservato . In pratica H = x0
Usando queste coordinate, l’equazione vista per il fronte d’onda può essere espresso in termini dei suoi coefficienti di aberrazione come:
Seidel nel 1856 fornì delle formule esplicite per calcolare W, introducendo i coefficienti suoi omonimi:
Un’altra possibile espansione in forma polinomiale della funzione di fronte d’onda, per sistemi ottici con pupilla circolare, è quella definita dai polinomi di Zernike. Questi sono polinomi ortogonali ed esprimibili come il prodotto di una parte radiale e una parte angolare.
Ogni funzione di base di Zernike è il prodotto di due altre funzioni, una che dipende solo dal raggio e l’altra che dipende solo dal meridiano. Questo schema base, costituito dal prodotto fra un polinomio e un’armonica, si ripete per tutte le funzioni di Zernike.
Dove la parte radiale è data da
Possiamo descrivere matematicamente l’aberrazione di un telescopio come somma pesata delle funzioni di base di Zernike. Questa rappresentazione è chiamata espansione di Zernike dell’aberrazione del fronte d’onda. Il peso che deve essere applicato ad ogni polinomio nel calcolo della somma è chiamato coefficiente di aberrazione. Ciascun coefficiente di aberrazione è un numero, di solito espresso in micron, o tal volta espresso in unità di lunghezza d’onda della luce. I coefficienti di aberrazione dell’espansione di Zernike sono analoghi ai coefficienti di Fourier dell’espansione di Fourier, che sono a loro volta analoghi allo spettro di energia di una sorgente luminosa. Quindi è comune parlare dello spettro di Fourier di un’onda e, allo stesso modo, possiamo parlare dello spettro di Zernike del sistema ottico del telescopio
Uno degli aspetti più interessanti dell’insieme dei polinomi di Zernike è che essi sono reciprocamente ortogonali, ciò significa che essi sono matematicamente indipendenti l’uno dall’altro (base dello spazio vettoriale relativo ad un fronte d’onda sferico).
Un altro aspetto utile è che tutti i polinomi, eccetto il primo, hanno media uguale a zero e sono calibrati in modo da avere variazioni unitarie. Questo pone tutti i polinomi su una base comune, in modo che le loro grandezze relative possano essere comparate facilmente.
L’ortogonalità delle funzioni di Zernike permette di calcolare facilmente la varianza totale di un fronte d’onda, come somma delle varianze dei singoli componenti.
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
Fonte: James C. Wyant, Basic Wavefront Aberration Theory for Optical Metrology, Applied Optics and Optical Engineering, VOL. Xl
A questo punto la domanda sorge spontanea: ora che sappiamo come progettare otticamente un telescopio e come calcolare analiticamente le aberrazioni, come facciamo a modellare le ottiche in modo da minimizzare il contributo delle aberrazioni nel telescopio?
Per la progettazione di un sistema ottico si fa uso di strumenti software denominati programmi di ray tracing (tracciamento dei raggi).
Il ray tracing è un procedimento basato, da un punto di vista teorico, sulle proprietà dell’ottica geometrica: la propagazione della luce in un mezzo omogeneo e la legge della rifrazione e riflessione di Snell, che a sua volta discende dal noto Principio di Fermat: in un sistema ottico il percorso seguito da un raggio luminoso tra due punti qualsiasi nello spazio è quello che ha il tempo di percorrenza minore.
Il ray tracing è un metodo di rendering ottico basato sulla modellazione di dispositivi ottici in base all’analisi dei fasci luminosi che li percorrono.
Questo metodo traccia dei raggi di luce da una sorgente fino al piano immagine. I raggi vengono testati in modo da determinare e ottimizzare le loro intersezioni con gli stop inseriti nel modello.
Nel ray tracing un raggio di luce viene tracciato lungo la direzione scelta per il percorso ottico da una sorgente al piano immagine. Esso è rivelato sottoforma di un pixel dell’immagine finale. Il pixel sarà quindi rivelato in termini di immagine policromatica del fascio incidente.
In un sistema ottico (OS) esistono delle limitazioni fisiche al numero di raggi che lo possono attraversare. Ciò che delimita i raggi passanti si chiama stop di apertura. Esso dunque controlla la luminosità dell’immagine.
Nel piano focale invece si trova lo stop di campo: un diaframma che delimita la regione del piano focale capace di accogliere i raggi. Esso dunque limita la dimensione dell’oggetto visto (FOV).
Dallo stop di apertura di un sistema si risale a:
Pupilla di entrata: immagine dello stop di apertura prodotta dalla parte di OS che lo precede.
Pupilla di uscita: immagine dello stop di apertura prodotta dalla parte di OS che lo segue.
La posizione e dimensioni degli stop e pupille è importante perché condiziona la correzione delle aberrazioni e la qualità dell’immagine. Ridurre il diametro del fascio di raggi soddisfa meglio la condizione parassiale, ma ovviamente riduce la luminosità dell’oggetto (la brillanza del telescopio). Inoltre lo stop evita l’effetto del vignetting. In un telescopio l’obiettivo è la pupilla di entrata mentre quella di uscita è la sua immagine prodotta sul rivelatore.
Molto importante è il raggio passante per il centro dello stop di apertura (chief ray). Tutti gli altri raggi convergono laddove il chief ray forma l’oggetto se e solo se l’OS è privo di aberrazioni.
Il cono dei raggi che giunge al centro dell’immagine si definisce come l’F/#
La figura di merito è lo strumento analitico con cui verificare la “bontà” di un sistema ottico. Infatti il passo successivo alla definizione dei parametri ottici dell’OS è decidere quando “accettare” una soluzione come “la migliore” in termini di qualità dell’immagine (che spesso è frutto di un compromesso tra requirements scientifici e costruttivi dell’OS).
In un generico strumento di ray tracing, le principali figure di merito (MF) utilizzate sono:
Point Spread function (PSF)
Spot Diagram (SD)
Encircled Energy (EE)
Modulation Transfer Function (MTF)
Nel caso di aperture circolari (specchi di telescopi) la distribuzione d’intensità luminosa segue quello che viene definito come il profilo di Airy (Airy pattern): una serie di anelli concentrici sempre meno luminosi (dovuti al fenomeno già visto della diffrazione). Questo profilo è un esempio di ciò che viene chiamata PSF: la distribuzione d’intensità luminosa sul piano immagine.
La PSF di un OS è la distribuzione di irraggiamento sul piano immagine che scaturisce da una sorgente (esempio: un telescopio che forma l’immagine di una stella). Sebbene la sorgente sia puntiforme, la sua immagine non lo è (diffrazione+seeing+aberrazioni).
Q punto sul fronte d’onda W
P punto sul piano immagine
Ɛ ostruzione
D diametro pupilla
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